LO STATO SOCIALE DELLA NATURA UMANA
 







di Cosma Orsi




Walker Evans

Fin dove è possibile spingerci nella riflessione sul concetto di Welfare state? Gli interventi apparsi sui principali quotidiani italiani - tra i quali spicca quello di Bruno Amoroso apparso su Il manifesto del 9 dicembre 2005) - impongono una riflessione sui differenti modelli di Stato sociale oggi esistenti in Europa. C'è chi preferisce il modello universale scandinavo, chi quello anglosassone alla Beveridge, chi quello tedesco più incentrato sulla protezione di coloro che sono all'interno del mercato del lavoro. Tutti questi modelli, più o meno universali ed inclusivi, hanno come caratteristica comune: rappresentare il compromesso tra capitale e lavoro, o come dice ha scritto sempre su questo giornale Andrea Fumagalli, «un tentativo di ridurre gli effetti iniqui e distorsivi legati ai processi di libero mercato». Il sistema di Welfare State oggi vigente in Italia ha rappresentato per mezzo secolo il tentativo di salvaguardare, con tutte le contraddizione e in alcuni casi il clientelismo che l'ha contraddistinto, le categorie sociali più deboli all'interno di un paradigma fordista-taylorista. Nel momento in cui quel modello produttivo risulta essere più che mai obsoleto, come è possibile mantenere un alto tasso di coesione e inclusione sociale? L'unica strada percorrribile passa attraverso la riformulazione di un patto sociale capace di prendere in considerazione le problematiche che accompagnano l'attuale trend economico. Da qui la necessità di mettere a fuoco una metodologia che, combinando una dimensione prettamente filosofica ad una più squisitamente economica, aspiri a contribuire al processo di legittimazione politica e morale di un nuovo patto sociale in grado di proteggere il Welfare State in un momento in cui, in nome del libero mercato, ne viene chiesto il suo smantellamento, affrontando il problema della sua trasformazione.
La società degli indifferenti
La teoria economica oggi dominante ci presenta il
mercato come l'unico meccanismo economico capace di contrapporsi a ogni forma di «governo totalitario», garantendo al contempo un livello di benessere accettabile per tutti. Tuttavia, ogni descrizione del mercato come miglior meccanismo allocativo è in palese contraddizione con il livello di ineguaglianza, povertà, disoccupazione, deprivazione e sfruttamento che caratterizza le nostre società. Come sostiene infatti la filosofa sociale, nonché docente alla George Mason University della Virginia, Carol Gould le «pratiche quotidiane del mercato dimentichino ogni considerazione concernente l'eguaglianza e la cooperazione sociale» (Globalizing Democracy and Human Rights, Cambridge University Press). Ci sono inoltre infiniti casi che mostrano come, per sostenere se stesse, molte delle società contemporanee basate su economie di mercato sono caratterizzate da sistemi politici oppressivi e autoritari.
In un contesto sociale in cui ognuno cerca di massimizzare la propria utilità rimanendo
insensibile al successo o al fallimento altrui, non c'è molta speranza di concepire il bene comune. Un sistema di cooperazione sociale che permette ai potenti, in termini economici, di incrementare la propria posizione nella società esercitando forme di dominio e di oppressione può ben dirsi governata da quello che lo studioso inglese Norman Geras ha definito Contratto di Reciproca Indifferenza, come recita d'altronde il titolo del suo libro pubblicato in Inghilterra da Verso. Individui razionali e competitivi si trasformano in attori sociali chiusi in un circuito individualista asettico - difensivo e auto-conservativo. Scollati dal contesto sociale, essi diventano incapaci di trasformare i propri comportamenti in pratiche e decisioni che mirino al benessere collettivo. Sebbene essi percepiscono chiaramente la sofferenza altrui a livello razionale, essa non riesce a raggiungere la sfera emotiva delle persone.
In una realtà sociale governata da tale «contratto», la libertà e il
benessere degli individui vengono costantemente sminuite proprio dalle crescenti ineguaglianze socio-economiche. Una società all'interno della quale una élite estremamente privilegiata, nel nome della massimizzazione del profitto, può sfruttare la maggior parte delle persone comuni è politicamente e moralmente intollerabile. In questo consiste la critica che le teorie della giustizia rivolgono a un modello di sviluppo fondato unicamente sul mercato.
