R.POLANSKI, TALENTO E SREGOLATEZZA.
 







di Antonio NAPOLITANO




Polanski R.

A Parigi, quest’ anno, uno dei premi "César" è stato assegnato a Roman Polanski per il suo film "Ghostwriter". Per lui, una sorta di compenso alle traversie vissute a causa del processo per stupro intentatogli da un tribunale USA.
Nato in Francia nel 1933, Raymond Lieblinz (vero nome di Polanski), ritorna presto in Polonia con i genitori che finiranno nel ’41 in un lager nazista.
Sarà, così, "uno dei tanti bambini sbandati che girovagano per le vie di Varsavia".
Verrà salvato dalla passione per il teatro: a 14 anni gli viene affidato un piccolo ruolo in un dramma del russo Kataev.
Si iscriverà poi alla scuola di cinema di Lodz, in cui -ricorda- "facevano scarsa presa le teorie di Zdanov (sul realismo socialista)".
In qualche occasione, lavorerà come attore e assistente di Munk e di Wajda.
Tra il 1957 e il 1958 gira alcuni cortometraggi ("La bicicletta", "Il crimine" e "Rompiamo la festa").
È del 1959 il grottesco "Due
uomini e un armadio", apologo dal radicale pessimismo.
Sulla stessa linea sarà "Il grasso e il magro" (1961) che S.Rulli ha catalogato quale "burlesco filosofico", teso a ribadire la tesi dello "homo homini lupus".
Il vero esordio avverrà l’anno dopo, con "Il coltello nell’acqua", vicenda di una coppia che, durante una gita, ospita uno studente col quale, però, nascono gelosie e attriti.
C’è uno scontro violento sulle rive di un lago che si conclude con un annegamento (si rivelerà simulato dallo studente).
Minutamente descritte sono le nevrosi, e le fobie del trio nei pressi dell’acqua grigio-scuro, che assurge a simbolo negativo del fluttuare della vita.
Ed è chiaro il rigetto, da parte del regista, del plot tradizionale con finale  esplicativo.
Recatosi in Inghilterra nel 1965, Polanski vi dirige "Repulsion", storia della giovane Carolina che dopo un incidente, si chiude sempre più in se stessa fine a cadere preda di ripetute allucinazioni.
Con
puntiglio viene visualizzato ogni stato mentale della ragazza che finirà con l’uccidere i due uomini i quali solo per caso si sono imbattuti in lei.
La Deneuve rende assai bene il ribollire delle psicosi che tormentano la protagonista e l’escalation delle sue reazioni inconsulte.
"Cul de sac" del ‘66 è senz’altro una pièce macabra, in cui due malviventi terrorizzano una coppia di pacifici borghesi. È facile rilevare, in molte inquadrature, un certo quoziente di sadismo manovrato con morbosa partecipazione da parte del regista.
E cospicue sono le prestazioni di D.Pleasance e L.Stander.
Di carattere insolitamente brillante, invece, risulterà "Per favore, non mordermi sul collo" (1967), un "balletto" sui vampiri al ritmo focoso di saltarello. Ne sono interpreti lo stesso Polanski e la moglie Sharon Tate.
Una svolta avviene l’anno seguente quando, invitato a Hollywood, il regista realizzerà  "Rosemary’s baby" (da un romanzo di I.Levin).
Mia Farrow è la donna
incinta che sospetta riti satanici da parte dei suoi ipocriti coinquilini, e del suo stesso coniuge in combutta con loro.
Il tema è quello dell’ambiguità del male che non può non attizzare odio e rancore.
Nell’opera Polanski sembra ammiccare ad una "rivoluzione satanica come ad un fenomeno liberatorio". (commenta F.Di Giammatteo).
E una sorta di nemesi diabolica lo colpirà allorché mesi dopo sua moglie verrà brutalmente assassinata nella villa di Bel Air (California).
Nelle 1972, quasi a sfogo del suo "contemptus mundi", va a girare in Gran Bretagna un "Macbeth" di incrementata violenza. 
Stranamente, risulta meno duro il carattere della Lady. Ad ogni modo l’assenza di scrupoli pare legittimare ogni delitto e la vita risulta, appunto, " a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing".
Altra trasferta sarà in quel di Positano dove in una lussuosa villa, il regista dirige "Che?".
Ne viene fuori un racconto alquanto sconnesso sulla
giovane Nancy che subisce assurde crudeltà con una strana apatia.
Solo alla lunga capirà che la fuga potrà liberarla dalla situazione in cui è invischiata.
Nel 1974, Polanski è a Hollywood per "Chinatown" (con J.Nicholson, Fay Dunaway, J.Huston). È un thriller classico sulla scia degli Hammet e dei Chandler, con un detective coinvolto in un fattaccio a causa di una "femme fatale".
