La protesta si sposta dal territorio al web. Ecco perché la Lega ha perso le elezioni
 











On.Bossi

Nella sua lunga vita politica, che supera ormai il quarto di secolo, è probabilmente la prima volta che la Lega si trova completamente "spiazzata" dalle urne. E’ spesso accaduto in passato che smentisse le previsioni dei sondaggisti e degli intellettuali (che la davano per ininfluente o marginale o avviata alla fine). Eppure dall’interno aveva il polso della situazione e dei comportamenti reali dell’elettorato, anche quando si "annusava" un arretramento. Questa volta, mentre gli esperti la prevedevano con il vento il poppa, la battuta d’arresto è arrivata inattesa, incomprensibile e per questo ancora più dolorosa. E’ tutt’ora palpabile il disorientamento di un gruppo dirigente, pur sperimentato da mille battaglie, di fronte a risultati così inferiori alle aspettative. E forse quello che più angoscia è la caduta dell’illusione a lungo coltivata di poter scindere cinicamente la propria fortuna elettorale dalle sorti dell’alleato storico e da un partito, il PDL, attraversato da tempo da conflitti e tensioni tipici di una avventura al tramonto. Sembra proprio, invece, che il "blocco sociale" del Nord che pure ha dominato una lunga stagione politica appaia prigioniero di un comune destino. Anche nel Carroccio, infatti, le guerre intestine hanno avuto il loro peso che al voto si è fatto sentire. Le polemiche sulle candidature nelle roccaforti del varesotto (e non solo) hanno fatto emergere la pochezza culturale e la mediocre gelosia del "cerchio magico" (ovvero la pattuglia ristretta che circonda il leader e che, oltre ad occuparsi della sua salute, ha tentato a lungo di condizionarne le scelte).
Fino al punto di sciupare il ruolo e l’immagine di Renzo Bossi, il Trota figlio del capo, di suo già collegato ad amicizie politiche poco edificanti nel suo feudo bresciano, da dove sono giunti i risultati più disastrosi per la Lega nei comuni della provincia. Del tutto incolpevole, invece, il Trota è stato usato come testa d’ariete
per bloccare avversari interni al "cerchio magico": prima lo si voleva lanciare su Bologna e poi su Milano. Con l’effetto di tenere in stand-by il possibile vice-sindaco che, magari, partendo subito in ticket con la Moratti, poteva farla meglio digerire al popolo leghista delle periferie. Il successo personale di Matteo Salvini (oltre novemila preferenze) da la misura dell’occasione sprecata. Forse il Bossi (Umberto) rimpiange di non aver insistito abbastanza l’estate scorsa, quando, dopo il "ribaltino" di Fini, reclamava "l’igiene del voto politico anticipato". E forse, in tempi più vicini, di non aver picchiato più duro contro la guerra alla Libia, respinta dal sentire popolare, e invece incoraggiata , anche per i vincoli internazionali, dall’establishment, compreso quel Quirinale con il quale Bossi coltiva comunque un rapporto preferenziale, magari in vista di sviluppi futuri.
La comune sconfitta paradossalmente stabilizza per ora il governo. E tuttavia, nel desiderio diffuso e
forse confuso della società di voler comunque voltare pagina, la Lega disorientata si interroga sul suo vero incubo. Quello cioè di scoprirsi "impiccata al vecchio", proprio quando non è ancora riuscita a portare a compimento la sua rivoluzionaria ragione sociale, quel federalismo tanto inseguito con tenacia e tuttavia non ancora rimbalzato sulla vita della gente. Il Carroccio, come notava di recente Giuseppe De Rita, è adesso "obbligato a ripensare sé stesso": e il primo voto amministrativo certifica oltretutto che la Lega non è più l’unico tram su cui sale la protesta, una protesta magari informe e tuttavia sempre più "internettiana" e sempre meno territoriale. Giuseppe Baiocchi-affaritaliani