Queste critiche tendono però a trascurare l'analisi della struttura socio-economica della società. E' però indispensabile sgombrare il campo da equivoci e affermare che la teoria economica deriva sempre dal modo in cui concepiamo la società e che, a sua volta, non può prescindere dal modo in cui si concepisce l'essere umano e dal modo in cui gli uomini e le donne si relazionano gli uni con gli altri. L'interazione tra gli individui dipende dai valori (libertà, eguaglianza, solidarietà) che gli uomini considerano fondamentali. Pertanto la
domanda dirimente è: quali sono le norme che regolano lo scambio sociale nelle società dominate dal libero mercato? Si tratta di uno scambio tra eguali o, al contrario, è uno scambio tra soggetti economici che hanno un potere ineguale? La teoria economica incontra qui un limite, che solo la filosofia politica può superare. E' ovvio che in questi termini la filosofia politica assume un'accezione particolare. All'interno di questa cornice di riferimento, infatti, per filosofia politica si intende uno sforzo intellettuale che mira ad individuare un modello di vita comune all'interno del quale le disuguaglianze socio-economiche siano progressivamente ridimensionate o, preferibilmente, nulle. Solamente dopo aver identificato tale modello sarà possibile elaborare una visione economica sufficientemente forte in grado di affrontare il problema di come il potere socio-economico viene distribuito all'interno delle nostre società.
L'argomento individualista per cui gli esseri umani devono
essere visti come attori sociali indipendenti in cerca del soddisfacimento del proprio tornaconto personale non riesce tuttavia a catturare la dimensione sociale della vita umana. Per questo motivo, è necessario fare riferimento a una concezione della natura umana opposta, incapsulata dalla nozione di persona-in-comunità proposta da Herman Daly e e John Cobb nel libro For the common goods (Beacon Press).
Ciò che sostiene questa concezione dell'essere umano è l'idea che le persone-in-comunità diventano ciò che sono attraverso le relazioni sociali che esse sono capaci di instaurare. In questo senso, la loro appartenenza alla comunità dovrà essere intesa come un processo attivo e non passivo. Soltanto attraverso una attiva e reciproca cooperazione ad ogni livello sociale, da persona a persona, da gruppo a persona e viceversa - ad esempio scambiando beni e servizi o condividendo tempo con altri, etc. - diventa possibile comprendere che è nell'interesse di ognuno farsi carico dei bisogni
altrui.
Questo modo di concepire la natura umana pone l'accento sui legami civici piuttosto che sulle relazioni impersonali di mercato; in secondo luogo, piuttosto che puntare sul tornaconto personale, esso considera norma fondamentale la reciproca solidarietà. Infine, se ogni persona-in-comunità è consapevole di essere costantemente interrelata con gli altri, le possibilità che si sviluppi una cultura morale informata da un etica di solidarietà reciproca aumenta in maniera esponenziale.
In reciproca solidarietà
Quale contratto può legare le persone-in-comunità, consapevoli del fatto che le loro vite sono inestricabilmente legate le une alle altre? In un contesto relazionale, è possibile aspettarsi che i contraenti sostengano un contratto sociale per cui ognuno di loro possa trarre benefici dal sistema di cooperazione sociale a seconda dei propri bisogni, contribuendo, al contempo, a seconda delle proprie abilità: un Contratto di Reciproca Solidarietà insomma. La nozione di
giustizia che supporta questo contratto sociale può essere definita giustizia come reciprocità: da un lato, sarà infatti responsabilità delle istituzioni sociali, economiche e politiche assicurare ad ogni membro il godimento di un'elevata autonomia individuale e di un adeguato livello di benessere; dall'altro, in quanto il benessere delle persone-in-comunità richiede la cooperazione e coordinazione di molteplici individui attraverso procedure sociali, processi collettivi e istituzionali disegnati appositamente con lo scopo di assicurare diritti legittimi e positivi alle risorse, insieme alla consapevolezza di avere responsabilità morali nei confronti dei propri simili. Pertanto, all'interno di questo ordine socio-economico la solidarietà non deve essere pensata come uno scambio unidirezionale. Piuttosto, richiede un investimento in reciprocità e coesione sociale: le persone-in-comunità trovano sufficienti motivazioni per contribuire al benessere della comunità a seconda delle loro abilità.
In quest'ottica, i governanti avranno la responsabilità di liberare quelle potenzialità inutilizzate all'interno delle società di mercato, ma che sono parte costituente di ogni essere umano. Ciò richiederà loro di essere seriamente impegnati nella costruzione di istituzioni all'interno delle quali le persone possano sentirsi parte integrante. Si tratta di promuovere una partecipazione attiva non solo all'interno dell'arena politica, ma anche in quella sociale ed economica. In secondo luogo essi dovranno mettere a disposizione le risorse necessarie per evitare che forme di dominio ed oppressione possano essere perpetrate da parte dei potenti in termini economici.
