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Monito di Napolitano: "Attenti a cambiare la Carta, c’é troppa improvvisazione" |
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"La politica e’ in affanno e anche i sistemi politici sono in tensione. Viviamo in un periodo in cui si ha l’impressione che ci si svegli una mattina e si proponga di cambiare un articolo della Costituzione che non piace. C’e’ molta approssimazione e improvvisazione". E’ un vero e proprio monito quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenuto a Palermo. In questa situazione di crisi e incertezza, il capo dello Stato mette in guardia anche dalla crescente tendenza all’antipolitica. "Ci sono alcune definizioni folgoranti da prendere come grano salis, bisogna usare qualche attenzione nell’uso dilagante di certe parole come ’casta politica’". Napolitano si serve di una metafora: "L’uso di queste parole e’ come la notte dove tutto rischia di diventare grigio e nero". Il capo dello Stato parla quindi di Europa e spiega che "per restare in Europa e’ necessario un esame di coscienza collettivo che tocchi anche i comportamenti individuali". "Il mondo e’ radicalmente cambiato, gli italiani di ogni parte sociale, politica e culturale devono comprendere che non viviamo piu’ negli anni Ottanta o negli anni Settanta -ha detto ancora Napolitano- anche noi dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e le nostre aspettative per potere mantenere una nostra prospettiva europea". "Il calare dell’impegno e della visione europea dei governanti e lo scemare dell’entusiasmo europeo tra i cittadini mi pare siano il reciproco condizionarsi di due spinte perverse. Probabilmente e’ cresciuto il disincanto tra i cittadini dell’Europa anche per la mancanza di impulso, di guida e di visione da parte di chi governa" ha sottolineato Napolitano. Ai fini dell’integrazione europea "c’e’ la necessita’ di solidarieta’ e di difesa anche degli Stati che hanno un debito sovrano molto pesante" ha aggiunto il capo dello Stato. ’’C’e’ una spinta oggettiva, una forza delle cose che indica la strada di una piu’ stretta integrazione europea che poi venga messa in relazione con la crisi dell’Eurozona e quindi c’e’ la necessita’ di solidarieta’ e di difesa anche degli Stati che hanno un debito sovrano molto pesante’’, ha detto Napolitano, intervenendo all’universita’ di Palermo al convegno ’Rifare gli italiani per restare in Europa’, durante una conversazione con il politologo Gianfranco Pasquino. Secondo il presidente della Repubblica "si chiedono, pero’, come accompagnamento di questa solidarieta’, certi comportamenti, anche da rendere obbligati, stringendo la vite del processo di integrazione". "Le cose spingono in questo senso -ha concluso Napolitano- pero’ non solo in passato si e’ remato nella direzione opposta da parte di molti governi, ma anche adesso ci sono riluttanze, resistenze e contraddizioni che rendono il presente e anche il futuro molto incerto". All’iniquità si può reagire La manovra votata al Senato con il vincolo della fiducia è molto peggiore di quella - già indigeribile - che si andava profilando nei giorni scorsi. Il punto qualificante è che la sua iniquità viene ulteriormente rafforzata. Il contributo di solidarietà, che già avevamo definito un’elemosina nella gravità del contesto, viene introdotto soltanto per i redditi superiori ai 300mila euro. Si mette mano pesantemente alle pensioni, in particolare a quelle delle donne, con buona pace della Lega Nord, che sul punto aveva promesso battaglia e che, oggi, di nuovo, dovrà spiegare al suo elettorato che in realtà la sua autonomia dai poteri forti berlusconiani è un grande bluff e che gli interessi sociali che rappresenta e difende sono del tutto organici a quelli del Pdl. Si riduce poi di sei volte rispetto al testo originario la portata dei tagli delle indennità dei parlamentari e si ammorbidisce sensibilmente l’incompatibilità del loro mandato con altri incarichi pubblici, ad indicare ancora una volta quanto sia demagogica e priva di effettiva sostanza la campagna contro i privilegi della casta. E, soprattutto, si conferma l’abominio politico e giuridico dell’articolo 8 e cioè la possibilità delle deroghe alle leggi e ai contratti nazionali e quindi anche la libertà per le imprese di licenziare senza giusta causa. Una norma, questa, che costituisce il vero cuore della manovra, il nocciolo profondo di tutta la filosofia del governo: un attacco spregiudicato al lavoro, ai diritti, alla stessa democrazia, sulla base dell’idea che dalla crisi si deve uscire riducendo ulteriormente lo Stato sociale (i tagli agli Enti Locali determineranno questo) e riportando i rapporti tra lavoratori ed aziende a cinquanta anni fa. Di fronte a tutto questo l’urgenza è quella di reagire immediatamente. Mettendo in campo, da subito, una proposta alternativa che dica al Paese che le misure adottate in questa manovra non sono l’unica via percorribile e che metta in fila, concretamente, quei contenuti che il Partito democratico non ha praticato, con una opposizione in Parlamento drammaticamente al di sotto delle esigenze che la durezza dello scontro richiedeva. Il Pd - che si è diviso perfino sull’appoggio allo sciopero della Cgil - non vuole prendere atto che non sono solo fallite le ricette ultraliberiste praticate in questi anni, ma anche quelle di liberismo temperato. All’iniquità si può reagire dalla prima lo dimostrano il fallimento di Zapatero, ma anche di Obama, entrambi travolti dalla profondità della crisi. Non è vero che non si può fare diversamente. Si può, occorre