Giornata di sangue: furiosi combattimenti a Sirte e Walid
 











Mentre in molte città libiche hanno riaperto le scuole, a Sirte e Bani Walid si combatte ancora. In quest’ultima città è particolarmente vigorosa la controffensiva dei fedelissimi dell’ex rais, che hanno colpito una postazione dei ribelli a pochi chilometri dal centro cittadino. A Bani Walid il governo turco ha ieri inviato 22 tonnellate di aiuti umanitari che saranno lanciati coi paracadute (non c’è altro modo) a per dare sollievo ai circa 10mila abitanti intrappolati tra gli scontri. Per quanto riguarda le sorti di Sirte, zona d’origine del Colonnello Gheddafi, le versioni del fronte lealista contrastano, come di consueto, con quello degli insorti. Il portavoce di Gheddafi, Moussa Ibrahim, dice che il Colonnello è in Libia e resta al comando delle operazioni. Le milizie fedeli al rais, ha dichiarato Ibrahim, hanno la capacità di «resistere per mesi». Il portavoce ha poi denunciato l’uccisione di oltre duemila persone nella stessa città a causa dei bombardamenti Nato degli ultimi quindici giorni. Ibrahim ha detto anche che nella notte tra venerdì e sabato la Nato ha colpito una zona residenziale della città, causando 354 morti, 90 dispersi e oltre 700.
Per il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Anders Fogh Rasmussen, la missione Nato in Libia è entrata nella sua «fase finale». In questo senso avalla la posizione del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), le cui truppe sostengono di controllare ormai il 70% di Sirte. Una versione che contrasta con le notizie diffuse da al-Arabiya, secondo cui le forze di Gheddafi resistono ancora in molta parte della città.
Da Tripoli il Cnt ha ieri sera lanciato un ultimatum alle milizie di Gheddafi, minacciando di processare «per alto tradimento» chi non deporrà le armi. Il Cnt progetta di reintegrare i lealisti nella ricostituzione dell’esercito nazionale libico dopo la definitiva caduta di Gheddafi.
Se tre le vittime di guerra va sempre annoverata la verità, nel caso libico
è stato oltrepassato ogni limite in quanto a imprecisioni sui numeri.
Secondo un’inchiesta pubblicata dal New York Times, le cifre diffuse dall’inizio della guerra sono a dir poco gonfiate. La cosa vale in particolare per il fronte ribelle. Il Cnt parla ad esempio di un numero di morti nel conflitto libico tra i 30mila e i 50mila. Pare che invece non arrivino che a qualche migliaio. Mille sono anche i dispersi secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Insomma la sola certezza è che non si sa quanti morti e feriti vi siano stati. Dagli elementi a disposizione si evince tuttavia che il conflitto ha ucciso a Misurata più che altrove, nonostante si tratti di una città più piccola rispetto a Tripoli e  Bengasi.
I nuovi leader libici, oggi interlocutori di gran parte della comunità internazionale, continuano a insistere sull’accuratezza delle loro informazioni. Vedrete quando conteremo i morti delle fosse comuni, dicono. Ma anche in questo caso la Croce Rossa parla di
13 fosse, forse una ventina. In quella trovata nelle montagne Nafusah, a ovest del paese, sono stati rinvenuti 35 corpi. In totale la Croce Rossa ha contato in queste fosse 125 cadaveri.
Si tratta comunque di atrocità, ma di una dimensione diversa rispetto a quella che ha scatenato l’allarme internazionale decisivo per passare all’intervento Nato. Anche secondo Human Rights Watch (Hrw) è troppo presto per tirare le somme in base ai numeri di questa guerra. «I numeri diffusi dalla stampa sono per ora basati su supposizioni» ha confermato anche l’antropologo forense Stefan Schmitt, in Libia per l’organizzazione Medici per i diritti umani.
Venerdì il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una risoluzione con cui sono state diminuite le sanzioni contro Tripoli e l’embargo delle armi.
Per appoggiare formalmente il Consiglio nazionale di transizione l’Onu ha inoltre creato una missione di assistenza che si chiamerà Unsmil (United Nations Support Mission in
Libya), con un mandato iniziale di tre mesi. La missione di peacekeeping si occuperà di sicurezza, ordine pubblico, elaborare una Costituzione e organizzare elezioni. La «no fly zone» resta in vigore. Mentre sta per partire la missione Onu in Libia, presso lo stesso organismo internazionale il Venezuela ha intenzione di denunciare quella che considera «un’aggressione» della Nato contro lo stesso paese. Lo ha annunciato ieri il ministro degli Esteri venezuelano, Nicolas Maduro. Il Venezuela ha votato contro il riconoscimento del Consiglio Nazionale di transizione come rappresentante della Libia con altri 16 paesi.  Francesca Marretta