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Chiudono i centri antiviolenza. -Le donne resteranno senza assistenza- |
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-Uno dopo l’altro chiudono i battenti i centri antiviolenza sparsi su tutto il territorio nazionale, soffocati dai debiti per i tagli e per l’assenza totale di finanziamenti già stanziati, nel silenzio assoluto di mass media nazionali e senza alcun intervento da parte delle istituzioni per salvare strutture che da anni sostengono donne e minori vittime di ogni tipo di violenze». La conseguenza è che «le donne che hanno subito violenza o che per anni hanno subito maltrattamenti, violenze psicologiche, economiche e vessazioni, non avranno nessun sostegno, né psicologico né legale, e nessuna possibilità di recupero in un Paese che non ritiene necessario il servizio e l’esistenza dei centri antiviolenza». E’ la denuncia lanciata da Alessandra Bagnara, presidente di D.i.Re (Donne in rete contro la violenza onlus) in una lettera inviata al ministro alle pari opportunità Mara Carfagna, al quale si chiede «che fine ha fatto il Piano Nazionale contro la violenza di genere e soprattutto dove sono i 18 milioni di euro di stanziamento che dovevano essere redistribuiti sul territorio nazionale e gestiti da parte del ministero delle Pari Opportunità». «Malgrado le donne continuino a essere stuprate, maltrattate e uccise, e malgrado l’aumento della violenza domestica sia ormai accertata in tutta Europa – si spiega nella lettera - il Governo e gli enti locali italiani continuano a tagliare fondi su un problema che non è né individuale né di sicurezza ma collettivo e di informazione, e su cui lo stesso Parlamento Europeo ha dato chiare direttive sul sostegno degli Stati Membri alle Ong che gestiscono i centri antiviolenza attivi sul territorio». Nella lettera si fa riferimento ad alcuni centri antiviolenza costretti a ridurre o chiudere le proprie attività. «A Viterbo il centro Erinna si è visto revocare il suo mandato, rinnovato per tre anni nel 2009, un anno prima della sua conclusione, febbraio 2012, dal presidente della provincia, Marcello Meroi, che pur essendo andato a verificare di persona il centro, ha fatto sapere che sarà indetto un bando per permettere anche a altre organizzazioni di partecipare, senza però preoccuparsi né di far concludere il lavoro al servizio già presente sul territorio e senza preoccuparsi del buco che l’utenza avrà nel periodo di transizione che vedrà spazzato via anni di lavoro e di esperienza sul campo». «A Messina – continua la lettera - le feste e le sottoscrizioni non bastano più a colmare un sistema in cui gli enti locali sono ormai bloccati e non finanziano più niente a nessuno, e dove le donne violentate e maltrattate vengono considerate secondarie rispetto a altri problemi presenti nel territorio». Si parla anche di Belluno, «dove non esiste una legge per i centri antiviolenza e dove anche la casa rifugio è stata chiusa e dove i progetti per i bambini vengono finanziati da privati». E poi Catania, «dove ormai si vive alla giornata in quanto gli enti locali fanno finta di non riconoscere il problema, e dove già nel 2007 è stata chiusa la casa rifugio». Non manca Roma, «dove il centro Lisa non ha più i soldi per pagare l’affitto ed è sotto sfratto perché l’Ater non riconosce lo scopo sociale della onlus e quindi non dà la possibilità di riduzione del canone malgrado la tipologia di lavoro che viene svolto. Infine Gorizia, «dove i finanziamenti sono stati drasticamente tagliati» e Cosenza, «dove l’anno scorso è già stata chiusa la casa rifugio e dove si attende l’esito del bando regionale che è stato presentato dopo un periodo di assenza totale di qualsiasi sostegno pubblico-. |
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