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Siemens mette in discussione il futuro del settore nucleare |
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Se persino una multinazionale del calibro di Siemens inizia a dubitare della sostenibilità economica del nucleare, vuol dire che c’è qualcosa di marcio, in Danimarca. Per ora sono solo rumors, voci dai lunghi corridoi dell’azienda - che impiega 130mila persone in Germania e più di 400mila in tutto il mondo, con un fatturato per il 2010 di oltre 75 miliardi di euro. Ma pare che nella sede centrale di Monaco il consiglio di amministrazione stia iniziando a valutare la possibilità di abbandonare l’affare del nucleare. L’amministratore delegato Peter Löscher non ha mai puntato tutto sull’atomo, preferendo lo sviluppo delle tecnologie legate alle fonti di energia rinnovabili. Ma sembrava oggettivamente improbabile che Siemens pensasse di separarsi del tutto dal settore nucleare. Poi è arrivato il terremoto in Giappone. E lo tsunami. E il disastro alla centrale numero I di Fukushima, contro cui i tecnici della Tepco stanno ancora lottando, nella speranza di limitare i danni per la popolazione di oggi e quella di domani. Così il clima, l’atteggiamento nei confronti dell’energia atomica, è cambiato. Anche alla Siemens. «Già prima del Giappone», avrebbe detto un insider rimasto anonimo al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, «non si dava completo credito alle previsioni secondo cui nel prossimo futuro si sarebbe iniziato a costruire una centrale ogni due settimane. Dopo il Giappone si può affermare con una certa sicurezza che il futuro non sarà quello. Quei pronostici sullo sviluppo dell’energia atomica non sono realistici». Non valgono più, insomma, le stime di cui Löscher aveva parlato tempo fa pubblicamente, fino a 400 nuovi reattori con un volume di investimenti che avrebbe potuto raggiungere mille miliardi di euro entro il 2030. La bolla è scoppiata. All’abbandono dell’affare nucleare sarebbero inoltre anche favorevoli i rappresentanti dei lavoratori e il sindacato di categoria, l’IG-Metall, che nella sua carta dei principi ha addirittura scritto nero su bianco che «il nucleare non ha futuro». «Siamo convinti», ha continuato la fonte anonima, «che con le energie rinnovabili nel lungo periodo si creeranno più posti di lavoro che non con la costruzione di altre centrali nucleari». Chiaramente la volontà dei lavoratori da sola non sarà sufficiente a spostare gli equilibri aziendali, ma Siemens e l’amministratore delegato Löscher, negli ultimi anni, hanno dimostrato una certa sensibilità alle opinioni dei lavoratori. L’azienda cerca sempre di avere un’appoggio convinto sulle questioni strutturali che riguardano il suo sviluppo. Comunque ci sarebbero ancora alcuni contratti da onorare, e altri investimenti da considerare. Come quello chiuso due anni fa con Rosatom, per esempio, l’agenzia nucleare statale russa, a cui Siemens si è rivolta per acquisire con una certa velocità know-how sulla costruzione di nuove centrali nucleari. La multinazionale tedesca dovrà mettere in conto la possibilità che un abbandono imprevisto del settore nucleare la porrebbe in cattiva luce con la Russia. Il che potrebbe costare a Siemens importanti appalti per le infrastrutture che la Russia dovrà costruire nei prossimi anni. La decisione sul futuro nucleare dell’azienda non è, oggi, all’ordine del giorno. Ma se ne sta comunque discutendo, ora che il quadro politico, dopo la tragedia di Fukushima, in qualche modo lo impone. Sulla scelta definitiva della multinazionale peseranno più di tutto le decisioni del governo Merkel e di quello che gli seguirà. Quanto più rapida sarà la road map prevista per l’abbandono del nucleare in Germania, tanto prima Siemens, verosimilmente, abbandonerà gli investimenti nello sviluppo dell’energia atomica. Attualmente il governo Merkel - lo stesso che aveva votato lo scorso settembre il prolungamento della vita delle centrali in media di 12 anni - ha varato una moratoria di tre mesi che ha praticamente portato allo spegnimento di sette reattori su diciassette. Tutti quelli costruiti prima del 1980. Le difficoltà che sta attraversando il governo di centrodestra (vedi in alto la notizia sul cambio al vertice dell’Fpd e la fine politica del ministro degli esteri Westerwelle), in calo costante nei sondaggi e punito in tutte le tornate elettorali regionali degli ultimi mesi, potrebbero indurre la cancelliera a ripensare la politica nucleare tedesca, diventata, dopo Fukushima, ancora più impopolare. Matteo Alviti |
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