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Da Terna a Impregilo a Pirelli: chi rischia di più in caso di ulteriori disordini a Tunisi
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Gli analisti di Credit Suisse sono preoccupati: da qualche mese le tensioni geopolitiche in Africa stanno raggiungendo livelli di guardia, in Costa d’Avorio prima, in Tunisia in questi giorni, mentre la situazione è da tenere d’occhio anche in Libano ed Egitto secondo gli esperti, che in un report che Affaritaliani ha potuto visionare ricorda come “in Tunisia, il presidente Zine al-Abidine Ben Ali è fuggito dal paese lo scorso fine settimana dopo settimane di proteste da parte della popolazione che hanno causato diversi feriti”. La fina del “regno” di Ben Ali, durato 23 anni, “ha causato un vuoto di potere nel paese”, tanto che le difficoltà a comporre un governo transitorio (la costituzione prevede in questi casi elezioni presidenziali entro 60 giorni, ma gli osservatori internazionali dubitano che sarà possibile rispettare i tempi) stanno portando nuovamente in piazza i manifestanti, mentre l’opposizione ha denunciato che i ministri chiave, (tra cui quelli di Difesa, Interno, Esteri e Finanza) sono rimasti al loro posto, malgrado siano espressione dell’Rcd (Raggruppamento Costituzionale Democratico, il partito dell’ex presidente Ben Ali). A rischiare di più tra le oltre 680 aziende italiane da anni presenti in Tunisia, paese con cui da tempo l’Italia ha consolidati rapporti commerciali (nel 2009 l’Italia si è confermata il secondo principale partner del paese africano, con un interscambio commerciale che la crisi ha fatto calare del 20% a 4,17 miliardi di euro, con un saldo di 423 milioni a favore dell’Italia), sembrano in particolare le aziende dei settori energia, petrolio, tessuti, calzature e gomma. Tra i principali gruppi quotati a Piazza Affari eventuali nuovi disordini potrebbero pesare sulle quotazioni di Terna, impegnata nel progetto congiunto italo-tunisino denominato Elmed, tuttora in fase di realizzazione, che prevede la realizzazione di un elettrodotto sottomarino, della capacità di 1.000 MW, da parte di una joint-venture Terna-Steg, oltre alla costruzione e gestione di una centrale elettrica da 1.200 MW nei pressi di El Haouaria (per un controvalore complessivo degli investimenti di circa 2 miliardi di euro). Ma dalla Tunisia passa anche il gasdotto Ttpc, che trasporta in Italia il gas naturale proveniente dall’Algeria e fa capo all’Eni, che dunque non può dormire sonni del tutto tranquilli. Sempre in Tunisia il gruppo Pirelli & C. fa affari da anni, sia nel settore dei cavi (passato poi a Prysmian, presente nel capitale di Auto Cables Tunisie, joint venture realizzata con Tunisie Cable), sia in quello dei pneumatici (Pirelli Tyre è tra gli azionisti del produttore locale Stip, Societe Tunisienne des Industries de Pneumatique, oltre ad esserne partner tecnico e commerciale). Le tensioni tunisine, specie se dovessero estendersi ad altri paesi come Algeria, Libia o Egitto, pesano poi su Impregilo (che in queste settimane starebbe anche partecipando, in consorzio, alla gara per il nuovo aeroporto di Medina, in Arabia Saudita), Astaldi e il gruppo Condotte, impegnate (Impregilo assieme alla Cmc di Ravenna, Astaldi in consorzio con Toto, Grandi Lavori Fincosit e Ghella), nella gara per l’autostrada che dovrebbe unire Libia, Tunisia ed Egitto per 1.700 km, opera prevista dal trattato di amicizia siglato nel 2008 fra Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi (che prevede il pagamento da parte dell’Italia di 5 miliardi di dollari alla Libia come riparazione per i danni di guerra). Chi ha deciso di prendere tempo, visto le incertezze attuali, è Mediobanca, che di fatto ha congelato il previsto ingresso in una costituenda nuova banca d’affari che avrebbe dovuto aprire il proprio quartier generale a Tunisi entro il prossimo mese di marzo. Proposta che secondo alcune indiscrezioni sarebbe ritenuta ancora valida da Piazzetta Cuccia, ma che necessita come precondizione di un quadro politico stabile.de affaritaliani-Luca Spoldi
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