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La “P4” e gli affari del consulente-ombra di Gianni Letta |
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Altro che P2, P3, P4 e similari. L’indagine di Napoli condotta dai pm della Procura di Napoli, Francesco Curcio e Henry John Woodcock, ha afferrato un bandolo più concreto delle mille logge che affollano gli articoli dei cronisti pistaroli: un mazzetto di azioni di una società belga. Durante l’ultima perquisizione della scorsa settimana i finanzieri di Napoli hanno trovato 19 titoli al portatore che rappresentano il capitale di una società anonima riferibile secondo gli investigatori a Luigi Bisignani. Si chiama Codepamo S.A. e ha gestito operazioni per decine di milioni di euro negli anni passati. I diciannove certificati sono stati trovati a casa dell’autista di quello che sembra sempre di più il fulcro dell’attività investigativa: Luigi Bisignani, uno degli uomini più influenti nei palazzi romani. Il suo autista Paolo Pollastri ha detto che avrebbe dovuto consegnare i titoli alla mamma di Luigi Bisignani, la signora Vincenza Carpano, subito perquisita anche lei. I titoli che rappresentano il capitale della Codepamo sono al portatore e permettono di schermare il reale proprietario ma gli investigatori non hanno dubbi che la società anonima di diritto belga sia di Bisignani. Già in una precedente inchiesta della Procura di Napoli, condotta dal pm Vincenzo Piscitelli, emergevano infatti operazioni del 2001 tra Bisignani e i conti della società belga alla banca SGB di Bruxelles. La holding belga riferibile a Bisignani dal 1997 al 2000 è stata titolare di un pacchetto pari al 32,5 per cento del capitale della Engineering Spa Subito dopo la cessione delle quote da Codepamo alle famiglie Amodeo e Cinaglia, la società informatica si quota in borsa. Engineering fattura 350 milioni di euro, occupa 6 mila persone in 40 sedi e capitalizza 300 milioni di euro. Il prezzo di acquisto e rivendita delle azioni nel 1997 e 2000 da parte della Codepamo è stato di 7,4 miliardi di vecchie lire. Per capire l’interesse della Procura per Luigi Bisignani e per la Codepamo bisogna partire da lontano e descrivere il personaggio Bisignani. Negli anni 90 questo ex giornalista è stato l’uomo che ha gestito la madre di tutte le mazzette, quella pagata nel 1992 ai partiti per la creazione del polo pubblico-privato tra Eni e Ferruzzi: l’Enimont. Bisignani è stato arrestato due volte per quelle vicende ma – a leggere le carte pubblicate molti anni dopo il processo da Luigi Nuzzi (Vaticano Spa, Chiare Lettere) non ha svelato ai magistrati tutti i segreti dei conti della banca vaticana IOR sui quali le mazzette erano transitate. Bisignani è l’uomo che apre per esempio il conto corrente Louis Augustus Jonas Foundatuion usato per le tangenti, nonostante nelle finalità fosse dichiarato “l’aiuto ai bimbi poveri”. Bisignani, già capoufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati del Governo Andreotti, già apparso negli elenchi della loggia segreta P2 con il numero di tessera 1689, in Vaticano è ben introdotto. Non bisogna stupirsi se sul conto gestito da Bisignani arrivano 23 miliardi e se il giornalista amico di Andreotti e dei Ferruzzi ne ritira in contanti 12, 4 miliardi tra ottobre 1991 e giugno del 1993. Il 28 giugno, quando Mani Pulite esplode, Bisignani chiude il conto e ritira il miliardo e 687 milioni rimasti riempendo borse di bigliettoni, poi si dà alla latitanza, inseguito dall’allora pm Antonio Di Pietro. Quando la Procura di Milano chiede al Vaticano che fine hanno fatto i soldi della provvista Enimont, pari a 156 miliardi di vecchie lire, il vero dominus dello IOR, monsignor Donato De Bonis, concorda con i legali una versione di comodo. L’Istituto opere religiose scarica gran parte della colpa su Bisignani e riduce gli importi transitati nella finanza occulta del Vaticano. Solo dopo la morte di De Bonis, avvenuta nel 2001, e dopo la pubblicazione delle carte nel libro Vaticano Spa, si scoprirà la verità. Nel dicembre del 1993, per far tornare i conti tra le richieste della Procura (che non aveva scoperto tutti i CCT della mazzetta) con i dati reali, lo IOR decide di raccontare al pool di Milano che Bisignani ha ritirato 14,6 miliardi in contanti, un’enormità per l’epoca. Quando i pm di Milano si accorgono che qualcosa non torna in quella ricostruzione Bisignani viene riarrestato nel 1994. Il Gip Italo Ghitti però lo scarcera perché giustamente non crede che abbia incassato tutti quei soldi. Ghitti chiede alla Procura di cercare in Vaticano con le rogatorie la sorte dei soldi mancanti ma Mani pulite è al tramonto e non se ne farà nulla. Bisignani, forse anche grazie alle sue capacità di riservatezza dimostrate, intanto fa carriera nell’ombra. Quindici anni dopo la condanna a tre anni e 4 mesi, è uno degli uomini più potenti e influenti d’Italia. Il network di potere andreottiano è passato dal divo Giulio a Gianni Letta. E Bisignani è sempre lì. È il consigliere più ascoltato del sottosegretario alla presidenza del consiglio in materia di nomine negli enti pubblici e nelle società partecipate, a partire dall’Eni. Anche in Rai, nei servizi segreti e nelle forze armate e di polizia non si muove foglia senza il via libera di Letta. Ed è lui a comunicare all’esterno le voltà di Palazzo Chigi. Ora arriva l’inchiesta di Woodcock e Curcio per associazione a delinquere, rivelazione di segreto e violazione della legge Anselmi. I pm hanno sentito nei giorni scorsi il presidente del Copasir Massimo D’Alema, il direttore del servizio segreto estero militare, il generale Adriano Santini e il direttore generale della RAI Mauro Masi, e poi ancora i ministri Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. I pm non scoprono le loro carte. Nell’ultimo decreto di perquisizione facevano intravedere un «sodalizio criminoso» costituito allo scopo di acquisire notizie riservate negli ambienti giudiziari. Informazioni poi utilizzate anche a fini ricattatori. Bisignani, che comunque non sarebbe protagonista del filone di indagine sui ricatti, si dice all’oscuro di tutto. Restano però quei 19 titoli azionari della Codepamo da spiegare.de Redazione Il fatto |
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