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Caccia ai delfini, l’Italia contro il Giappone |
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L’Italia ha presentato una protesta formale nei confronti del Giappone per esprimere "costernazione e sentimenti di grande preoccupazione e tristezza dell’opinione pubblica italiana" per la caccia ai delfini, una pratica seguita annualmente da secoli nella baia di Taiji, villaggio a sud di Tokyo, nella prefettura di Wakayama. A tal proposito, su indicazione del ministro degli Esteri Franco Frattini, l’Incaricato d’affari dell’ambasciata d’Italia a Tokyo, Alfredo Durante Mangoni, s’é recato al ministero degli Esteri nipponico (Gaimusho) dove ha incontrato il direttore generale per l’Europa al quale ha consegnato una missiva di protesta in vista dell’imminente avvio della stagione di caccia. "Chi ama il Giappone - ha commentato l’ambasciatore Vincenzo Petrone - capisce ancora meno questa assurda tradizione che contrasta con l’immagine di un Paese che è tra quelli che noi amiamo di piu". Da parte nipponica, in base a quanto emerso nel corso dell’incontro durato più di mezz’ora, è stato spiegato che la pratica della caccia ai delfini rientra nelle tradizioni delle comunità locali, profondamente sentite. Al rispetto ’di usi e costumi’ su basi di reciprocità, i funzionari del Gaimusho hanno obiettato che si tratta di una pratica vecchia di secoli e che è seguita in linea con criteri di sostenibilità delle risorse naturali: considerando il fattore ’ripopolazione’ dei delfini in 30.000 unità all’anno, la cattura è consentita nella misura di 20.000 che, alla fine, scendono a circa la metà. Il consumo di carne di delfini e balene, in generale, può essere circoscritta nelle prefetture nipponiche di Iwate, Saga, Wakayama e Okinawa: per questo, c’é la volontà di "preservare un patrimonio delle comunità locali". L’Italia, supportata in questo anche dall’Olanda, ha espresso il vivo auspicio che le autorità nipponiche possano tenere "nella giusta considerazione i sentimenti della popolazione di un Paese amico, mettendo in atto ogni possibile misura per porre fine a una pratica crudele". Peraltro, proprio oggi a Taiji avrebbe dovuto avere inizio il periodo di caccia, rinviato - secondo i media locali - a causa del tifone numero 12 che si avvicina minaccioso alle coste meridionali del Giappone, sul lato dell’oceano Pacifico. Il villaggio è finito nel mirino degli attivisti su scala internazionale dopo il clamore del film-documentario ’The Cove’, vincitore del premio Oscar 2009, nel quale si descrive la caccia ai delfini nelle acque di Taiji non soggette a controlli da parte della Commissione baleniera internazionale. Se le imbarcazioni provvedono ad arpionare le prede di solito il primo maggio, a inizio settembre parte (fino ad aprile) il metodo di caccia tradizionale sviluppato a Taiji in cui i cetacei sono guidati e intrappolati nella omonima baia. Diversi esponenti di associazioni di ambientalisti, come Sea Shepherd, sono impegnati ogni anno nell’attività di dissuasione dei pescatori e di monitoraggio della caccia fino alla chiusura della stagione, di solito ad aprile. La polizia ha aumentato la presenza nell’area anche a seguito dell’arrivo di Richard O’Barry, attivista apparso nel film-documentario, accompagnato da una ventina di sostenitori. Volti e braccia insanguinati, cartelli con slogan contro la caccia ai delfini in Giappone. Così a Roma, davanti all’ambasciata giapponese, hanno protestato gli attivisti dell’Ente nazionale protezione animali (Enpa) per chiedere "lo stop definitivo al massacro dei cetacei". Nella ’Giornata mondiale contro la mattanza dei delfini in Giappone’, coordinata dal network ’Savejapandolphins’ che fa capo a Ric O’Barry, il sit-in nella Capitale si aggiunge alle manifestazioni di New York, Buenos Aires e Berlino. Gli animalisti "ringraziano" il ministro degli Esteri Frattini "per la sensibilità dimostrata" su questo tema. In Giappone, ricorda Ilaria Ferri, direttore scientifico e coordinatore della campagna in Italia, "viene autorizzato ogni anno il massacro di 23.000 piccoli cetacei". "Considerati competitori nella pesca - spiega l’Enpa in una nota -, alla stregua delle balene, i delfini vengono intercettati dai pescatori, che, percuotendo sbarre di ferro sulle loro imbarcazioni creano un muro di suoni per costringere gli animali a rifugiarsi all’interno della baia di Taiji, la cui imboccatura viene chiusa per impedire alle vittime di scampare al loro destino. Una volta preparata la trappola ha inizio il massacro vero e proprio. A salvarsi sono soltanto gli esemplari più giovani, scelti per essere venduti ai delfinari di tutto il mondo".
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