ANORESSIA E BULIMIA
CASI ESEMPLARI, PESO NEL VUOTO
 







di Stefania Giorgi - Alberto Luchetti - Mario Mieggie




Palazzo Francisci e una villa cinquecentesca nel cuore del centro storico di Todi, avvolta nella quiete di un giardino rigoglioso di alberi secolari e di fiori. Proprietà di un ente benefico, «La Consolazione», fino ag1i anni '50 ha ospitato le «orfanelle» della cittadina umbra Oggi accoglie Ie orfane del cibo, Ie pazienti malate di «disturbi del comportamento alimentare». Anoressia, bulimia, ma anche altri disturbi come Ie abbuffatte compulsive o l’ingestione di quantità impressionanti di acqua. Strategie smodate di sottrazione o accumulo, di svuotamento o riempimento del corpo, fino a mettere a repentaglio la vita stessa Un corpo a corpo estremo con il proprio corpo, trasformandolo in un campo di battaglia. In una guerra scandita dai sl e dai no senza misura al comandamento naturale di ogni essere vivente: il nutrimento.
Disturbi che sempre più spesso tra smigrano dall'uno all'altro, si modificano, aggirando diagnosi.e terapie, come fossero
virus che traggono forza e vitalità mortale dalla loro capasollievo nel vomito. Che si riducono a cibarsi di scatolette per cani o a frugare nell'immondizia per rispondere alla fame senza appagamento della bulimia.
Dentro la villa, la prima cosa a colpire e la bellezza dell' ambiente, gli alti soffitti affrescati, i pavimenti di Cotto tirato a lucido, i mobili antichi, i grandi e comodi divani, r alternarsi armonioso degli ampi spazi comuni e di quelli più raccolti delle stanze singole. Un lettino, un armadio, una scrivania, tanti poster, disegni e foto sui muri come in una qualunque stanzetta di adolescente. Si respira calore, aria di casa. Ma una casa speciale dove sono banditi specchi - per evitare quello che tecnicamente viene definito body clwcking, ovvero la verifica, la misurazione ossessiva e costante del corpo attraverso il proprio sguardo - e bilance, per imparare a contrastare il pensiero martellante del controllo. Controllo del cibo, controllo del peso, controllo delle
forme corporee. Una casa dove le regole di vita interna, di comportamento sono precise e inflessibili.
Ogni paziente, con la fissa del contratto terapeutico, si impegna a prendersi cura della propria salute e a evitare comportamenti autolesivi, come abbuffarsi, vomitare, nascondere cibo,fare iperattività, bere in eccesso, domrire in eccesso di giorno, girare per la residenza di notte. I fannaci possono essere assunti solo sotto il controllo del medico e somministrati dall'infermiera. Non e permesso andare in bagno per un'ora dopo ogni pasto. Ogni paziente deve tenere in ordine la propria stanza, i propri indumenti e i bagni comuni. E, come spiega Raffaele Rucco, nutrizionista della struttura, deve imparare a usare quattro tecniche basilari di autocontrollo: tenere un diario, partecipare ad attività alternative, usare tecniche di re-attribuzione (vale a dire attribuire i propri pensieri al fatto che si e affetti dal disturbo alimentare), irnparare a chiedere aiuto ai terapeuti.
La
filosofia della «Residenza Palazzo Francisci» e racchiusa nella frase di Plotino scelta per rappresentarla: «L'anima ha bisogno di un luogo». Luogo come corpo, luogo come spazio condiviso di cura e di vita. E tanto meglio se il luogo scelto per ridare un corpo all'anima ferita di. queste ragazze e pieno di bellezza, di luce, come dice sorridendo Laura Dalla Ragione, la psichiatra che coordina le attività del centro.
La vita e scandita come un metronoma dalle attività individuali e di gruppo. Una giornata piena dove tutto, dalla parola del terapeuta alle mani del massaggiatore, e finalizzato al contatto, a ridare a queste ragazze una percezione reale del proprio corpo, un rapporto equilibrato son il cibo, una misura che non sia l’idolatrata taglia 40. A contrastare l’angoscia, il dolore di chi si sente creatura di un altro mondo, che si descrive, come Bruna, 24 anni, la più «anziana», Una linea retta, piatta, senza emozioni e desideri. Concentrata in un monologo distorto su un corpo
idealizzato senza contorni e limiti.
