Benigni show sulla democrazia
 











Ieri sera, al Palaolimpico di Torino, ad applaudire Benigni c’ero anch’io. Non era la prima volta che assistevo alle sue lezioni spettacolo, ma non l’avevo mai sentito commentare il sesto canto del Purgatorio: anzi, credo che fosse appunto una novità, commissionata da Zagrebelski per coniugare lo forma dello spettacolo-apertura con la sostanza della Biennale della Democrazia.
La prima parte dell’esibizione, come ormai di norma per i monologhi di Benigni, è stata un fuoco d’artificio di satira politica. Sfottendo il premier, che a Lampedusa non aveva trovato di meglio che dimostrare agli isolani la sua vicinanza comprando una villa nell’isola, Benigni ha annunciato che avrebbe comprato Palazzo Madama, e trasformato l’adiacente Palazzo Reale in un Casinò: Casinò Royale, appunto.
L’unica battuta politica che è caduta nel gelo della sala è stato il riferimento al fatto scandaloso che il Partito Democratico torinese presenterà come candidato alle
prossime elezioni comunali Giusi La Ganga: uno degli ex notabili del Partito Socialista di Craxi, condannato a un anno e otto mesi per tangenti nella prima fase di Mani Pulite, e oggi ripescato sulla base della logica autolesionista del Pd.
La grande maggioranza del pubblico sugli spalti del Palaolimpico era composta di giovani, che probabilmente non avevano mai sentito parlare di La Ganga. La grande maggioranza dei notabili sotto il palco, che invece lo conoscevano benissimo, ha finto di dimenticarsene, tenendo in serbo gli applausi per le più scontate battute su Berlusconi. Se Benigni fosse stato il John Lennon del Concerto Reale del 4 novembre 1963, avrebbe causticamente incitato gli spalti ad applaudire, e la platea a far tintinnare i propri gioielli democratici.
Quanto a me, ricordo e non dimentico, e ho deciso che non voterò alle comunali: già la candidatura a sindaco di un dinosauro ex-comunista era difficile da digerire, ma la candidatura a consigliere di un ladro
ex-socialista va oltre la misura. Secondo Benigni, si tratta di un tentativo di combattere Berlusconi scendendo sul suo terreno: il che fa ridere come battuta, ma fa piangere come politica. E allora, non ci resta che piangere, senza votare.
Affrontando Dante, Benigni ha poi mostrato di aver assimilato le Lezioni di letteratura di Nabokov, secondo il quale chi legge è infantile se si interessa alla storia, adolescenziale se ricerca una morale, e maturo se si preoccupa della struttura dell’opera. Agli infantili l’attore ha raccontato di Dante, Virgilio, Beatrice e Sordello. Agli adolescenziali il politico ha suggerito paragoni fra la “serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello” di allora e di oggi. Ai maturi l’esegeta ha offerto interessanti spunti sugli accenti degli endecasillabi danteschi, che cadono quasi sempre sulla sesta sillaba, ma in momenti cruciali finiscono sulla settima o sull’ottava.
L’unico appunto che
si potrebbe fare è che le due parti dello spettacolo, la satira politica e la lettura dantesca, sono state diacroniche, invece che sincroniche. Benigni ha troppo rispetto per Dante (nel senso letterale che ne ha più del dovuto) per pensare di poter leggere solo una parte di un canto. Purtroppo, l’inizio del sesto del Purgatorio è una lista di nomi che dicevano qualcosa allora, ma niente ora. Tentare di spiegare il tutto ha allungato oltre misura lo spettacolo, al limite della capacità di concentrazione e dell’interesse.
Il motto leninista “meglio meno, ma meglio” avrebbe suggerito di concentrarsi sull’invettiva politica, e di attaccarsi a quella per la satira dell’attualità, a partire dal “bordello”. Ma è sciocco voler insegnare ai gatti ad arrampicarsi: la standing ovation che l’ha salutato la fine delle due ore e mezzo dimostra che il Benigni nazionale ha fatto centro ancora una volta. Resta da vedere se, come diceva Dante nella Tredicesima Lettera, la poesia può veramente
incitare all’azione. O se, usciti dal Palaolimpico, le belle parole si dimenticheranno e cederanno il posto ai brutti voti.
de la repubblica-Piergiorgio Odifreddi