Negli ultimi 250 anni gli economisti hanno modellato le loro teorie secondo una cornice istituzionale basata su due pilastri fondamentali: lo stato e il mercato. Partendo dalla premessa che i presupposti ontologici su cui si basa la teoria economica dominante non permettono di comprendere fino in fondo quanta
influenza abbiano le relazioni sociali sull'attività economica, la proposta che qui si avanza è quella di investigare un modo di organizzare l'attività economica che tenga in seria considerazione il ruolo della società civile in materia di sviluppo economico. L'economia politica della solidarietà riconosce infatti l'importanza della dimensione sociale: aspetti importanti delle relazioni interpersonali non possono essere accomodate all'interno di una cornice di riferimento individualistica-utilitaria come quella che supporta l'attuale meccanismo di produzione-distribuzione-consumo.
Se tutte le persone-in-comunità godono di un eguale valore morale, ne segue che tutti devono avere un accesso eguale alle attività e alle pratiche che sono centrali per la società. In questi termini, la nozione di valore non può far riferimento soltanto alla misurazione del prodotto netto bensì essa dovrà far riferimento alle norme che regolano lo scambio sociale. Rifiutando l'idea dominante che la
creazione del valore sia sintetizzabile nel prezzo di equilibrio tra domanda e offerta in condizioni di libera concorrenza, l'economia politica della solidrietà ritiene che il valore sia il frutto di un sistema di cooperazione sociale; quindi il valore deriverebbe dall'interazione sociale che permette ad ognuno di sviluppare pienamente le proprie potenzialità in termini di cooperazione sociale.
Da qui discende il meccanismo di produzione e distribuzione: la società è un tutt'uno organico, quindi nessun settore della popolazione può essere escluso dall'attività economica. Questo modello di sviluppo richiede la coesistenza di una economia di mercato e di una economia «non di mercato», all'interno della quale le agenzie governative abbiano il mandato di redistribuire equamente sia il potere che le risorse, e un dominio di reciproca solidarietà, sociale e associativo. Le istituzioni principali della società non dovranno più assegnare un prius logico ad una razionalità di marca
utilitarista: l'efficienza economica, il profitto fine a se stesso e la competitività non potranno essere le sole coordinate per organizzare l'attività economica.
Lo stato dei partner
In questo sistema di cooperazione sociale le istituzioni dovranno assumersi il compito di sostenere una partecipazione diffusa sia alle attività di mercato che a quelle non di mercato: in ciò sta una delle premesse per l'eguaglianza socio-economica, l'equa distribuzione della ricchezza, le opportunità di lavoro, e la capacità di soddisfare i bisogni primari delle persone.
In primo luogo lo stato dovrà farsi carico di ridurre i privilegi di chi trae potere da un'iniqua distribuzione delle ricchezze. L'attuale sistema di Welfare State è in grado di far fronte a questo compito solo entro certi limiti: per redistribuire il potere sociale e economico è necessaria una cornice istituzionale più sofisticata in grado di promuovere un meccanismo ridistribuivo che sia effettivamente in grado di ridurre
l'esclusione sociale che deriva dalle funzioni del mercato. L'economia politica della solidarietà sostiene invece che per permettere alle persone-in-comunità di contribuire al sistema di cooperazione sociale, lo stato non dovrà rimanere un «regolatore burocratico esterno alla vita economica» ma dovrà essere «parte integrante nella lotta di trasformazione delle relazioni sociali». Per questo l'attuale modello di Stato sociale, in tutte le sue attuali declinazioni, deve essere profondamente rivisitato.
Detto in modo esplicito, il tentativo di instaurare un ordine sociale più giusto e coeso richiede la sostanziale trasformazione dello stato in ciò che potrebbe essere definito un Partner State, cioè rispettoso degli interessi, decisioni, e bisogni di ognuno dei suoi membri. Se il Partner State deve essere parte integrante del processo di trasformazione delle relazioni sociali, allora tra i suoi compiti ineludibili ci dovrà essere l'emancipazione dal dominio economico di tutte quelle
forme di cooperazione sociale in cui le relazioni umane rappresentano una componente fondamentale. Se davvero si vuole che un ordine economico nel quale un rinnovato senso di appartenenza basato su valori quali l'eguaglianza sociale, la reciproca solidarietà, e volontaria cooperazione possa trasformarsi dalla sfera dell'utopia a quella della realtà, il Partner State dovrà proporre nuove politiche strutturali: diventa allora necessario studiare la sostenibilità economica del reddito di esistenza (inteso come una somma di denaro distribuita regolarmente a tutti le persone-in-comunità e pagata senza la richiesta di nessuna contropartita) e rilanciare con convinzione su scala quanto meno europea una politica di riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario.
Un patto sociale così definito potrebbe trasformare le nostre società in luoghi dove ognuno di noi sarebbe felice di vivere. Il dominio e l'oppressione diverrebbero una memoria del passato. Una nuova forma di libertà, piena ed
effettiva diverrebbe una realtà concreta.da Il Manifesto