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LA GUERRA DI MARIO
QUEI RAGAZZINI IN RIVOLTA TRA NAPOLI E IL MONDO
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di Cristina Piccino
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La prima immagine è netta, spiazzante, lamiere e sole che acceca, un rumore di indifferenza che riempie la strada dove la donna è rimasta ferma con l'automobile. Dove siamo? In che storia? Difficile a dirsi, La guerra di Mario spalanca subito universi misteriosi: appena prima la voce fuori campo di un bimbo ci racconta mentre una mano anch'essa infantile spande vernice rossa su fondo bianco, del primo uomo che ha ammazzato quando lo hanno portato via da casa lasciando morto il padre sotto l'albero di mango. E della polvere da sparo che gli si è infilata nelle vene circolando fino al cuore. Antonio Capuano comincia come in un thriller, sicurezze (dello sguardo) destabilizzate nei frammenti che lo spettatore deve mettere a posto da sé, seguendo l'intuito, come l'arte del 900 che Giulia, la donna al volante, Valeria Golino spogliata di trucco e di artifici, spiega agli studenti. Pian piano poi ricompone, lascia affiorare una storia che nel suo narrarsi ne intreccia altre senza chiudere, senza arrivare a una sola possibilità che non esiste semplicemente perché non può. La materia è il vissuto, la realtà che un regista come Capuano non mai ha voluto incastonare in una cifra di stile, farne «realismo» riconoscibile. Specie se poi i suoi corpo a corpo d'artista riguardano la sua città, Napoli, tra marginalità e bellezze, stress di traffico e ragazzini che alla scuola preferiscono la galera... Tra loro potrebbe esserci Mario, la madre lo ha dato in affidamento a Giulia, ma lui non sembra contento. Eppure nella casa nuova Mario ha il computer e Giulia lo accontenta sempre. Anche questo però esce per frammenti, senza dire il passato, e così scopriamo che i ricordi fuori campo parlano dei bambini soldato in Africa, Mario se li racconta immaginando di essere Shad-sky il più spietato di loro. La guerra di Mario torna ai ragazzini protagonisti, come Vito e gli altri o Pianese Nunzio, e alla Napoli di confine qui nel segno di una realtà nuda, che resta sé stessa e diventa «guerra». Del ragazzino diviso tra la memoria adulta e questa nuova vita «da bambino» in cui si sente fuori posto. Della donna che lo ama e vorrebbe diventarne madre fingendo di non capire quel conflitto. Del suo uomo «inadeguato» (Andrea Renzi giustamente distante), giornalista che la realtà la lascia al tg. E di tribunali e professori che i ragazzini come Mario la loro quiete (e i figli) li rovinano. Ma non è un film su questo La guerra di Mario (magnifico Marco Grieco), non solo almeno come non è un film su Napoli anche se Napoli non è mai stata così protagonista nelle tonalità di grigio duro metallico con cui la fotografa la luce naturalmente alterata di Luca Bigazzi. Geografia del conflitto e racconto di realtà nei suoi aspetti ineffabili, negli errori dell'amore e nel pregiudizio del luogo comune. Senza enfasi, con dolcezza.da Il manifesto
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