Una giornata. dunque, che non consente vuoti. II calendario settimanale. Le attività corporee sono stabilite dai medici in relazioni dai condizioni fisiche, non di rado ai limiti della sopravvivenza, di ciascuna paziente. La partecipazione alle attività e agli incontri e obbligatoria. L'esonero avviene solo in casi eccezionali, valutati dall'equipe e discussi anche con le altre pazienti.
Dal momento della sveglia, alle 8,30, a quello del riposo notturno, alle 22,30, non c'e ora o minuto che non preveda scambio, analisi, confronto. Molto importante e il lavoro con le famiglie, parte indispensabile del programma, soprattutto per le più giovani, coordinato dallo psicologo Giuseppe Passeri.
I pasti sono cinque: la co]azione alle 8,30; il pranzo alle 12; la merenda alle 16; la cena alle 19. Sono forse i cinque momenti cruciali della giornata. Consumati in una stanza attrezzata del reparto pediatrico dell'ospedale, a pochi passi della residenza.
Il programma nutrizionale è personalizzato, discusso da ciascuna paziente con dietista e nutrizionista. Una contrattazione estenuante sulla quantità di pasta e di condimento. Osservarle mangiare e come assistere a una veglia funebre. Il silenzio e assoluto, lo sguardo assorbito dal cibo nel piatto. Ogni pietanza è osservata, soppesata, e anche una goccia di olio in più può scatenare un dramma. La liturgia, la cerimonia del nutrimento è condivisa e controllata da due operatrici. Non sono consentiti i tempi infiniti del pasto anoressico. lo spezzettamento del cibo in bocconi quasi invisibili, il masticare fino allo sfinimento senza inghiottire. Ne il divorare delle bulimiche, per poi ricorrere a quello che tecnicamente viene definito «compenso», cioè provocarsi il vomito. Ma qualche volta le pazienti riescono a nascondere il cibo o a buttarlo. Se ne è accorta Mariella, la caposala, notando l'arrivo «di tutti i gatti di Todi» sotto le finestre del reparto, felici per i bocconi che piovevano puntuali dal cielo. I bagni del reparto pediatrico vengono chiusi per due ore, ma sono controllati anche quelli dei reparti vicini il calendario della settimana prevede alcuni appuntamenti fissi: il sabato mattina e il pomeriggio della domenica sono dedicati alle visite dei familiari; le mattine del martedì e del giovedì destinate al controllo clinico in day-hospital, nel reparto di pediatria. Ma altri si alternano, in una scansione calibrata tra lavoro psicoterapeutico e lavoro suI corpo, attività alternative concordate e quelle autogestite. Cosi, dopo la colazione e le visite individuali, si susseguono dal lunedi al venerdi gli incontri con la dietista, gli esercizi di meditazione e rilassamento e il lavoro di gruppo per ricostruire la propria immagine corporea. Una stanza della residenza e attrezzata per questo. I tappettini di gomma azzurra per gli esercizi a terra sono impilati in ordine in uno scaffale, su un tavolo il registratore e i nastri per le «colonne sonore»degli incontri. Alle 10 del mercoledi, invece, c'e la lezione di inglese di Mrs Temple, una signora in pensione che ha regalato al centro tempo e conoscenze. Non e la sola. Uno degli obiettivi di Palazzo Francisci e quello di non essere un luogo separato dal resto della comunità. E la comunità ha risposto. Molti artigiani, per esempio, hanno messo a disposizione botteghe e mestiere per le pazienti.
