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Quel "papa laico" in Calabria, ma non è Benedetto Croce |
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A volte i film incrociano le nostre domande sulla realtà politica e sociale che ci circonda, sollecitando riflessioni, contribuendo a farci conoscere aspetti poco esplorati del mondo intorno a noi. Mi è capitato con "Corpo celeste" - riuscita prova di esordio alla regia di Alice Rohrwacher, autrice anche della sceneggiatura (e sorella della bravissima attrice Alba). Il film, ambientato a Reggio Calabria, pur presentandosi come una fiction, è anche un saggio, un po’ come lo era "Noi credevamo" di Martone. Quest’ultimo era una lezione universitaria, di storia del Risorgimento. "Corpo celeste" invece è un saggio socioantropologico - per cui l’autrice ha fatto una vera e propria "ricerca sul campo" - che indaga il Sud profondo, il sincretismo culturale che ha parte importante in alcuni settori (non in tutti, sia chiaro) della società meridionale (e forse non solo). Viene naturale pensare ai recenti risultati elettorali calabresi fare eccezione rispetto al positivo trend nazionale, ma ha una valenza più generale, anche perché la pesante sconfitta delle sinistre in Calabria è dovuta in primis agli errori, recenti e meno recenti, della locale classe politica "di sinistra". (E contro i troppo facili processi di "naturalizzazione" dei fenomeni sociali occorre ricordare che non è stato sempre così, che la Calabria ha scritto pagine importanti, anche in anni recenti, nella storia della democrazia del nostro paese). La storia del film è quella della tredicenne Marta che torna con la madre e la sorella a Reggio dalla Svizzera dopo dieci anni di emigrazione. Non voglio parlare delle capacità - a mio avviso notevoli - della giovane regista-sceneggiatrice, né del disegno psicologico di una adolescente che scopre le falsità del mondo. Voglio parlare dello spicchio di società che "Corpo celeste" illumina, fatto di gente semplice, non ricca ma neanche in miseria, che lavora e "tira avanti", accontentandosi. I "semplici" di cui parla Gramsci. In gran parte non è gente bigotta, ma riconosce alla chiesa e al sacerdote del luogo un ruolo sociale importante, di guida, anche perché la parrocchia è l’unico luogo visibile di aggregazione, oltre alla comunità parentale. Il prete appare qui essere ancora, come nella Quistione meridionale gramsciana, il vero "intellettuale" della comunità locale: egli organizza una parte della vita sociale (feste, processioni, ma anche case in affitto) e canalizza il consenso elettorale - in favore del centro-destra, naturalmente. Chiede di votare per un certo candidato senza fare discorsi politici, poiché la politica come idealità, passione o mezzo per difendere i propri interessi è fuori dall’orizzonte della gente alla quale si rivolge, è una cosa estranea, di cui non si sa molto, che non si capisce. Chiede il voto sulla base della fiducia, sulla base del suo abito e del suo ruolo. Ma non vi sono solo la chiesa e il prete, al centro della vita socioculturale del quartiere di periferia di Reggio dove il film è ambientato. Come in Gramsci (di nuovo) i "papi" sono due, vi è anche un "papa laico". Non è più, però, Benedetto Croce. Molto è cambiato dall’Italia degli anni 20, i mass media hanno conquistato un ruolo centrale nell’ambito del gramsciano "apparato egemonico". Il nuovo "papa laico" è Silvio Berlusconi. Si badi, il nome neanche viene mai pronunciato, nel film, né mai compare la nota immagine del "caimano". Il Berlusconi "papa laico" a cui mi riferisco, del resto, non è quello "sceso in politica", ma quello precedente, che con le sue tv commerciali ha radicalmente cambiato la cultura diffusa del nostro paese (non era inevitabile, non è accaduto in queste proporzioni in altri paesi europei). Nelle case di "Corpo celeste" la tv è sempre accesa. Nessuno guarda mai - è ovvio - i programmi di Santoro o Gad