Ancora una volta, così, la sregolatezza appare naturale in un mondo senza valori e senza fedi.
Ma è ben solida la struttura narrativa ed è convincente la professionalità degli interpreti.
In Francia, nel ’76, l’autore polacco realizzerà "L’inquilino del terzo piano": un giovane archivista, timido e complessato, fitta un  quartino nel quale si è suicidata la precedente locataria.
E’ lo stesso regista ad impersonare il protagonista, vittima di paure paranoiche. Di rilievo è il contributo figurativo dell’operatore Nykvist che dà sfumature spettrali all’ambiente del dramma.
In
Inghilterra, Polanski tradurrà in immagine il romanzo di Th.Hardy "Tess". Una versione corretta ma sesquipedale (più di tre ore) di una letteratura che sta poco nelle sue corde. Ma i paesaggi sono fascinosi  e Nastasia Kinsky è al suo meglio.
Vari anni passeranno prima di realizzare "Pirati" (1986), in cui le avventure e le sorprese si accumulano in modo precipitoso e perciò poco credibile (un caso di"potboiler" anche per il se cineasta polacco?).
Meglio andrà con "Frantic" (1988) un "giallo" dalla suspense ben controllata: H.Ford è un medico la cui moglie scompare dopo l’arrivo a Parigi. Lui si troverà, involontariamente, imbarcato in un affare di spionaggio. Un racconto che potrebbe portare la firma del migliore Hitchcock.
Alquanto anomalo sarà "Luna di fiele" (1992),film a rischio di porno-soft, con una overdose di distruttività. Ancora una volta, le norme appaiono inconsistenti, come se fossero fatte per essere violate. E traspaiono reminiscenze di traumi personali
e disinganni di vario genere.
Il relativismo etico è profuso a piene mani anche ne "La morte e la fanciulla" (1994).
Come realtà del tutto ovvia vi è presentato lo scambio tra vittima e carnefice (e del tutto asincrona risuona la musica di Schubert).
Sulla stessa linea si pone "La nona porta" (1999) che è, però, meglio congegnato. La storia è imperniata sulla ricerca di un raro testo medievale. Tra pratiche di medium, strani incendi e apparizioni di cadaveri, si salva, sul piano umano, il volto seducente della E.Seigner.
Nel 2002 Polanski ne "Il pianista" arriva finalmente a raccontare le vicende primarie della sua vita in Varsavia. Nel ghetto vive e lavora un pianista che sopravviverà alla Shoà. I suoi atti forse poco lodevoli sono però utili a sfuggire alla morte e vengono descritti con insolita partecipazione dall’autore del film.
Nulla vi appare di vile o di compromissorio, e rimarchevole è la capacità di scartare ogni accenno retorico o celebrativo, in questo
stoico reportage sulla volontà di resistere all’avverso destino.
Così, più che meritato sarà il "Palmarès" assegnato a Cannes.
Di un certo interesse è, poi, la trasposizione di "Oliver Twist" (2005) anche se Polanski  preme sul pedale "nero" della storia dickensiana.
Riesce, comunque, a dare smalto ai personaggi tanto usurati nelle precedenti versioni.
Dopo un episodio di "Erotica" (2007) e un anodino "Uomo nell’ombra", nel 2010, girerà "The ghostwriter" un thriller politico incentrato su di un "negro" contattato per scrivere le memorie di un ex-premier.
Il regista riesce qui a sistemare esattamente i vari livelli di sviluppo della vicenda e a rendere il clima inquietante della complicata storia.
Rischi, pericoli, attentati diventano tutti verosimili. "Ancora più riuscito di "Frantic" è la cosa migliore offertaci da Polanski"  chiosa il critico di "Le Monde", J.L.Donin.
In conclusione, non si può affatto dubitare del talento del regista polacco.
Eclettico, iperattivo, seppur pervaso da quel radicale scetticismo che vede la vita priva di vere regole e che diffida delle convenzioni (e delle convinzioni).
Lo ha ammesso lui stesso dicendo: "gli ideali sfumarono presto e molte furono le delusioni.
Tutto ciò lo ha spinto a descrivere la dialettica negativa inserita nell’animo dell’uomo e le crisi e le angosce che da essa derivano.
Lo ha fatto, però, in modo lucido, facendo -talvolta- trasparire una dolorosa comprensione per tante esistenze tormentate (o malate).
E descrivendo minutamente il labirinto in cui esse si agitano come in un purgatorio fondato tutto sulla terra e senza speranza del Cielo.