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Berlusconi si racconta ma non fa ridere
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Basta un nome, ed è già polemica. Anzi, censura. Nessuno lo aveva ancora visto, ma il trailer pubblicitario di Silvio forever aveva già intascato un paio di ricchi "no" dalla dirigenza Rai, per non specificati motivi di verifica dei contenuti. Ora che il film uscirà in sala (dal 25 marzo, grazie alla Lucky Red, in 102 copie) vedremo cos’altro potrà succedere. La censura e la leggera cagnara di inizio mese forse porterà al cinema un po’ di gente. Attratta, soprattutto a sinistra, dai firmatari del lavoro: Roberto Faenza alla regia, coadiuvato dal documentarista Filippo Macelloni, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (quelli de "La casta", pubblicizzano i manifesti) alla scrittura. Come ad intendere: un film che farà secco il premier. Niente di più falso. L’autobiografia non autorizzata Silvio forever è esattamente quello che dice di essere: una biografia, "auto" in quanto raccontata con le sole parole dello stesso Silvio, da lui pronunciate o riproposte - in mancanza di audio originale - dalla simpatica imitazione di Neri Marcoré. Si inizia con la mamma, la signora Rosa, che spiega quanto suo figlio sia stato sempre buono, troppo generoso, rispettoso ed educato, tanto da non apparire mai e poi mai in foto con donne o signorine. La risatina del pubblico è d’obbligo, ma si vede che la signora Rosa a quello che diceva ci credeva davvero, e quindi ridere delle convinzioni di una madre (scomparsa nel 2008) non ci sembra una trovata geniale. Ma andiamo avanti. Silvietto piccolo che ha quattro anni quando scoppia la guerra, la fuga dalla città, la povertà del papà e della mamma. Silvietto che raccoglie le cartacce per strada per farci palle da combustibile, Silvietto che però studia e poi aiuta il padre, e i compagnucci di classe più somari. Silvio ragazzino che comincia a cantare, Silvio ventenne che scappa a Parigi per studiare alla Sorbonne e vive con una striptiseuse cantando con lei la notte per locali. Silvio che poi aiuta il padre a costruire le prime palazzine, poi le seconde e le terze, i soldi che arrivano, la voglia di svecchiare la televisione, lo sbarco alla canale 5 francese, e via andando e andando, fino al giorno in cui sente che è suo dovere "scendere in campo" per difendere il paese dai comunisti discendenti di Stalin, che il baffetto di D’Alema così pericolosamente gli evoca. Tutta una storia di cui siamo già a conoscenza, ce la racconta lui, con le sue macchiette, i sorrisi, le battutine, le foto con i muscoli, mamma, papà e i suoi bambini. I quattro autori quasi non intervengono sullo svolgimento dei fatti, solo qua e là, qualche nota di leggero contrasto, affidata a comici e uomini di spettacolo, come Benigni, Dario Fo, Beppe Grillo. Biagi lo vediamo fargli un’unica domanda: «ma signor Berlusconi, lei come fa a fare tante cose e tutte bene?», «si vede che sono bravo» è l’ovvia risposta. Montanelli aggiunge poco: ci dice che Berlusconi è un uomo che crede in un’unica verità, la sua. Lo disse prima che ci arrivassero in molti, ma adesso ci siamo arrivati davvero tutti. Più interessante, lo spunto fornito da Gaber: «non ho paura del Berlusconi in sé, ma del Berlusconi in me». Ecco una buona chiave, per rivedere la vita di questo italiano. Faenza e Stella sostengono che in fondo questa è l’operazione che hanno fatto: ricostruire la parabola di un uomo che in realtà rappresenta la parabola di un intero paese. Ma quello che abbiamo visto noi, ieri, all’anteprima del film per la stampa, è poco della prima (parabola) e quasi nulla della seconda. Se l’intero impianto di Silvio forever" (autoproduzione dal costo di 700mila euro) serve per dire che l’Italia è un paese di guitti, beh ci sembra un’altra di quelle verità un po’ trite e un po’ tristi. Davvero, come dicono i nostri autori, Berlusconi è stato capace di infilarsi nelle pance degli italiani perché era simpatico, aveva la grana e tante televisioni a promuovere la sua immagine, unica e sola? Davvero Berlusconi è un uomo dalle capacità elementari («dice sempre le stesse cento parole», sostiene Faenza) che però sa imbonire i suoi "acquirenti-concittadini"? Davvero l’Italia di oggi è tutta figlia del famoso conflitto di interessi che gli ha permesso di megafonare la sua voce in lungo e in largo per tutto il paese? Se qui stesse tutto il problema, imbecille chi non se n’è accorto subito e non ha dato fuoco al circo sin dall’inizio. In realtà, queste spiegazioni un po’ semplicistiche sanno di giustificazione - ritardataria - da parte di chi pensa ancora che se non ci fosse stata la disgrazia Berlusconi, l’Italia sarebbe un altro paese. E che quindi la colpa è tutta sua. Silvio forever, nelle intenzioni degli autori, non è assolutamente anti-berlusconiano, e quindi forse non entrerà nelle grazie del pubblico di sinistra. E’ un po’ troppo ironico - dicono sempre gli stessi - per entrare in quelle della destra. Creerà dibattito, pensano, si infilerà nelle crepe delle contraddizioni di ciascuno, immaginano. In realtà, il problema di Silvio forever sta nella sua pochezza della proposta, nel sembrare più uno schedone lento per un imprecisato programma televisivo, che un film con una sua struttura. Il materiale d’archivio non è particolarmente nuovo, il montaggio a volte casuale, il racconto piatto. Inesistente il paese reale e poco presente anche quello irreale. A parte il divertimento, leggero, che potrà sollecitare agli osservatori stranieri, non sappiamo davvero riconoscere un senso a questa operazione. Se non quella di tirarci ancora qualche martellata sui piedi, come se non bastassero.Roberta Ronconi |
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