Il post Gheddafi parte da Parigi Alla Francia il 35% del greggio
 











La vera partita è iniziata. Dopo le bombe ora l’occidente vuole il petrolio e il gas libico e non si risparmieranno colpi per metterci le mani sopra. A Parigi ieri I leader della rivolta libica si sono seduti al tavolo della spartizione insieme ai rappresentanti delle principali potenze mondiali per delineare il futuro del paese, dopo gli oltre 40 anni dell’era Gheddafi.
La Conferenza di Parigi, organizzata all’Eliseo dal presidente francese Sarkozy e dal premier britannico Cameron, è stata aperta non solo alla trentina di paesi che hanno sostenuto la missione militare della Nato, ma anche a quelli che l’hanno criticata, come Russia e Cina. Passo inevitabile, la loro esclusione avrebbe potuto avere conseguenze molto serie per gli equilibri mondiali.
«Questo è il momento di aiutare il Consiglio Nazionale Transitorio – ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Juppe aprendo la conferenza – perché la Libia è devastata, la situazione
umantaria è difficile, mancano acqua, elettricità, carburante. Eppure il paese è potenzialmente ricco, possiede dei fondi distratti dal precedente regime che stiamo cercando di scongelare. La Francia ha appena ottenuto il permesso di versare un miliardo e mezzo di euro al CNT per finanziare la ricostruzione». E dopo il via libera dell’Onu, anche la Gran Bretagna ha consegnato a Bengasi casse di banconote per un valore di 158 milioni di euro: prima tranche di un una serie di fondi congelati nel marzo scorso che serviranno a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici in Libia. Ma come si diceva la vera posta in gioco sono le risorse energetiche del paese in un momento che scarseggiano un po ovunque. E che la questione sia seria lo si capisce dalle manovre dietro alle quinte della conferenza dove alle belle parole di tutti si sta scatenando una vera corsa all’oro nero. Infatti secondo il quotidiano francese <+Cors>Liberation<+Tondo>, il governo di Parigi sarebbe pronta a scippare all’Italia la posizione di leadership che Roma aveva durante il regime di Gheddafi. Sempre secondo il quotidiano francese infatti la Francia avrebbe concluso un accordo con il consiglio nazionale di transizione (Cnt) della Libia in base al quale sarebbe certa di ricevere il 35% della produzione di greggio del paese. A prova di questo accordo Liberation è in possesso di una copia di una lettera inviata il 3 aprile scorso dallo stesso Cnt all’emiro del Qatar. Nella lettera, i membri del consiglio spiegavano all’emiro di aver siglato un accordo “che attribuiva il 35% del totale del petrolio ai francesi in cambio di un sostegno totale e permanente al nostro consiglio”. Sentito in merito dalla radio Rtl, il ministro degli affari stranieri Alain Juppé ha dichiarato di «non essere a conoscenza» di un accordo del genere pur giudicando «del tutto logico» che i paesi che hanno sostenuto la rivolta siano privilegiati nella fase della ricostruzione. «Il Cnt - ha detto Juppé - ha dichiarato pubblicamente che nella ricostruzione si rivolgerà in misura preferenziale a quelli che l’hanno sostenuto, il che mi sembra una cosa logica e giusta». Una flebile smentita è arrivata dal rappresentante del Cnt in Gran Bretagna, Guma al-Gamaty che ha assicurato che i contratti saranno accordati «sulla base del merito e non del favoritismo politico». Parole diplomatiche che però lasciano aperte molte strade. Non è un caso che sempre ieri Mosca abbia riconosciuto il Consiglio nazionale degli insorti come legittimo rappresentante della Libia e che nel comunicato nel quale dava l’annuncio si specificava che “Partiamo dal principio che tutti i contratti e gli obblighi saranno rispettati”, si leggeva nella dichiarazione del ministero russo. Nel comunicato si richiamano inoltre le riforme annunciate dal Cnt (nuova costituzione, elezioni, e formazione del governo) e si ricorda che Mosca intrattiene rapporti diplomatici con Tripoli dal settembre del 1955, senza che siano mai stati interrotti. Da parte cinese per ora nessun riconoscimento ma a Parigi c’è il vice ministro degli esteri Zhai Jun. Con Muammar Gheddafi in sella Pechino importava 150mila barili di greggio libico al giorno (il 10 per cento della produzione) e soddisfava il 3% del proprio fabbisogno. In cambio 75 aziende di Pechino, tra cui 13 controllate dallo Stato, lavoravano a 50 progetti del valore di 15 miliardi di euro. Difficile che Pechino si faccia da parte in silenzio.  Simonetta Cossu