sceglierlo! In un Paese dove il dieci per cento della popolazione possiede il quarantasei per cento della ricchezza e dove solo l’uno per cento dichiara di guadagnare più di centocinquantamila euro - mentre aumentano disoccupazione e povertà per milioni di persone - occorre prelevare da lì le risorse. Patrimoniale, tassazione delle rendite, lotta intransigente all’evasione e alla elusione fiscale, una politica di Welfare che tuteli le fasce deboli e faccia da volano ad una politica industriale pianificata che, nel rispetto dell’ambiente, rilanci l’occupazione. Taglio delle spese militari e investimento nella formazione, nella ricerca, nell’Università pubblica. Questi sono i titoli di un programma alternativo che potrebbe farci uscire dalla crisi con giustizia ed equità. Ma questo progetto è tanto urgente e imprescindibile quanto ampio e ambizioso. Richiede forze sociali e politiche all’altezza, che accompagnino la proposta con un livello di conflittualità diffuso e profondo. Richiede che la Cgil scelga di essere il sindacato dello sciopero generale del 6 settembre e non il sindacato dell’accordo con Confindustria e governo del 28 giugno. Richiede che i movimenti, le reti, le tante soggettività escano ciascuno dal proprio recinto e guardino insieme all’obiettivo di costruire anche in Italia - e a partire dal 15 ottobre, che deve essere appuntamento unitario e condiviso di tutti - un livello di mobilitazione adeguato alla drammaticità della situazione. E richiede che la sinistra italiana, la sinistra politica, faccia altrettanto e di più. Negli ultimi mesi il nostro Paese ha dimostrato di sapere reagire e di volere con tutte le sue forze la fine dell’incubo berlusconiano. I risultati delle elezioni amministrative, la grande vittoria ai referendum, le lotte degli studenti, il protagonismo delle donne, la forza del movimento dei lavoratori, indicano che lo spazio esiste. La crisi del capitalismo morde al punto che le contraddizioni sociali si stanno accentuando. Diventa sempre più urgente mettere in campo un credibile progetto alternativo a quello liberista. Saremmo degli irresponsabili se anziché mettere al centro delle nostre iniziative questa esigenza ci concentrassimo, ognuno di noi, a coltivare il proprio orticello. La parola d’ordine oggi più che mai è questa: unità delle lotte, unità e radicalità del programma e dei contenuti dell’alternativa, unità delle forze politiche e sociali della sinistra. Così possiamo farcela. Claudio Grassi Dopo la manovra tocca alle pensioni. Le richieste di dimissioni da parte dell’opposizione sono state respinte, la proposta di Giuseppe Pisanu di dar vita ad un governo di larghe intese rispedita al mittente dal Pdl, cosi’ come quella dell’Udc di concedere "un salvacondotto giudiziario" al premier per farlo uscire di scena. Ma dietro le quinte diversi deputati e senatori proprio del partito di Berlusconi non nascondono piu’ l’irritazione per alcune consuetudini del Cavaliere. Compatti difendono il diritto alla privacy e attaccano l’uso di sbattere in prima pagina conversazioni private, ma - e’ lo sfogo di piu’ parlamentari -, "mentre noi lavoriamo per tenere in piedi la maggioranza lui parla con Lavitola...". Si capisce il motivo per cui in via dell’Umilta’ si teme che possa ’crollare’ tutto da un momento all’altro. Anche perche’ la Lega resta in silenzio ed e’ pronta, riferiscono fonti del Carroccio, a sfilarsi qualora dovessero emergere ulteriori novita’ giudiziarie o intercettazioni compromettenti. Il partito di via Bellerio sbarra la strada anche all’ipotesi di una nuova manovra a breve tempo. Ieri il presidente della Bce, Trichet, promuovendo le modifiche apportate al testo uscito dal Senato, ha invitato l’Italia a proseguire sulla strada del risanamento dei conti. Il Capo dello Stato ha auspicato nuovamente misure per la crescita e proprio di questo si sarebbe parlato nell’incontro a palazzo Chigi tenutosi tra Mario Draghi e Silvio Berlusconi. Fonti parlamentari del Pdl riferiscono che sul tavolo c’e’ l’ipotesi di anticipare le misure sull’eta’ pensionabile delle donne, inserite nella manovra al 2013 (se non al 2012) e non piu’ al 2014. E inoltre si sta studiando un intervento graduale sulle pensioni di anzianita’ per cambiare l’attuale sistema. Berlusconi avrebbe rassicurato il governatore della Banca d’Italia sulla tenuta del governo e sulla determinazione a compiere riforme strutturali. Ora c’è naturalmente da abbattere il muro eretto dalla Lega, ma soprattutto da superare lo scoglio del caso Tarantini. Il Capo dell’esecutivo, dicono dal Pdl, è preoccupato per i risvolti che l’inchiesta potrebbe assumere, ripete che si tratta solo di fango e dell’uso politico della giustizia. E’ - questa la riflessione del Cavaliere -una indecenza inaudita, non molleranno finche’ non avranno raggiunto il loro scopo. Ma - ripete il premier ai suoi - non riusciranno nel loro intento, la gente e’ con me e i numeri in parlamento ci sono. Mercoledì il Cavaliere ha cenato con il segretario generale del Ppe, Lopez, con Frattini e Alfano. Si e’ parlato della possibilita’ di costituire in Italia un partito dei popolari, sull’esempio del Ppe europeo. Non si sa se il Cavaliere abbia parlato anche delle inchieste. Ieri il presidente del Consiglio, pero’, in alcune telefonate ha sottolineato ancora la sua amarezza per gli attacchi personali subiti e anche perche’, spiega chi gli ha parlato, c’e’ nel Pdl chi pensa di mollarlo credendo di salvarsi. Se cado io - e’ il ragionamento del Cavaliere che viene riferito - cadono tutti. |
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