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-Sciopero del debito contro la speculazione- |
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La camera non ha fatto in tempo a votare la fiducia sulla manovra correttiva che già si sono fatti avanti i sostenitori di una seconda manovra da varare durante la prossima sessione di bilancio tra un mese esatto. L’operazione, ha sostenuto sul Sole 24 ore Massimo Corsaro, dovrebbe aggirarsi intorno ai 400-500 miliardi di euro con l’obiettivo di portare il debito al 90% del pil. Nel mirino l’innalzamento immediato dell’età pensionabile, la privatizzazione del patrimonio pubblico, forse ma con moderazione una patrimoniale una tantum. «Non so quanto sia credibile una manovra di tale ampiezza», ci spiega il professor Andrea Fumagalli che il primo settembre sul manifesto ha dato voce ad un brusio di fondo: rivendicare il diritto all’insolvenza? Una proposta elaborata prima dell’estate nel corso degli stati generali della precarietà. Professore perché ritiene impraticabile un intervento di queste dimensioni? Negli anni scorsi è già stato raschiato il fondo del barile e poi la composizione dell’attuale compagine governativa impedirà il ricorso ad una patrimoniale che sarebbe la soluzione più corretta. Buona parte del patrimonio pubblico è stato già ceduto nelle finanziarie degli anni scorsi o delocalizzato. Sarebbero comuni e regioni a farsi carico della privatizzazione delle municipalizzate con benefici per le entrate una tantum, mentre le privatizzazioni produrrebbero rincari delle tariffe con effetti immediati sui redditi medio-bassi e inevitabili ripercussioni sul potere d’acquisto, il livello dei consumi e della domanda. Si potrebbe anche arrivare ad un avanzo primario ma si ridurrebbe anche il pil. Verrebbe meno l’obiettivo della riduzione del rapporto deficit/pil che al contrario potrebbe ulteriormente accrescersi. Per giunta tutto ciò avviene in un contesto in cui l’aumento dei tassi d’interesse è costante. Nelle ultime aste l’aumento è stato mediamente di due punti più alto dell’asta pre-estiva. Ciò comporta un aumento dell’onere degli interessi di circa 500 milioni di euro e quindi un aumento della spesa per interesse che va in maniera perversa a alimentare il debito nonostante sacrifici imposti agli italiani. La logica di queste manovre che riducono il potere d’acquisto e dall’altro aumentano la polarizzazione dei redditi è fallimentare. Basta vedere cosa è successo in Grecia. Si parla ormai di un default inevitabile. Quello che è accaduto mostra quale sia il reale obiettivo di queste manovre finanziarie. Nel 2010 la Grecia ha adottato una politica di manovra finanziaria che non è molto dissimile da quella italiana, è stata solo più pesante: aumento dell’iva, taglio della spesa corrente pubblica (taglio del 10% degli stipendi pubblici e licenziamenti nel settore), aumento dell’età pensionabile. Con quale risultato? Dopo un anno i dati Ocse ci dicono che nel primo semestre 2011 il pil è calato del 7,3% vanificando la politica di sacrifici al punto tale che oggi la Grecia si ritrova all’interno di un nuovo attacco speculativo. I rischi di default sono oggi maggiori rispetto al 2010 nonostante nel frattempo sia stata adottata una manovra finanziaria lacrime e sangue. Questo fa capire che l’obiettivo di queste manovre non è il risanamento ma dare linfa al solvibilità dei titoli pubblici in possesso degli speculatori, ed obbligare la Bce a fare iniezioni di liquidità per allargare la base dei mercati finanziari e della speculazione. Lo sciopero del debito sarebbe la soluzione? Occorre sottrarre linfa alla speculazione obbligandola a non intervenire sul segmento dei titoli pubblici. Questo si può fare non pagando gli interessi sui titoli oppure spingendo la Bce ad emettere titoli di Stato europeo, chiamiamoli pure eurobond, ma sostitutivi di quelli esistenti a livello nazionale non in aggiunta come sostiene Tremonti. Quale è la differenza? Se creo nuova moneta emettendo titoli aumento la liquidità finanziaria. Soluzione che rende felice la speculazione. Tutti gli acquisti fatti dalla Bce nell’ultimo mese col fine di sostenere la solvibilità del debito pubblico italiano, garantendo interessi anche crescenti ai possessori di titoli, hanno agevolato la speculazione finanziaria che si è rafforzata. Il rendimento dei Cds (i derivati che assicurano contro il rischio di default) hanno avuto un tale incremento di valore che le cinque Sim proprietarie del 95% dell’intero mercato di questi titoli hanno incassato plusvalenze finanziarie enormi. I grandi speculatori finanziari, come Goldman Sachs, tanto per fare un nome, impiegano una sorta di strategia della choc economy: gridano all’allarme per il rischio di default della Grecia o dell’Italia, provocando l’immediatamente aumento delle difficoltà di collocamento i titoli nei mercati internazionali. In questo modo i derivati che loro possiedono su questi titoli, cioè i cds, aumentano di valore. La Goldman Sachs ha attualmente una liquidità di cassa che è superiore a quella della Federal reserve. Questa strategia ha funzionato lo scorso anno sul mercato delle materie prime: grano, soia, petrolio. Con grossi guadagni sui Futures, prodotti finanziari legati alle materie prime. Passati al’incasso i grandi speculatori si sono spostati sul mercato dei titoli di Stato e i rischi di default e qui sono intervenuti con i derivati che assicurano contro i rischi di crac. Il diritto all’insolvenza riguarderebbe soltanto il pagamento degli interessi? Mentre tutte le altre componenti del debito tendono a ridursi a causa degli interventi draconiani, gli interessi maturati sono in costante aumento. Si può procedere in due modi: il primo è quello del dilazionamento del pagamento degli interessi o, nella versione più radicale, addirittura il non pagamento degli interessi. Questo avrebbe degli effetti di riduzione della spesa per interessi. La seconda modalità è il consolidamento di parte dei titoli di debito pubblico, al di là degli interessi che maturano, in modo da sottrarli dallo scambio sui mercati secondari. Quindi obbligando i possessori di questi titoli a mantenerli nel loro portafoglio. Dato che il debito pubblico italiano, secondo i dati di Bankitalia, è detenuto per l’87% da investitori istituzionali, cioè banche, società di intermediazione immobiliare (Sim), assicurazioni, e soltanto per il 15% dalle famiglie. Un intervento di questo del genere andrebbe a colpire i bilanci dei grandi speculatori internazionali innescando un meccanismo di contrattazione con le società finanziarie, garantendo invece solvibilità e rendimento solo a quel 15% di titoli familiari. Cosa rispondi a chi obietta che si tratta di una posizione irrealistica perché mancano i rapporti di forza? Un discorso radicale sul diritto alla banca rotta è chiaro che è una provocazione politica. Ma indica una direzione che per realizzarsi deve essere accompagnata da una serie di altre condizioni risolutive: la prima è il superamento della sovranità nazionale a livello fiscale come c’è stata a livello monetario. Solo una politica fiscale comune europea è in grado di frenare l’attività speculativa. La seconda condizione è che una politica del genere dovrebbe essere accompagnata da interventi di riequilibrio dei redditi con interventi fiscali più progressivi e meno repressivi. Creare le premesse perché ci sia uno stimolo alla domanda, non solo in termini di mera crescita ma di sviluppo ecocompatibile. Paolo Persichetti |
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