Dopo il pranzo, alle 13, si ritorna al centro per riprendere le attività. Il lunedi sono programmate quelle alternative guidate. Si può scegliere di dipingere, disegnare, imparare a fare fotografie. Martedi, giovedi e sabato dalle 14,30 alle 17 il tempo e di nuovo interamente occupato dal lavoro dei vari gruppi terapeutici. Poi una pausa, di nuovo il lavoro con le fisioterapiste, il gruppo immagine corporea e, il giovedl, il massaggio shiatzu. Dopo la merenda, di nuovo gruppi terapeutici e colloqui individuali. Il mercoledì, dalle 16 alle 19, le uscite concordate. Una passeggiata,
un film al cinema accompagnate da una operatrice. Sabato e domenica, dalle 16,15 alle 17, le attività libere autogestite.Dopo la cena, prima di andare a dormire, arriva il momento delle chiacchiere, delle confidenze. Magari di un programma in televisione. Ma qualcuna la evita. Guardare i corpi perfetti di tante «veline» e ancora troppo rischioso e doloroso.da il Manifesto

Nutrirsi di niente per poter esistere. E’ su questo paradosso che, molto sinteticamente, sembra concentrarsi il progetto di vita, il disperato dispositivo escogitato da chi deve affamare il proprio corpo per potere alimentare la propria esistenza e sostanziare la propria soggettività. Benché la sua descrizione sia ben più antica, e si possa far risalire almeno all'undicesimo secolo e ad Avicenna, solo nel 1873, uno psichiatra francese, Charles Lasegue forni una prima definizione diagnostica di questa patologica condizione esistenziale, denominandola «anoressia isterica»; e nel giro di un paio d'anni a questa denominazione se ne aggiunsero altre: «anoressia nervosa», «anoressia mentale». In queste descrizioni,e in quelle che ne sono seguite, la mancanza di fame o il fatto di evitare il cibo fino a giungere all'inedia e talvolta alla morte, e ovviamente in primo piano; ma vi si affiancano regolarmente altri sintomi: l' amenorrea, che può anche esserne il primo segnale, ma soprattutto un profondo disturbo della percezione del proprio corpo e della sua immagine, che porta alla ricerca assillante e costante di un ulteriore dimagrimento ad ogni costa e con ogni mezzo - il digiuno, ma anche l'iperattività fisica e psichica, nonché il vomito o vari rimedi farmacologici in quelle forme che slittano o oscillano verso il suo rovescio: la «bulimia nervosa», anch' essa di antica descrizione.
Nel caso della bulimia, passa in primo piano l' accesso frenetico, violento e incontrollabile di divoramento del cibo, che sempre conduce ad autorecriminazioni e
autosvalutazioni, a un sentimento di vergogna edi confusione e ad assillanti propositi di drastiche restrizioni alimentari che si risolvono In un continuo rimginare intorno al cibo, per sfociare immancabilmente in successivi episodi altrettanto esplosivi oppure ritualizzati, e che talvolta si cerca di arginare con il vomito auto indotto. Non a caso si e paragonata la bulimia a una forma di tossicomania senza droga: e evidente, infatti, l' analogia con le cosiddette dipendenze patologiche, come il gioco, l'alcolismo, gli acquisti compulsivi, la tossicodipendenza (e, viceversa, si parla di bulimia degli oggetti di consumo, di bulimia sessuale, e cosi via). Un' analogia che e invece più nascosta per l' anoressia, perchè qui la' «droga» è rappresentata dalla sensazione di fame, l'euforia che accompagna il rifiuto del cibo equivalente a una sensazione di integrità, unita e potenza. Laddove l' anoressico riesce a raggiungerla «scorporandosi» e godendo della fame e del rifiuto del cibo, il bulimico sembra giungervi «incorporandosi» nel cibo e attraverso una travolgente trasgressione di ogni limite al suo riguardo. Ma in entrambi i casi all'orizzonte vi è l' oscillazione tra una temuta disorganizzazione di se e lo spalancarsi di un vuoto interno, oppure la 'paura che altri
usurpino questo spazio mentale. .
