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Giuliano Ferrara, l’illusionista che ha deciso di rigiocarsi da primattore della politica italiana, colui che - dismessa la veste di consigliere/manovratore dietro le quinte del Principe - ha “mesmerizzato” la salma di Berlusconi invocandone una rediviva giovinezza politica, ha cominciato a rovesciare il consueto, diluviante, aggressivo eloquio dalla tv pubblica. Così, commentando il “Cday”, l’Elefantino è entrato a gamba tesa sul giudice Ingroia, colpevole - a suo dire - di avere svolto dal palco della manifestazione un vero e proprio comizio contro il Parlamento, contro il potere legislativo. Insomma, il giudice siciliano avrebbe violato il suo dovere di riservatezza e, soprattutto, avrebbe compromesso la terzietà di una funzione che è connaturata proprio a quell’indipendenza dell’ordine giudiziario che i magistrati reclamano. Ferrara è categorico: «Il magistrato deve essere - ha detto citando Calamandrei - la bocca della legge», e non essere parte in causa. Ma cosa ha mai detto il giudice parlermitano per meritare una così aspra reprimenda? Antonio Ingroia ha, appunto, dato fiato alla legge: quella che c’è, ovviamente, non quella che il governo vuole radicalmente cambiare attraverso una modifica costituzionale. Ma, per Ferrara, difendere la Carta qual è tuttora, cioè far parlare la legge, quella suprema, è atto censurabile di fronte all’intenzione dichiarata dell’esecutivo di manometterla: il progetto del governo di limitare seriamente le prerogative dell’ordine giudiziario per indebolire l’attività inquirente e sottoporla al decisivo condizionamento del potere politico è per Ferrara elemento sovraordinato rispetto ad un ordinamento che resterà in vigore ed avrà efficacia fin quando il Parlamento (dopo quattro letture) ed il popolo italiano (dopo un referendum confermativo) non avranno deciso di cancellarlo. Insomma, la volontà di una sola parte politica, quella che oggi detiene il potere, diventa, per forza propria, attività costituente. Eppure non è nulla, finché non diventa legge. Ma intanto, i suoi sostenitori praticano l’obiettivo. «Dirò delle cose scomode - ha tuonato Ferrara, commentando il suo esordio dalla tribuna di “Radio Londra” - perchè non dirle rende il Paese più povero e anche più stupido». Già, ma oltre che scomode, le cose dette dalla tv pubblica, dovrebbero essere anche vere, ancorché condite con un commento dichiaratamente di parte. L’impressione è che il «fine chirurgo del pensiero», come lo incensa il Giornale, farà altro. Quella contro Ingroia, intanto, più che un barrito è parsa una sgradevole stecca. Dino Greco |
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