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Redditi fermi e crescita bassa La speculazione attacca l’Italia
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Portogallo, Grecia e ora l’Italia. Gli sciacalli della speculazione non guardano in faccia a nessuno. E non si fanno scrupoli nel mettere in ginocchio le economie di interi paesi, a cominciare da quelli più in difficoltà, se ciò serve a far soldi. L’attacco subito ieri in Borsa dalle banche e dai titoli di stato italiani è il segnale che i mercati hanno deciso di scommettere sulle debolezze strutturali di un paese, il nostro, penalizzato da un alto debito pubblico e da tassi di crescita tra i più bassi in Europa. La credibilità della manovra da 68 miliardi da qui al 2014 predisposta dal governo italiano e le voci di possibili dimissioni del ministro Giulio Tremonti sono solo un aspetto della questione. I numeri parlano chiaro. Dopo il calo registrato a maggio (-0,6%, sotto le stime), anche a giugno la produzione industriale risulta «piatta», fa sapere il centro studi di Confindustria. Un andamento che va di pari passo con i redditi delle famiglie italiane, il cui potere d’acquisto, al netto dell’inflazione, è diminuito nei primi tre mesi dell’anno dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, mentre risulta in crescita appena dell’1,1% a confronto con i primi tre mesi del 2010. Insomma, è il gatto che si morde la coda: se la gente non ha i soldi per comprare, i consumi diminuiscono e con essi la domanda interna. Come fa l’industria a vendere i propri prodotti? Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, fa il suo mestiere quando afferma che l’attacco speculativo subito ieri dall’Italia non è spiegabile sulla base di valutazioni obiettive. Anche perché, rispetto al rischio default della Grecia, gli istituti di credito italiani sono molto meno esposti di quelli francesi e tedeschi. Sono, però, più piccoli. Non a caso il titolo più colpito ieri a Piazza Affari è stato quello di Unicredit, sospeso per eccesso di ribasso quando perdeva il 7%. «Unicredit soffre perché è l’unica banca che non ha fatto un aumento di capitale», spiega un trader interpellato da Reuters. Malgrado ciò, Draghi si dice «certo, sulla base delle nostre analisi, che gli intermediari italiani supereranno con un margine significativo gli stress test in corso in sede europea, confermando l’adeguatezza del loro grado di capitalizzazione». Dopodiché il governatore di Bankitalia - come del resto aveva già fatto il giorno prima il presidente della Bce, Jean Claude Trichet - ribadisce la validità delle misure approvate dal governo per centrare il pareggio di bilancio nel 2014. Quello che Draghi, prossimo capo della Bce, stavolta non dice, è che politiche basate quasi esclusivamente sul contenimento della spesa hanno il fiato corto. Perché prima o poi arriva il momento in cui non c’è più niente da tagliare. Se non al prezzo di conflitti sociali dolorosissimi, che rischiano di mettere a ferro e fuoco un paese. Come accade in Grecia. Il problema vero è che la manovra del governo, non solo è iniqua, ma non offre alcuno stimolo alla crescita come sottolinea anche la Cgil: «I rischi di attacchi speculativi al sistema italiano - osserva il segretario confederale Danilo Barbi - stanno aumentando. Ma il problema di fondo è quello di una manovra strutturale per la crescita di cui non c’è traccia nella manovra del governo». Eppure per Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, «fermare la speculazione non è impossibile». Ad esempio «una misura immediata ed efficace, oltre alla Tobin tax, sarebbe data - spiega Ferrero - dall’obbligo per le banche di iscrivere a bilancio i derivati oggi fuori bilancio, riducendo così la leva finanziaria che è alla base della speculazione. Se questo non viene fatto - accusa il segretario del Prc - è perché la Bce e l’Ue vogliono continuare a favorire la speculazione». Roberto Farneti |
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