Tremonti isolato nel Pdl gioca di sponda con Bersani
 











Accordo quasi fatto, assicura Calderoli; manca solo l’ok finale di Bossi e Berlusconi, che si vedranno domani a Gemonio: i comuni sono più o meno salvi; le pensioni pure; l’Iva sarà aumentata; la supertassa si vedrà. Evviva. Sorrisi e abbracci, con Alfano - segretario del Pdl e artefice (con il tandem Calderoli-Maroni) della ritrovata unità interna e con il Carroccio - che assicura: «Il governo diventerà più forte».
Peccato che il medesimo governo sia lì lì per perdere una pedina importante: il ministro dell’economia. L’accordo sulle modifiche al decreto varato il 13 agosto, infatti, è stato trovato non solo alle spalle, ma addirittura contro Tremonti, che vede stravolto il disegno complessivo delle misure da lui pensate. Ultima, in ordine di tempo, la decisione di coprire la riduzione dei tagli agli enti locali (chiesta dal Carroccio) con l’aumento di un punto dell’Iva. Secondo l’inquilino di via XX settembre fatta così la misura porterà solo un
freno allo sviluppo, inflazione e incentivi all’evasione. Tant’è. Il ministro non lo ascolta più nessuno, nemmeno la Lega che lo ha sacrificato sull’altare della Padania infuriata dopo averlo trascinato di qua e di là per tutta l’estate.
Insomma, è con le spalle al muro: prendere o lasciare. Pare che anche Berlusconi la pensi così: l’«ultimo frondista rimasto nel Pdl», considera il Cavaliere, dovrà accettare le decisioni prese domani o farsi da parte. Poi, naturalmente, pioveranno le smentite: «Mai detto nulla di simile». Però, intanto, c’è chi parla a viso aperto. Come l’ex ministro dei beni culturali, Sandro Bondi, il quale ormai libero da incarichi di partito, dice quello che molti nel Pdl pensano: Tremonti è «più un problema che una risorsa. Non ha mai voluto partecipare alla costruzione ed al rafforzamento del partito di maggioranza relativa. Anche in queste ore avrebbe avuto l’opportunità di partecipare a definire e far valere le proposte del Pdl. Ma non lo fa. In questo modo
non diventerà mai un vero leader politico». Diretto anche Gaetano Quagliariello e le sue parole pesano, visto che è il vicepresidente dei senatori Pdl: «I suoi dubbi? Nessuno può pensare di fare da solo». E pazienza se Tremonti si ostini a ricordare che la manovra in discussione non è la sua, ma del consiglio dei ministri che l’ha approvata all’unanimità. Fiato sprecato.
Se alle spalle le porte si chiudono, non resta che andare avanti. E così ieri il titolare dell’economia ha combinato un "incontro casuale" con il leader del Pd Bersani. In poche parole, i due si sono dati appuntamento al meeting di Comunione e liberazione per un colloquio privato. Ufficialmente, Bersani avrebbe chiesto il faccia a faccia soprattutto per dire al ministro di «cambiare o togliere l’articolo 8» che entra a gamba tesa nella dinamica delle relazioni tra le parti sociali. Ma (e a pensar male si fa sempre peccato) qualcuno vede in quei dieci minuti a porte chiuse nei salottini dell’area riservata della
Fiera di Rimini un modo per il ministro sempre più traballante di trovare una sponda politica, non solo sulla manovra, ma anche, magari, sul suo futuro politico.
Non per nulla Tremonti, secondo quanto riferito dallo stesso Bersani al termine del colloquio, «mi è sembrato abbastanza aperto» sulla questione del famigerato articolo 8. E mentre dal Pdl all’indirizzo del ministro arrivano solo bordate, dalla platea di Cl ha invece ricevuto lunghi applausi e persino richieste di autografo. In particolare è piaciuto il passaggio sugli eurobond, «l’unico modo per investire sul nostro futuro», secondo Tremonti.
Il ministro però ha parlato dei massimi sistemi, della crisi globale, di Waterloo e dell’Unione europea il cui inno «rischia di passare da "L’Inno alla Gioia" di Beethoven a "L’Incompiuta" di Schubert...»; ma si è tenuto rigorosamente alla larga dalla manovra in discussione. Chissà perché.  Romina Velchi