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Iran, l’Onda Verde è tornata: -Facciamo come al Cairo e Tunisi- |
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Daniele Zaccaria
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Granate lacrimogene, proiettili di gomma e vernice "paintball", manganelli a ruota libera e arresti di massa. E, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni, ci sarebbero anche un morto e decine di feriti tra i manifestanti. Dopo 12 mesi di calma apparente, Teheran è tornata ad essere l’epicentro del furibondo scontro politico tra il regime degli aytollah e l’opposizione riformatrice, in una giornata che, tra l’altro segna la riapparizione della cosidetta "onda verde", il movimento nato nell’estate del 2009 in seguito alla contestata rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Vale la pena di ricordare brevemente gli eventi. A poche ore dalla chiusura dei seggi il leader riformista Mir Hossein Mussavi si dichiara infatti vincitore, ma il ministero dell’Interno annuncia, tra lo sconcerto dei suoi avversari politici, la vittoria del presidente in carica. A quel punto gli oppositori denunciano brogli e irregolarità, chiedendo invano l’annullamento delle elezioni o almeno un riconteggio delle schede. Seguono mesi di manifestazioni e di repressione poliziesca affidata alle milizie filogovernative "Basiji" con migliaia di arresti, centinaia di persone uccise e decine di condanne a morte. La manifestazione di ieri, non autorizzata dalle autorità, partita da piazza Azadi (Libertà) e proseguita lungo viale Enghelab, la grande arteria che attraversa la capitale iraniana,doveva essere una sorta di marcia silenziosa. E così inizialmente è stato, con la polizia che in un primo momento si è limitata a controllare il lungo serpentone che sfilava per le strade. Poi, quando un gruppo ha iniziato a intonare slogan contro il presidente ("morte al dittatore" il più gettonato) e ad incendiare alcuni cassonetti della spazzatura, sono partite le cariche dei nuclei anti-sommossa. In piazza anche il principale leader dell’opposizione Mir Hossein Moussavi, accompagnato dalla consorte Zahra Rahnavard: i duei hanno sfidato gli arresti domiciliari a cui erano stati assegnati da alcuni giorni proprio per impedire che potessero unirsi alle proteste e non è escluso che possano essere arrestati nelle prossime ore. Anche l’altro esponente del blocco riformista Mehdi Karrubi era confinato nella sua abitazione, ma per il momento non c’è stato nessun avvistamento nei cortei. «In città regna il caos totale», affermava ieri pomeriggio un producer della Bbc, anche se appare molto complicato ricostruire la dinamica degli scontri: agli inviati e ai corrispondenti stranieri è stato infatti vietato di avvicinarsi al corteo. Anche le linee dei telefoni cellulari, i siti d’informazione e i social network sono stati oscurati per togliere risonanza alla protesta di piazza; le poche frammentarie notizie provenienti da Teheran e altri centri urbani (manifestazioni e decine di arresti anche Isfahan e Shiraz) sono rimbalzate nel web solo grazie ad alcuni sporadici messaggi apparsi su Twitter. In serata il sito internet "Kalemeh", citando alcune testimonianze oculari, riferiva di un nuovo giro di vite del regime contro gli esponenti politici indesiderati: le forze di sicurezza avrebbero infatti «assediato» le residenze dell’ex presidente Mohammad Khatami e dell’ex vicepresidente Abdollah Nouri, una mossa preventiva tesa a impedire che gli storici leader riformisti possano capitalizzare politicamente la rabbia popolare improvvisamente riespolosa nelle piazze iraniane. Pur tenendo conto delle dovute differenze, la tempesta politica che in poche settimane ha sbriciolato il regime di Ben Alì in Tunisia e quello di Hosni Mubarak in Egitto sta scuotendo anche le fondamenta la Repubblica sciita. Almeno nella rappresentazione degli oppositori, che ieri hanno scandito slogan di sostegno e solidarietà alle centinaia di migliaia di persone che da Tunisi al Cairo hanno contribuito a dare la spallata decisiva ai vecchi e decadenti dignitari arabi, stabilendo di fatto una chiara similitudine tra la protesta iraniana e le rivoluzioni nordafricane. Un elemento che preoccupa non poco il blocco di potere politico-religioso di Teheran che, non a caso, ha tentato a sua volta, di recuperare pro domo sua, l’ondata mediterranea, affermando che i sommovimenti che hanno portato alla cadutadi Ben Alì e Mubarak in realtà ricordano la rivoluzione islamica che nel 1979 fece cadere il regime dello Scià Reza Phalevi. Interpretazione quanto meno strumentale, quasi un espediente retorico, considerando che in Tunisia la rivolta è stata guidata dal sindacato laico Ugtt, mentre in Egitto i Fratelli musulmani, principale gruppo di opposizione, stavolta hanno giocato un ruolo molto defilato, seguendo la scia di una rivolta nata dal basso e che nessun analista politico accorto potrebbe definire di stampo islamista. Se è ancora prematuro parlare di "contagio" o di "effetto domino", è indubbio che il vento maghrebino sta iniziando prepotentemente a soffiare anche in Iran. Gli eventi delle prossime settimane ci diranno se, dopo 32 anni di potere incostrastato, anche il regime degli ayatollah è ormai giunto ai titoli di coda. |
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