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La Spagna indignata contro "il deficit" nella Costituzione |
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Una grande mobilitazione oggi, un referendum popolare domani. Centinaia di migliaia di spagnoli sono scesi in piazza per protestare con le modifiche costituzionali che fissano per legge il tetto del deficit pubblico e per annunciare la raccolta di firme per una consultazione popolare sull’argomento. Ad organizzare le manifestazioni, i due maggiori sindacati spagnoli, l’Union General de Trabajadores e le Comisiones Obreras, il movimento del 16 M, ovvero gli Indignados, Izquierda Unida e oltre duecento tra associazioni e comitati locali, tra cui i gruppi pacifisti e Attac. Il fischio d’inizio era arrivato lunedi da Oviedo, nelle Asturie, dove si era svolta la prima manifestazione di protesta. Poi, ieri sera, è stata tutta la Spagna a trasformarsi progressivamente in un fiume in piena. Convocati, come da abitudine iberica intorno alle sette di sera, grandi cortei hanno attraversato vie e piazze di Valencia, Alicante, Bilbao e Barcellona, ma anche di molti centri minori di provincia, comprese le città di Tenerife e Las Palmas, nelle Canarie. Questo, mentre la manifestazione più importante si svolgeva nella capitale, lungo un percorso che si è snodato da Piazza Cibeles alla Porta del Sol, abbracciando idealemente le due anime principali della giornata, quella sindacale e quella degli Indignados che proprio del loro accampamento in questa zona madrilena hanno fatto il simbolo della nuova opposizione politica e sociale spagnola. Oggi il Senato di Madrid darà con ogni probabilità il via libero alla riforma della Costituzione, già passata alla Camera nei giorni scorsi, che prevede una modifica dell’articolo 135 della Carta e l’introduzione di una norma che fissa un tetto dello 0,4% per il deficit della pubblica amministrazione a partire dal 2020. Ed è contro questa scelta, assunta in base a un accordo bipartisan tra i socialisti e i popolari, che le piazze spagnole si sono riempite alla vigilia del voto. «Volete scrivere una nuova Costituzione senza tenere conto del popolo sovrano? E noi che dovremmo fare, obbedire senza nemmeno discutere? E’ questo il modo democratico di affrontare la crisi? Gli organismi internazionali lanciano l’allarme sul debito pubblico del nostro paese, ma tutti sanno che se le banche, le grandi industrie e i privati che detengono ingenti fortune, pagassero le tasse e si comportassero in modo responsabile, il problema non esisterebbe più. E invece, con questa norma, i debiti si pagheranno con le risorse già destinate ai servizi pubblici, alla scuola e all’università, alle pensioni e al welfare. Non siamo d’accordo». Così, gli Indignados, riuniti nella loro assemblea generale domenica scorsa alla Porta del Sol, avevano dato il proprio contributo in vista della mobilitazione. Intanto i sindacati scaldavano i motori per le manifestazioni. «Una norma che condizionerà il presente e il futuro della società spagnola, come minimo dovrebbe essere assunta attraverso un referendum», spiegava alla vigilia della giornata di protesta Toni Ferrer dell’Ugt. Ma le manifestazioni di ieri non rappresentano soltanto una prima, sonora, bocciatura della linea scelta dal governo di Madrid per affrontare il tema della crisi economica e della disoccupazione di massa che affligge il paese. A nessuno sfugge infatti come al tramonto della sua stagione politica, Jose Luis Rodriguez Zapatero, per altri versi un leader innovativo e coraggioso, abbia scelto di cavalcare la tigre delle riforme liberiste, moderando l’appeal sociale delle proposte del Psoe e cercando, evidentemente, di strizzare l’occhio non solo ai mercati, ma soprattutto a quell’elettorato moderato che con ogni probabilità consegnerà il 20 novembre, la data in cui sono state fissate le elezioni politiche anticipate, il paese al Partido Popular di Mariano Rajoy. Ciò che però negli ultimi mesi si è andato esprimendo intorno e all’interno del movimento degli Indignados, e che ieri ha nuovamente incontrato i compagni di strada della sinistra politica e dei sindacati, indica un percorso opposto e l’ipotesi che dalla crisi si possa uscire “facendo pagare chi più ha”. Dall’accampamento della piazza della Porta del Sol è partito un segnale che sta già comiciando a dare i propri frutti, chissà che non riservi delle soprese anche per il dopo-Zapatero. Guido Caldiron |
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