Di anoressia si era occupato anche Freud, benché solo indirettamente, tranne all'inizio della sua ricerca quando ipotizzò che fosse < sviluppata»: non sessualità ove verifica: melanconia>La neutralizzazione dei bisogni corporei, a cominciare da quelli della sfera «orale», che e la prima area di negoziazione del rapporto con l'altro, si e progressivamente dimostrata un modo per mantenere uno spazio proprio, benché sempre più ristretto e a rischio di collassare o di essere fagocitato. Oppure come il mezzo per cancellare le trasformazioni puberali, che mettono a repentaglio forma del corpo ed equilibrio dell'Io; o ancora, per mantenere vivo il proprio desiderio nel rapporto con altri che per qualche verso tendono a negarlo e annegarlo nel bisogno: o, ancora, per metabolizzare gli effetti traumatici di abusi sessuali precoci. Come indicava Lacan, desiderare niente può in questi casi costituire l'unica possibilità di esistere, perchè è l'unico modo per tenere separati il registro del bisogno e quello del desiderio: solo il niente infatti e irriducibile a un bisogno e può proporsi come estremo baluardo dell'oggetto del desiderio Le statistiche segnalano non solo un aumento della incidenza di questi disturbi alimentari (le stime, sicuramente per difetto, variano da un 2-3% della popolazione generale a un 10% della popolazione femminile tra i dieci e i venti cinque anni), ma anche una crescente incidenza della bulimia rispetto all'anoressia e un progressivo abbassamento dell'età della loro insorgenza: già intorno agli otto anni di età, ben prima dunque della trasformazione puberale. Inoltre, è in aumento anche la percentuale di maschi colpiti da questi disturbi, nelle stesse forme di quelli femminili, ed e ormai molto frequente la migrazione dall'anoressia puramente restrittiva a quella accompagnata da episodi bulimici, e alla bulimia vera e propria.
Meno frequente e pero trovarsi davanti a nuove iniziative, concretamente avviate per affrontare tempestivamente questi problemi in maniera suffidentemente integrata e intensiva. Ed è ancora più raro (specie di questi tempi) che queste iniziative
riguardino centri pubblici, come quello recentemente inaugurato nell'antico Palazzo Francisci a Todi, l'unica residenza che accoglie pazienti sotto i quattordici anni, dove una nutrita equipe ai personale specializzato - psichiatri, psicologi, pediatri, nutrizionisti, fisioterapisti, infermieri, dietisti - svolge sotto la direzione di Laura Dalla Ragione - un programma integrato e a trecentosessanta gradi per affrontare in maniera intensiva gli esordi precoci di queste patologie alimentari.
Per un periodo che varia dai tre ai cinque mesi, la struttura mette a disposizione tutto do che si e sperimentato come terapeuticamente utile per permettere un recupero del peso e un riequilibrio comportamentale che risultino accettabili dalle pazienti stesse: consentendo loro - conie dice Laura Dalla Ragione - «di vivere una esperienza ricca e non troppo lontana dalla vita di tutti i giorni». Cosi, questo luogo diventa, al tempo stesso, un corpo da incarnare, uno spazio psichico da alimentare,
una rete di rapporti da sperimentare. Perchè solo in una più complessiva esperienza di vita e possibile affrontare disturbi che, come notava 'tra gli altri Philippe Jeammet, si collocano al crocevia tra la psiche individuale, le interazioni familiari, il corpo nella Sua dimensione più biologica e la società in generale; e che non e casuale si diffondano proprio in una societa la cui modalità di vita e sempre più fondata su consumo,e consumismo, dissolvendo net bisogno la possibilità di un desiderio, che e altresì la possibilità di esistere e di sentirsi essere in quanto soggetto.da Il manifesto

Una filosofia in salita libera
La raccolta di saggi pubblicata da Giuseppe Semerari nel 1973 sotto il titolo Filosofia e potere (Dedalo) si apre con la seguente dedica: «Questo libro e idealmente offerto ai giovani delle scuole e delle università (...) che, traducendola in azione, hanno provato come la cultura possa diventare critica
vissuta e vivente di ogni potere reificato, strumento di dominio dell'uomo sull'uomo». Insolite nel linguaggio accadernico, queste parole non erano scritte da un attivista politico o da un giovane docente in cerca di popolarità. Passata la soglia dei cinquant'anni, Semerari esercitava una forte autorità sia nel suo stesso molo cattedratico sia nel dibattito filosofico nazionale e intemazionale. Nel1973 i sommovimenti studenteschi si erano giA attenuati ma il filosofo barese non esitava a dichiararne il valore e la piena corrispondenza con il progetto critico delineato in Filosofia e potere. «Una critica filosofica del potere - scriveva Semerari nell'introduzione - si identifica, al limite, con la progettazione di una . democrazia reale e radicale, in cui il potere e valido soltanto nella rnisura in cui e giustificato dal basso, e universalmente partecipato e formalizza non rapporti irreversibili di dominio e sudditanza, bensì rapporti di reciprocim». La critica filosofica indaga e svela le forme di dominio e spoliazione della liberm da parte di un potere istituzionale reificato: «la reificazione e la pretesa della istituzione di esistere per se stessa». Ma, in relazione al potere, si apre anche la spaccatura tra due diversi procedimenti filosofici. In un caso la filosofia procede, per così dire, «dall' alto»e si adopera a descrivere e ratificare razionalmente l'ordine dato, «ignorandone o pacificandone le contraddizioni». Nell'altro caso, invece, la filosofia "Non ritiene l' ordine dato aprioristicamente garantito nella propria razionalità e lascia che le contraddizioni esplodano".