Lerner. Sono i format leggeri e di intrattenimento a costituire la colonna sonora dei "semplici", colonna fatta di giochi, barzellette, canzoncine e balletti, guardando i quali le bambine fin da piccole sgambettano, ma sotto lo sguardo vigile delle mamme, in un ambiente ancora "sano" (si fa per dire), lontano dal disordine quotidiano della borghesia descritta da "Ricordati di me" di Muccino. Fin qui tutto abbastanza noto. La cosa notevole del film, che fa pensare, è che le due "agenzie egemoniche" presenti nella vita della gente di "Corpo celeste", la chiesa e la tv commerciale, coesistono bene, come coesistevano nell’Italia di Gramsci il grande filosofo laico e liberale e la religione a cui Croce stesso riteneva fosse da demandare l’educazione dei "semplici". Oggi, anzi, il "papa laico" e il suo "apparato egemonico" non solo non si arrestano alle soglie del "mondo popolare subalterno", ma entrano nella sua quotidianità e influenzano anche l’altro "papa", il mondo religioso, la parrocchia: i due linguaggi si integrano, le canzoni con cui i bambini preparano lo "spettacolo" della cresima rieccheggiano - nei ritmi e nelle parole - quelle della tv, promettono di "sintonizzarsi" su Gesù, come ci si sintonizza su una frequenza, su un canale televisivo. I due apparati egemonici, laico e religioso, formano un tutt’uno che guida la vita ideologica dell’intero tessuto sociale descritto, semplice, non ricco, ma non del tutto degradato. Certo, lo sappiamo, e lo ribadiamo con forza, anche in Calabria come nel resto d’Italia la società non è tutta così, i "subalterni" e i "semplici" non sono tutti così, esistono forze progressiste e sindacali, militanti e idealità non "inquinati" dal clientelismo e non fagocitati dal berlusconismo; né la chiesa e l’esperienza religiosa sono certo tutte come l’impasto di furbizia e ignoranza che il film con tocco leggero e quasi senza giudicare descrive. Ma il film ci ricorda che c’è tutto un mondo intorno a noi che non raggiungiamo o che non raggiungiamo più, in cui i "movimenti" non sono mai entrati, in cui non solo i giornali ma anche la televisione "intelligente" non ha cittadinanza, in cui la spoliticizzazione di massa è fatto acquisito, in cui i "semplici" hanno ancora e solo una certa chiesa a guidarli, a orientarli, oltre che ad aiutarli. La cosa per noi drammatica, o almeno che io sento come drammatica, è che oggi questo mondo è proprio il mondo dei poveri, dei disoccupati, dei lavoratori più semplici e sfruttati. Occorre porsi il problema di come comunicare davvero con questo vasto "mondo popolare subalterno", anche nel "profondo Sud", senza arrendersi alla idea che il destino della sinistra sia ormai solo quello di mobilitare il "ceto medio riflessivo", colto e progressista. Ma come arrivare alla "gente" di cui parla il film? Non esistono risposte certe. Ricordo però che fra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70 gruppi di giovani, dentro e fuori il Pci, spesso di matrice "cattolica" ma non solo, andavano nelle "borgate" e nei quartieri popolari di Roma a fare il doposcuola, o ad aiutare a compilare moduli per richiedere diritti, primi passi per iniziare a portare una "nuova concezione del mondo" e organizzare quindi le lotte per la casa o per l’autoriduzione delle bollette. Intendo dire che è sbagliato credere che tutto sia da delegare al leader carismatico, a internet, o anche alla tv, dove tra l’altro l’avversario ha mezzi infinitamente superiori. Senza trascurare certo i media, vecchi e nuovi, un contributo alla costruzione di contro-egemonia, specie in direzione dei ceti più poveri e "semplici", può e deve venire dalla presenza e dall’azione nel territorio. Una sezione per ogni parrocchia, diceva il Pci in anni lontani. Contrariamente a quel che si pensa le parrocchie non sono state spazzate via dalla Modernità, e forse anche le sezioni dovrebbero essere riaperte. Guido Liguori |
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