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Dilagante fenomeno degli ultimi anni, ben più mediale che squisitamente musicale ed artistico, Giovanni Allevi, diplomato in Pianoforte, in Composizione e dottore in Filosofia, ha, tra i meriti da alcuni attribuitigli, quello di aver divulgato nei giovani l’interesse per la musica classica, sicuramente per il pianoforte. Fenomeno mediale senz’altro, il musicista piceno, per l’ampiezza della popolarità raggiunta e delle vendite discografiche. Circa l’aspetto musicale ed artistico il discorso merita un po’ più di spazio. Cosa è, infatti, la musica classica? E quando una composizione musicale può dirsi artistica? L’arte ha sempre un aspetto funzionale, e c’è da pensare che ogni forma di arte sia nata prima proprio con finalità più materiali. La scrittura ebbe origine per comunicare informazioni pratiche, poi divenne anche poesia, la fotografia per documentare immagini, la cinematografia come sorprendente fenomeno ottico, le arti figurative, si può ipotizzare osservando i disegni rupestri preistorici, per finalità propiziatrici o scaramantiche. Anche la musica ha finalità espressamente funzionali quando nasce per rasserenare, fino conciliare il sonno con le ninnananne, incitare gli atleti impegnati in un agone, far sentire unito un popolo, coordinare i passi di una marcia, o permettere le più spensierate danze. Ma solo ogni elemento di un dipinto, di una fotografia, di una sequenza cinematografica o di un brano musicale rivolto alla ricerca della bellezza ne fa un’opera d’arte, e se per musica classica si intende musica d’arte, sarà musica classica solo quella combinazione di suoni e silenzi rivolta alla ricerca estetica, quella, cioè, che cerca e raggiunge risultati espressivi nuovi o più fini. I ventiquattro preludi opera 28 di Fryderyk Chopin saranno allora musica d’arte, il primo per la particolare sovrapposizione ritmica e l’efficace atmosfera tormentata che lo pervade e che si rasserena definitivamente solo alle ultime battute, il secondo per il senso di rassegnata lugubre cupezza che ingenera, il terzo per l’estrema felice levità, il sedicesimo per la drammatica carica ansiogena frutto di quell’inarrestabile succedersi velocissimo delle note eseguite dalla mano destra su quell’accompagnamento ostinatamente claudicante della mano sinistra, e così via. Complessivamente, momenti musicali quasi sempre brevissimi, questi preludi, ma autentici squarci su mondi emotivi estremamente diversi, un magnifico caleidoscopio degli umori dell’anima. Anche gli studi di Fryderyk Chopin saranno musica classica, perché stupefacente nobilitazione di quell’arida forma musicale strettamente pedagogica che è l’esercizio pianistico appena ingentilito da un tocco di musicalità, ma comunque da eseguire esclusivamente in ambito privato o scolastico, creato per generare, sviluppare e controllare la perizia digitale dell’esecutore, ma forma musicale che grazie al genio del musicista polacco assurge a dignità d’arte ed entra di diritto nei più affollati teatri divenendo “studio da concerto”, perché l’eccezionale compositore utilizza straordinariamente ripetitive forme di esercizi per creare formule sonore mai prima udite, evolvere così le possibilità sonore dello strumento e quindi espressive dei compositori a venire che sapranno trarne tesoro. Studi per il compositore, oltre che per l’esecutore. Si ascoltino, all’uopo, specialmente della raccolta opera 25 il primo, il secondo, il quinto con la sua ricerca di sgraziate sonorità contrapposte all’infinita dolcezza della parte centrale, il sesto, il decimo con il suggestivo effetto della seconda parte che sfuma nella ripresa della prima, geniale sorta di dissolvenza ante litteram. La quinta sinfonia di Ludwig van Beethoven sarà musica classica, per la sapiente costruzione formale che dal primo movimento, drammatico, compattamente costruito su un ossessivo minimo frammento musicale, passa al secondo movimento, rasserenante, quindi al terzo, di marziale riscatto, sbocciando, senza soluzione di continuità, con felicissima coerenza, nell’ultimo movimento, glorificativo, e portando così l’anima dell’ascoltatore, che egli ne sia consapevole o in maniera subliminale, dalla drammaticità della quotidianità terrena all’elevazione dalle miserie del mondo, in spazi superni, trascendenti. Un capolavoro, questa sinfonia, che si può considerare esemplare paradigma della catarsi dell’arte che celebra se stesso. I drammi musicali di Richard Wagner saranno, infine, musica classica, per l’evoluzione che apportano al genere melodrammatico attraverso l’introduzione del leitmotiv e della “melodia infinita”, un uso della musica, insomma, in ben più forte coesione con la rappresentazione. E nei brani di Giovanni Allevi? Particolari costruzioni formali? Armonie innovative? Melodie particolarmente suggestive? Formule ritmiche nuove? Finezza di mondi sonori mai prima ascoltati? Nel migliore dei casi, e compatibilmente con il gusto personale, una ripetitiva gradevolezza che lascia il tempo che trova. Nulla di nuovo sotto il sole. Niente che meriterebbe, al di là di una eventuale, occasionale piacevolezza, di essere conservato, riponendolo in quel prezioso ricettacolo documentario della ricerca umana con i suoni per il conseguimento della maggiore bellezza che chiamiamo musica classica. Evidentemente musica di consumo, contrabbandabile solo per miseri intenti commerciali o per ignoranza dei valori e dei livelli raggiunti dall’arte, ignoranza abbastanza difficile da attribuire ad un compositore diplomato e filosofo laureato. Un fenomeno sociologico incontestabile. Attraverso la promozione mediale del personaggio molti giovani, che evidentemente hanno una ben limitata conoscenza delle migliori possibilità espressive della musica e di un pianoforte, si sono avvicinati così alla musica per questo strumento. Ma è un po’ come nutrire i paesi affamati del terzo mondo con alimenti di bassa qualità. Certo è da preferire alla morte per inedia, ma non sarebbe ancor meglio, per la loro crescita, che avessero cibo migliore? Quando, eticamente, il fine giustifica il mezzo? E specialmente in un campo poi, come quello dell’arte, che, al di là di ciò che si esprime, è soprattutto attento a come si esprime, la forma divenendo un contenuto? Un fenomeno di cronaca, Giovanni Allevi, e neanche tanto originale se si pensa a tanti cantanti e complessi di musica leggera suoi illustri predecessori, che, proprio come quei suoi simili, non sarà mai storia, se non sociologica. Un fenomeno che si può comprendere interamente solo riconoscendo che il successo non è mai la misura del valore di chi lo riceve, ma, purtroppo, di chi lo elargisce. |
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