Il «filosofare dal basso» (oggetto del primo capitolo di Filosofia e potere), dunque, non prende forma di dottrina o di sistema ma e connotato da «un atteggiamento radicalmente empiristico», dal riconoscimento della finitezza, complessità e precarietà dell'umano (negli anni seguenti Semerari darà spazio al concetto di insecuritas); configura la conoscenza come un processo
interattivo, o pin precisamente (secondo la terminologia di John Dewey) «transazionale»; parte dalla pluralità dei soggetti, in vista della comunicazione reciproca, dando la priorita al «domandare». Infine si rivolge alle possibilità del futuro, in opposizione al filosofare «dall'alto» che totalizza la storia «come visione retrospettiva di un processo gia concluso». La proposta critica di Filosofia e potere non si riduceva però ad una controversia tra filosofie. Dei concetti di feticismo e reificazione - elaborati da Marx principalmente nella critica dell' economia politica - Semerari si avvaleva in un quadro pin articolato, che si estendeva alla politica (come gia si e detto) ed alla scienza perchè le forme dell'attività umana ed i loro comparti istituzionali si entificano e prendono a vivere di vita propria: i «predicati» diventano Soggetti e riducono ad oggetto i soggetti reali e viventi.
A questo proposito Filosofia e potere segnala processi di inversione di senso. Se il
procedimento sperimentale della scienza moderna costituisce un modello eminente di sapere aperto e problematico nel loro sviluppo, la scienza e la tecnica, sono poi divenute «potenze dominanti» e di conseguenza «campo di una ben distinta alienazione». L'altra inversione e quella del marxismo trasformatosi in ideologia di Stato. L'ultimo capitolo di. Filosofia e potere si intitola, non a caso, «Burocrazia, tecnocrazia e liberta» e documenta la solidarieta attiva con i filosofi dissidenti della Jugoslavia e di altri paesi dell'Europa orientale. Scriveva Semerari: «Non e casuale che Gramsci abbia parlato di 'feticismo' a proposito di quegli organismi collettivi (Stato, Nazione, partiti, sindacati, ecc.), che finiscono con l' esser sentiti e pensati dai loro stessi componenti come un'entità estranea».
Vi e una forte sintonia tra gli argomenti affrontati in Filosofia e potere e le pratiche riformatrici che si svilupparono, negli stessi anni, in vari settori del lavoro e della attività
professionale. Collegati alle strategie contrattuali dei sindacati, gli interventi «tecnici» di tutela della salute fisica e mentale dei lavoratori presero forma di azione collegiale e comunicazione reciproca tra gli esperti e i destinatari, ora riconosciuti come titolari di diritti, di conoscenza, di autonomia personale e di gruppo. I movimenti e le nuove associazioni qualificarono le rispettive aree disciplinari - della psichiatria, della medicina, della magistratura - con l'aggettivo «democratica», termine che potrebbe agevolmente essere completato o scambiato con la dizione «dal basso». Nel corso degli anni '80 e '90, i mutamenti del tessuto economico, del mercato del lavoro e delle relazioni industriali hanno poi rimosso quella «centralità della fabbrica» che aveva dato consistenza sociale alla prassi. Ciò nonostante, quelle esperienze, simultaneamente politiche e.professionali, non hanno soltanto arricchito e trasformato i saperi ma hanno anche aperto la via e dato indirizzo a legislazioni di riforma (dallo Statuto dei Lavoratori alla legge 180 sui manicomi sino alla istituzione del Servizio Sanitario Nazionale). E che queste fossero vere riforme e dimostrato dal fatto che sono ancora costantemente sotto tiro, e oggi pin che mai minacciate.
