Le difficoltà del giudizio estetico
 







di Rosario Ruggiero




È più bella la quinta sinfonia di Beethoven nella direzione di Herbert von Karajan o di Arturo Toscanini? La prima ballata di Chopin eseguita da Arthur Rubinstein o da Vladimir Horowitz? Il concerto per violino di Ciaikovskij suonato da David Oistrakh o da Jascha Heifetz ? Ed è composizione musicale più elevata lo Stabat Mater di Pergolesi o di Rossini? Il Requiem di Mozart o di Verdi? La Traviata o la Bohème?
Che esista una oggettiva differenza di valore estetico tra differenti prodotti artistici traspare dal riconoscimento più o meno oggettivo di alcuni di essi come di massimi capolavori, e di alcuni artefici come di massimi autori, ma pure dalla osservazione più o meno comune che ben difficilmente, ad esempio, il lavoretto in plastilina, per quanto grazioso, di un bambino potrà essere preferito alla “Pietà” di Michelangelo Buonarroti, seppur anche questo è possibile e poi vedremo perché.
Al tempo stesso, soprattutto quando le distanze
estetiche non sono macroscopiche, diventa difficile conferire un primato, individualmente o statisticamente, e si vedrà insomma alcuni, ma talvolta anche se stessi, propendere per una particolare scelta, altri per una differente, semmai anche cambiando di volta in volta. Perfino quel grazioso lavoretto in plastilina del nostro bambino sarà, in casi estremi, preferito alla miglior opera di Bernini o Buonarroti.
Come spiegare allora questa apparente contraddizione? Instabilità del giudizio umano? Teorie della probabilità che riconoscono le possibilità che si possa verificare un qualunque evento mai assolutamente nulle?
Alcuni eludono il problema definendo i vari risultati artistici semplicemente diversi, o sostenendo una sorta di imponderabilità dell’arte, sostituendo alla difficoltà di misurazione precisa del valore estetico di un prodotto una sorta di equivalenza delle espressioni artistiche, per cui qualunque opera potrà essere capolavoro massimo per qualcuno. Povero
Buonarroti! Anni ed anni di duro lavoro, faticosa ricerca tecnica ed espressiva, tenacia, dedizione, passione smisurata, sacrificio di se stesso rivolto ad un ideale, perché i frutti di tutto ciò valgano quanto, se non addirittura meno, di un rozzo lavoretto infantile in plastilina. Musei, pinacoteche ed altre istituzioni create e sostenute a tutela di dipinti che non sono più esemplari della tela imbrattata dall’ultimo sprovveduto. La nona sinfonia di Beethoven alla stregua di una qualsiasi canzonetta creata solo per passatempo. Il più fine sentimento etico di elevazione dell’uomo sullo stesso piano di un più o meno dilettevole intrattenimento. La Divina Commedia compagna della più banale filastrocca. I Promessi Sposi come la fiaba inventata estemporaneamente solo perché un bimbo si addormenti ancor prima di averla sentita tutta. La più ispirata esecuzione di un pianista come Arturo Benedetti Michelangeli non dissimile dallo strimpellamento di uno svogliato dodicenne.
Eppure, in
confronti meno eclatanti, il giudizio diviene incerto, oscillante. Perché? Il problema non è trascurabile. Risolvendolo, o già solo affrontandolo, si potrà fare un passo avanti nella ricerca della vera bellezza e nella conoscenza più profonda dell’uomo stesso e di ciò che muove il suo sentimento.
In realtà va tenuto presente che un’opera d’arte è un risultato al quale concorrono infiniti elementi, ecco allora il giudizio farsi maggiormente attrarre, persona per persona, momento per momento, da alcuni di questi elementi a dispetto di altri.
Se si fanno ascoltare, infatti, diverse esecuzioni dello stesso identico brano musicale, caso mai registrate sì da poter anche essere sentite più volte, ad un certo numero di ascoltatori per capire, dal loro giudizio, qual è quella oggettivamente più bella e, se il divario artistico tra quelle esecuzioni non è gigantesco, ma talvolta anche se lo è, si ricevono non di rado risposte estremamente discordanti, seppur oneste. Le possibili cause
recondite? Infinite. Alcuni si faranno suggestionare dalla fama degli interpreti, e come ogni spettatore di una qualunque competizione in cui non ha interessi personali, in conformità con la propria costituzione psicologica propenderà spontaneamente a parteggiare per il più debole o per il più forte, così alcuni ascoltatori simpatizzeranno a priori per l’artista più celebre ed affermato, altri per l’esecutore sconosciuto. Qualcuno invece indirizzerà la sua scelta, anche inconsciamente, verso registrazioni tecnicamente più fedeli, qualcun altro per quella dove gli strumenti musicali adottati hanno suono migliore. Tal altri, allettati da preconcetti culturali, preferiranno le modalità esecutive dell’epoca di composizione dell’opera, autentiche o dubbiamente tramandate dalla tradizione, ad ogni altra cosa. Altri ancora censureranno inorriditi ogni scelta interpretativa innovativa, e perciò meno rassicurante, per rifugiarsi nella più inveterata consuetudine, mentre gli iconoclasti per costituzione loderanno a spada tratta ogni allontanamento dal solito.
Questi e tanti altri i motivi che renderanno estremamente arduo estrapolare una valutazione di bellezza pura, che muova l’animo senza necessariamente carezzare debolezze psicologiche o acquietare insicurezze profonde. Se il giudizio poi è richiesto tra composizioni musicali diverse allora entra in scena anche il carattere del brano, se lieto, malinconico o funebre, indipendentemente dalla bontà e dalla sensibilità con la quale viene espresso. E se infine l’autore del prodotto artistico è il proprio adorato figlioletto, semmai di recente uscito da una malattia che si riteneva inguaribile e fortemente invalidante, allora la propensione per il giovane artista può essere anche totale e la commozione certo sincera.
Ma tutti questi giudizi hanno che fare con l’autentica bellezza, stabile, imperitura, universale, svincolata da ogni condizionamento occasionale e personale?
Il fatto è che l’opera d’arte ha una
valenza non solo puramente estetica, ma anche più banalmente funzionale e l’uomo è un animale emotivo per cui tutto ciò che gli è anche occasionalmente utile definirà bello, come per esempio un qualsiasi pasto che, quando è particolarmente affamato, non esisterà a giudicare un “bel” pranzo.
Ma la miglior opera d’arte, in assoluto, quella di maggior bellezza autentica, sarà quella che stancherà meno nel tempo, al di là del suo più o meno effimero primo impatto, primo impatto che forse permette più l’appagamento delle nostre esigenze psicologiche del momento che non il nostro benessere spirituale più profondo e stabile. Bellezza autentica che, come un buon nutrimento, è buona e salutare più di un cibo nocivo che al massimo sa semplicemente allettare per pochi istanti il palato, o del fumo che compiace sulle prime ma danneggia poi. Probabilmente perciò solo il tempo e la massima quantità di fruitori riescono a sfrondare le esigenze interiori del singolo e del momento e far emergere
così i valori universali della bellezza, un po’ come anche i giudizi estetici sull’aspetto fisico delle persone risentono di parametri epocali sempre restando validi però alcuni altri come l’espressione di buona salute e sana complessione.
Da qui forse gli insuccessi di cronaca di  tanti capolavori poi rivalutati dalla storia, da qui autori più o meno conosciuti ai loro giorni poi celebrati clamorosamente dai secoli seguenti, ma soprattutto, anche da qui l’importanza assoluta della libertà dell’espressione artistica per un mondo che un giorno, ci si augura, possa apparire ornato tutto, esclusivamente, di bellezza intramontabile.