Il (frusto) talento di mr. Berlusconi
 











La storia, tanto quella remota quanto quella contemporanea, è satura di esempi di dittatori che hanno dominato i propri paesi da violenti satrapi, potendo contare su un’adesione di massa, non esclusivamente costruita sulla paura, ma anche su un’autentica risonanza con i sentimenti popolari. Insomma, in virtù di un mix fatto di «coercizione+consenso», esercitando cioè, in forme diverse, una vera e propria egemonia.
E’ persino superfluo sollecitare la nostra memoria, perché un riflesso spontaneo ci fa risalire al ventennio nero della prima metà del secolo scorso.
Quando oggi capita di imbattersi nei “Film Luce”, nell’ampia documentaristica che fissa le immagini del regime e la tronfia, grottesca esibizione muscolar-machista di Benito Mussolini, pare impossibile che masse di popolo abbiamo potuto riconoscersi nelle macchiettistiche esibizioni del Duce e subirne così intensamente la fascinazione. Ancor più, e ancor più gravemente, che tanta gente
abbia potuto accogliere con uno stato d’animo di delirante esaltazione, al grido ritmato di «Hitler-Hitler, il paranoico führer tedesco che nel 1938 si affacciava al balcone di palazzo Venezia per suggellare con Mussolini l’alleanza della Germania nazista con l’Italia fascista, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Oggi, in forme diverse, e in un contesto fortunatamente meno drammatico, è accaduto che il nostro Paese - smarriti in cospicua parte la lezione e i lasciti resistenziali - si sia consegnato ad un cripto-dittatore che si è impadronito di un immenso potere, economico, politico, mediatico, usato con spregiudicata arguzia per divellere la democrazia costituzionale e sostituirla con una satrapia personale, refrattaria ad ogni regola o vincolo istituzionale.
Per lungo tempo, un blocco sociale reazionario e clericale si è coagulato intorno alle pretese virtù dell’uomo che ha operato come se il Paese fosse un’impresa e - precisamente - la sua impresa, gestendolo con
sicuro istinto di classe, smantellando, uno dopo l’altro, tutti o quasi tutti i presidi che le lotte operaie e la legislazione di un trentennio avevano elevato a riscatto e protezione del lavoro. Inevitabile che una simile impronta politica incontrasse il consenso dell’area più dichiaratamente antisindacale del revanscismo padronale, quella che ha eletto Marchionne a proprio simbolo e stella polare.
Questo coacervo di interessi privati, spesso inconfessabili e refrattari ad ogni percezione del bene pubblico, gestito da un personale politico incapace e insieme corrotto, selezionato con criteri da corte medioevale, ha precipitato il Paese in una crisi politica, sociale, morale senza via d’uscita, accentuandone gli elementi di crisi strutturale cui non ha mai neppure immaginato di porre mano. Le pulsioni secessioniste e la deriva razzista portate in dote al centrodestra dalla Lega Nord hanno completato il profilo “culturale” di una compagine ormai incapace di reggere le sorti di una
nazione disillusa dalle rodomontate del premier e stremata dalla inconsistenza della sua politica.
La vicenda milanese e la spettacolare somma di errori in cui è incorsa Letizia Moratti, e non solo nella sua farsesca campagna elettorale, sta facendo comprendere anche ad un’area politica moderata, che il cavallo è zoppo e il copione che in passato consentiva di mietere consensi è ormai irrimediabilmente logoro. Quello che, nello stesso tempo, sta accadendo a Napoli, vale a dire l’implosione di sistemi di potere che parevano indistruttibili, consolidatisi nell’intrico perverso di affari-politica-camorra, rivela che qualcosa di davvero nuovo sta scuotendo un popolo non più rassegnato ad un’umiliante decadenza.
La stessa vergognosa manovra messa in atto da Berlusconi per impedire o oscurare i referendum su acqua e nucleare, attraverso un esproprio incostituzionale del diritto dei cittadini al voto, deciso dal parlamento ricorrendo all’ennesimo voto di fiducia, non è - come fa mostra
di credere il premier - una dimostrazione di forza, bensì di debolezza dell’esecutivo: l’espressione di una prepotenza, di un’arrogante presunzione di onnipotenza che non pagano più.
Forse il crepuscolo di questa terribile fase politica sta arrivando alle battute finali. E come sempre in questi casi, tutto quello che era rimasto sospeso a mezz’aria precipita a valle rovinosamente.
Ora si schiude la possibilità di una stagione nuova, nella quale tutti i giochi possono riaprirsi. E dove la forma istituzionale che ha interpretato ed ingessato la politica italiana - il sistema elettorale maggioritario e il suo frutto più velenoso, il bipolarismo coatto - può essere finalmente messa in discussione.
La sinistra, se nuovamente unita, se miracolosamente capace di abbandonare rancorose ritorsioni ed interne laceranti concorrenze, può tornare finalmente a dire la sua: nel Paese e dentro il parlamento. Dino Greco