L’anno d’oro è stato il 2008 versamenti per quattro diverse elezioni
 











La chiave di tutto è nel comma di un articolo accuratamente nascosto nelle pieghe delle legge mille proroghe che viene discussa e approvata in parlamento il 2 febbraio del 2006. In quella norma sta scritto che il rimborso elettorale (che la legge numero 157 del 1999 fissa in un euro per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali da dividere percentualmente in base ai voti ricevuti) spetta ai partiti anche in caso di chiusura anticipata della legislatura. Dunque, lo Stato continua a versare i soldi ai partiti per tuti e cinque gli anni, anche se il parlamento è stato sciolto. Adesso, la legge è stata corretta, ma le nuove regole varranno solo a partire dalle prossime elezioni.
Comunque, una settimana dopo quel blitz del febbraio 2006, guarda caso, la legislatura si chiude. Si torna alle urne. Vince l’Unione di Prodi per una manciata di voti e il leader del centrosinistra governa, sul filo della lama, per meno di due anni. Poi, cade e il Paese
torna a votare. Nel frattempo, però, nella politica italiana va in scena l’ennesima rivoluzione. Spariscono partiti (Forza Italia, An, i Ds, La Margherita), ne nascono di nuovi (il Pd e il Pdl) e, nelle urne, gli italiani polarizzano i loro consensi sulle formazioni maggiori lasciando fuori dalle aule parlamentari forze politiche come Rifondazione comunista, i Verdi, l’Udeur di Mastella. Una semplificazione dalla quale dovrebbe derivare anche un risparmio in termini di rimborsi elettorali.
Nulla di tutto ciò, dal momento che - grazie a quel comma approvato in fretta e furia nel febbraio del 2006 alla vigilia dello scioglimento delle Camere - i partiti che non esistono più continuano ad incassare i rimborsi elettorali che spettano loro in virtù dei risultati conseguiti nel 2006. E questo nonostante quella legislatura si sia chiusa in anticipo. Non si tratta di bruscolini dal momento che il totale dei rimborsi elettorali da versare ai partiti per il periodo 2006-2011 ammonta a 499,6
milioni di euro. Una somma che viene divisa tra i partiti che sono sopravvissuti alla rivoluzione e quelli che non esistono più o che non sono più rappresentati in parlamento. Come se non bastasse, a quella cifra vanno aggiunti i rimborsi che spettano per la legislatura in corso e quelli relativi alle regionali e alle europee del 2004, del 2005 e del 2006.
L’anno d’oro, per i partiti italiani, è senza dubbio il 2008. In quella stagione - come accertato dalla Corte dei conti - nella casse della formazioni politiche, quelle in vita e quelle "defunte", finiscono nell’ordine la terza rata del rimborso per le politiche del 2006 che vale 99,9 milioni di euro, la prima rata del rimborso per le politiche del 2008 che ammonta a 100,6 milioni di euro, i 41,6 milioni di euro della quarta rata del contributo dovuto per le regionali del 2005 e la quinta rata del rimborso per le europee del 2004 che vale 49,4 milioni di euro. In tutto, fanno 291,5 milioni di euro. Che vanno a dare ossigeno ai
bilanci di partiti che svolgono la loro attività e di formazioni politiche che sopravvivono ormai solo nella memoria degli elettori.
Per il club dei partiti estinti cinquecento milioni nel 2011
Di alcuni non è rimasto che il simbolo, assemblee di ex che vengono convocate di tanto in tanto e, forse, il ricordo di qualche elettore nostalgico. Altri, invece, hanno sedi, strutture, impiegati ma da anni non hanno nessun rappresentante in parlamento. Eppure, i "partiti fantasma" continuano ad incassare soldi dallo Stato. L’ultima rata, relativa ai rimborsi per le elezioni regionali del 2007 in Molise, arriverà prima della fine di quest’anno. E così, la cifra incamerata dai partiti che non ci sono più, toccherà la vertiginosa quota di 500 milioni di euro nell’arco del quinquennio 2006-2011. Spicciolo più, spicciolo meno.
Per intendersi, è una somma pari allo stanziamento annuo del governo per Roma capitale, quella che è finita in questi anni nella pancia di sigle che
si supponevano scomparse dalla scena della politica, come Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di Sinistra, Margherita, oppure di partiti che gli elettori hanno cancellato dal parlamento e che sono stati smontati e rimontati da scissioni e nuove aggregazioni come Rifondazione comunista, i Verdi, perfino l’Udeur di Mastella o un partito personale come "Nuova Sicilia", il cui dominus è Bartolo Pellegrino - un ex deputato dell’assemblea regionale siciliana recentemente assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa - che fino allo scorso anno ha percepito circa centomila euro di rimborso elettorale.
Nulla, se confrontato a quanto ha potuto iscrivere nei propri bilanci il più ricco dei "partiti fantasma", Forza Italia. Quella che fu la creatura di Silvio Berlusconi, nata nel 1994 per accompagnare la discesa in campo del Cavaliere e sacrificata nel 2007 sull’altare del bipartitismo per fare posto al Pdl, ha continuato ad incamerare i rimborsi elettorali fino ad
arrivare, nel 2010, alla cifra monstre di 96 milioni di euro. Più sotto, in questa classifica, quelli che furono i Democratici di sinistra che hanno potuto iscrivere in bilancio 74 milioni di euro e spiccioli. Soldi che - per ammissione del tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti - sono stati rapidamente pignorati dalle banche e adoperati per chiudere la partita dei debiti ereditata dal vecchio Pci.
Alla Margherita, altro partito formalmente cancellato, è andata meglio. I 42 milioni di euro di rimborsi incassati, malgrado la scomparsa dalla scena politica, sono tutti lì. E, anzi, intorno a quella eredità sta per accendersi una disputa alla quale partecipano pure parlamentari che, nel frattempo, hanno preso differenti direzioni, accasandosi in altri partiti o inaugurandone di nuovi. Ma come è stato possibile che partiti scomparsi dalla scena o bocciati dagli elettori abbiano continuato ad incassare soldi pubblici a titolo di rimborso elettorale? Quanto hanno pesato i rimborsi ai "partiti
fantasma" sulle tasche dei cittadini? E, soprattutto, che fine hanno fatto quei soldi?  espresso-Alberto Custodero, Enrico del Mercato