Certo, nella congiuntura odierna non e affatto scomparso il recitativo delle «riforme» e del «riformismo». Ne e pero evidente il capovolgimento di senso. Le iniziative e Ie pratiche degli anni '70 mobilitavano ed aggregavano una pluralità di soggetti (lavoratori e cittadini, operatori ed esperti, amministratori locali e dirigenti politici) al fine di innalzare i livelli di responsabilità sociale e di autogoverno, nel quadro di istituzioni pubbliche sempre riformabili. Come ricorda lo psichiatra Antonio Slavich (La scopa meravigliante, Editori riuniti, 2003), ne11977, sopra la breccia aperta nel muro del manicomio provinciale di Ferrara venne scritto: «Con il lavoro di tutti ora l' ospedale e davvero aperto: perchè
diventi un problema per tutta la citta e non solo per chi ci 'vive' o ci lavora.» Le riforme di cui principalmente adesso si parla concedono invece l'efficienza di entità di tipo uniformemente aziendale. E, perchè ciò accada, e prima di tutto necessario che siano i singoli soggetti a «riformarsi». Solo liberandosi dalla rigidità dell'occupazione, dai contratti collettivi e dalle tutele sociali potranno diventare pienamente imprenditori di se stessi, organizzare e rispettare i propri «budgets» vitali: formativo, lavorativo, previdenziale, funerario. La Società può allora compendiarsi in pochi istituti essenziali: le agenzie finanziarie, che amministrano risparmio e credito valorizzando sul mercato i fondi-pensione e le agenzie di pubblica sicurezza. Le riforme, in somma, consistono nella demolizione sistematica di ciò che e stato conquistato e costruito in centovent'anni di storia del movimento operaio e democratico. n «filosofare dal basso» avrà un destino analogo?
La figura dell'
«alto» e del «basso» riguarda innanzi tutto la distribuzione ineguale del potere. Poichè all'inizio del terzo millennio questo dato di ineguaglianza non solo permane ma si e aggravato nel mondo ed anche nel nostro paese e non e ancora giunto il tempo di esimere i filosofi da una qualche scelta di campo.
Prendere posizione «dal basso» vorrà dire attenersi ancora al compito prevalente della «critica»? Certamente s1. Ma si deve aggiungere che l' esercizio della critica trova ostacolo nel fatto che (a differenza di quanto avveniva nel secolo di Hegel e 'di Marx, ed ancora negli anni della nostra gioventiù adesso «dall'alto» non discendono pin affatto pensiero e ragionamenti ma soltanto cascami di precedenti dottrine (che un tempo furono robuste e bene argomentate), riciclati in messaggi pubblicitari. Questi messaggi cavalcano ed alimentano fenomeni di stupidita di massa, al cui riguardo l' attrezzatura diagnostica dei sociologi e degli storici appare superiore a quella dei filosofi - i
quali, in tali circostanze, sono pin facilmente inclini alla retorica della denunzia e dell'indignazione morale.
