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-Fare cassa con le pensioni porta più danni che benefici- |
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Professor Felice Roberto Pizzuti, il debito pubblico italiano a luglio ha stabilito un nuovo record, raggiungendo quota 1.911,807 miliardi di euro. Il governo ha appena varato una manovra da 53 miliardi ma già si parla di nuovi interventi. L’idea è sempre quella: fare cassa con le pensioni. Per superare l’opposizione della Lega, Berlusconi ha addirittura chiesto all’Ue di obbligare l’Italia ad innalzare l’età pensionabile. Ma davvero è questo il modo migliore per risanare i conti dello Stato? Per prima cosa nella manovra appena approvata c’è già un intervento sulla previdenza, vale a dire l’innalzamento graduale fino a 65 anni dell’età per la pensione delle lavoratrici del settore privato. Intervento, al pari di altri, del tutto inutile rispetto all’obiettivo di azzerare il deficit nel 2013, dal momento che avrà effetti non prima del 2015, per una minore spesa di appena un centinaio di milioni di euro. Questo capitolo della manovra non solo non darà soldi entro il 2013, ma probabilmente otterrà l’effetto contrario, perché già nel 2012 incentiverà l’uscita dal lavoro di chi sarà in condizione di poterlo fare. Tra le ipotesi più gettonate c’è l’anticipo al 2013 della cosiddetta quota cento (65 anni e 35 di contribuzione). Un intervento strutturale che, a regime, porterebbe risparmi per 10-12 miliardi l’anno. Con il vantaggio, avrebbe detto un ministro, che «non si tolgono soldi a nessuno, non si impongono nuove tasse, si chiederebbe solo ai pensionandi di restare un po’ di più al lavoro». E’ così? Nel medio e lungo periodo, se non fossimo in una situazione di crisi che non sappiamo quando durerà, l’aumento della vita media attesa può ragionevolmente far discutere sull’opportunità di spostare in avanti l’età di pensionamento. Cosa che, a mio avviso, andrebbe però fatta sulla base di una flessibilità di scelta connessa a criteri attuariali (chi esce prima dal lavoro prende di meno, chi esce dopo prende di più). Ma nella situazione attuale imporre a tutti un’età di pensionamento più alta, senza criteri flessibili, produrrebbe sì l’effetto di una riduzione della spesa pensionistica - secondo un calcolo ipotetico - ma costringerebbe anche tantissima gente che avrebbe voluto andarsene in pensione a non farlo. Dal punto di vista occupazionale non cambierebbe nulla, ma la qualità dell’occupazione peggiorerebbe. Persone anziane e poco motivate impedirebbero, loro malgrado, l’accesso al lavoro dei giovani. Con conseguenze negative per l’economia. Ci sarebbe un aumento del costo del lavoro, visto che gli anziani occupati guadagnano di più dei giovani che li potrebbero sostituire. L’Italia ha un grandissimo bisogno, molto più di altri paesi, di innovare il proprio sistema produttivo. Ma l’innovazione la si fa con persone disponibili a innovare, possibilmente più acculturate, che è appunto la condizione media dei giovani rispetto ai più anziani. Tutto il risparmio per il bilancio previdenziale sarebbe vanificato dal mancato sviluppo della domanda interna, uno dei principali freni alla crescita. L’Italia però fa parte dell’Europa e in Europa si va in pensione più tardi. I tedeschi che non vogliono acquistare i titoli di Stato italiani si domandano: perché le formiche devono pagare i privilegi delle cicale? Che la Germania sia costretta a finanziare le cicale è un luogo comune che va sfatato. Per procurarsi il denaro che poi presta alla Grecia con un interesse del 6%, Berlino si finanzia sul mercato internazionale al 2% - perchè questo è il rendimento dei Bund - con un guadagno quindi del 4%. L’Italia, quando presta soldi alla Grecia insieme alla Germania, riceve lo stesso 6% d’interesse, con la differenza che quando va a finanziarsi sui mercati internazionali deve garantire il 4% per vendere i suoi titoli pubblici. Quando l’Europa presta soldi alla Grecia, quindi, la Germania guadagna più di tutti gli altri paesi. Non solo: le banche più esposte nei confronti sia del debito pubblico greco che per i soldi prestati alle banche greche sono quelle tedesche. Quando l’Europa presta soldi alla Grecia, mette al sicuro i crediti delle banche tedesche. Dopodiché, nessuno dice che in Germania adesso è possibile andare in pensione anche a 63 anni se ci sono 35 anni di anzianità. In sostanza a quota 98. In Italia in questo momento, senza nessun intervento, la quota in vigore è 97 ma siccome per chi matura il diritto la finestra si apre 12 mesi. Nel 2013 scatterà lo slittamento di tre mesi legato all’aspettativa di vita. Per cui si arriverà a quota 98+3 mesi, una quota più alta di quella tedesca. E’ vero che, se si guarda all’età di pensionamento effettivo, l’Italia ha in media un anno in meno della Germania, ma ha anche quasi un anno in più della Francia. E comunque è già stato deciso che anche nel nostro paese l’età di pensionamento dovrà arrivare a 70 anni nei prossimi 15-20 anni. Altro che cicale e formiche. C’è un’altra cosa. Il tasso di sostituzione - il rapporto tra la pensione e l’ultimo stipendio percepito - che prima era all’80%, oggi per un lavoratore parasubordinato è arrivato a meno del 40%. Sta cioè maturando una vera e propria bomba previdenziale che esploderà quando i giovani di oggi andranno in pensione. Dal 1992 le pensioni in essere non sono più agganciate alla crescita dei salari e anche l’aggancio all’inflazione è parziale. Esattamente il contrario di ciò che accade in Germania, dove le pensioni sono legate all’andamento dell’economia. Il risultato è che negli ultimi 19 anni le formiche tedesche hanno visto rivalutate le loro pensioni, mentre il potere d’acquisto dei pensionati italiani si è ridotto. Se poi si considera che il 50% delle pensioni italiane è sotto i 500 euro, il luogo comune che un pensionato tedesco possa invidiare un pensionato italiano si rivela per quello che è: una vera e propria castroneria. Si dice che le pensioni pesino troppo sui conti pubblici. Al netto dei contributi versati dai lavoratori - secondo calcoli del nucleo di valutazione della spesa previdenziale - ogni anno restano da pagare 75 miliardi di euro, tutti a carico della fiscalità generale. Forse perché nel calcolo viene inclusa tutta la componente dell’assistenza. Invece il sistema pensionistico pubblico è un sistema nel quale il saldo tra le entrate contributive e la spesa per le prestazioni di natura previdenziale è positivo ormai dal 1998. E ciò considerando anche le gestioni autonome. Nell’ultimo anno di cui si hanno i dati, che è il 2009, questo saldo positivo è pari all’1,8% del Pil. Quindi il sistema pensionistico pubblico finanzia il bilancio dello Stato in una misura consistente e crescente dal 1998 in poi. Roberto Farneti
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