Tuttavia non mancano alla filosofia specifiche risorse ed occasioni di resistenza. Le risorse, per lo più, non sono di recente acquisizione: risorgono da un lungo passato e non possono essere agevolmente catalogate per mezzo della opposizione tra l'«alto» e il «basso». Ciò non vuol dire che sia terminato il filosofare dal basso, bensì che, nella attuale desertificazione, il tracciato «dal basso»viene a coincidere quasi interamente con le ragioni del filosofare in generale. Ma, proprio in vista di un pin ampio fronte di resistenza filosofica, devono essere ridimensionate (a mio parere) alcune discriminanti presenti nel modello di Filosofia e potere: in particolare quella che oppone all' «idealismo» (stabilmente associato al filosofare dall' alto) il «materialismo» (nella sua versione marxiana). Questa dicotomia attesta l'esodo del filosofo Semerari dai palazzi del
Novecento filosofico italiano. Chi appartiene ad un' altra generazione ed ha avuto un diverso itinerario di formazione può invece pensare che la coppia oppositiva«idealismo-materialismo» sia altrettanto povera di significato quanto il vocabolario dell' odierno riformismo e della sua immancabile compagna, la «modernizzazione». D'altronde le carovane che cercano di resistere adesso ai briganti del deserto si avvalgono assai poco delle armi del materialismo storico: maneggiano preferibilmente quelle forgiate dai fondatori dello stato di diritto, dai teorici della divisione dei poteri, dai critici della democrazia plebiscitaria, che erano autenticamente liberali.
A guisa di esempio vorrei segnalare infine due aree in cui può esercitarsi una resistenza filosofica. La prima riguarda lo spazio della comunicazione pubblica, la seconda le strutture del tempo..I governi liberisti, «deregolatori» e alla fine «neoconservatori» (pertanto interamente dissimili dai «liberali» precedentemente
evocati), sono intenti non soltanto a smembrare e vendere patrimoni e servizi dello Stato ma anche a restringere g1i spazi della comunicazione libera e della discussione aperta ai cittadini poichè non tollerano di essere contestati e contraddetti «sulla scena». AI contrario, la tradizione prevalente della filosofia consiste nella controversia palese e programmatica, che si svolge per lo più in forme e sedi pubbliche: tali sono non soltanto l' agora ateniese o le gazzette dell'illuminismo ma anche, seppure con pin rigide barriere gergali, le dispute scolastiche del Basso Medioevo o le tenzoni della filosofia classica tedesca, che davano gran lavoro a tipografi e librai. Da questo punto di vista l'opposizione «dal basso» ha direttamente a che fare con le condizioni costitutive del filosofare. La filosofia ha searse possibilita di sopravvivenza se non vengono difesi, ristabiliti ed allargati g1i spazi, aperti a tutti, della discussione: ovviamente, nel confronto plurale tra i campi del sapere e tra diversi operatori, egualmente disposti a interrogarsi sui senso della propria attività professionale. Questo progetto, direttarnente politico, esige pero che i filosofi non indulgano all'esoterismo del linguaggio settoriale e che riescano ad opporre comprensibili argomenti di «buon senso» ad un «senso comune» manipolato, traviato ed afasico.
Seguendo le indicazioni di Semerari, possiamo dire che il filosofare dal basso e connotato dall' orientamento al futuro, aperto ai tempi lunghi. AI contrario, il dominante modello econornicistico concentra e riduce le dimensioni del tempo (presente, passato e futuro) nella brevissima durata dell'atto puro mercantile (l'operazione di borsa) o comunque in aspettative e progetti di corto periodo. Rafforzare e dilatare nuovamente le dimensioni del tempo diventa dunque uno dei compiti della resistenza dal basso. E la dilatazione si fa in avanti e all'indietro. Ora, questo andirivieni e un requisito essenziale del lavoro filosofico, che
dialoga con i predecessori e li rende in qualche misura contemporanei, entro un arco di tempo di circa venticinque secoli (corrispondente in larga misura anche alle vicende storiche della Politica e del Diritto). La continuità di questa tradizione e assicurata non tanto dalla variabile sequenza delle costruzioni dottrinali quanto dalla persistenza dei problemi. E poichè none vero che i problemi si pongano soltanto quando diventano materialmente possibili le soluzioni, o che le domande ottengano sempre risposta, proprio per questo la partita rimane aperta ad un futuro incerto. Il semplice esercizio storico-temporale del filosofare diventa in tal modo una pietra d'inciampo per i predatori del tempo.da Il Manifesto cita di adattamento. Colpendo bambine di 10 anni scheletrite dal digiuno; metalmeccanici trentenni scarnificati dalla fame e dall'esercizio fisico; ragazze che si ingozzano compulsivamente fino a 18 volte al giorno, fino a che la pancia tira, fa male e si cerca