Principe, il rapper operaio
 











Non è evasione. Per lui il rap non è musica per dementi in cerca di distrazioni. Massimiliano Cassaro, in arte Principe, è al suo terzo disco da solista, in uscita in questi giorni col titolo Dalla parte sbagliata. Un album spara-flow a raffica, flusso ininterrotto di rime, divertente e pungente, ironico e dissacrante, anni luce distante dal politically correct, nulla a che fare con quella specie di genere commerciale finto arrabbiato di altri rapper griffati. Lo canta, beffardo, un po’ ovunque nel suo lavoro. «Non ho il pezzo che vi fa ballare non ho il pezzo che/ vi fa sballare non so fare il singolo d’estate», dice in "Via d’uscita". «Fate i rapper impegnati coi testi incazzati ma poi restate/ impegnati a spendere i soldi del papi/ Siete i capi dei quartieri residenziali i più scaricati dai/ bambini e i liceali a me/ Non fotte un cazzo dei telefonini, di cosa tiri, cosa guidi/ e con chi giri/ Nel mio quartiere un altro coglione che bluffa le storie che rappa/ e che le ha viste soltanto in televisione/ Tu la vita di strada non l’hai mai vista e il ferro e le lame/ soltanto su una rivista» ("In ogni parola").
Principe, lo chiamano anche il rapper operaio di Torino, non in senso figurato. In fabbrica ci lavora per davvero, da oltre dieci anni, al reparto fonderia della Teksid Fiat. Un anno fa, quando trovò nella buca della posta la lettera di Sergio Marchionne agli operai di Pomigliano, non ha resistito alla tentazione di rispondere. «Io non conoscerò l’alta finanza, ma probabilmente lei non ha la benché minima idea di cosa sia realmente, e mi passi l’espressione, "faticare". Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Io ci lavoro da tredici anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde della giornata, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male». «Spero di non sembrarle troppo venale se le dico che ad una virile stretta di mano avrei preferito
il premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Come vede ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile netto di 113 milioni di euro, ci viene negato persino il Premio di produzione?».
«La sola cosa che so - canta Principe in "Sempre qui", il pezzo d’apertura del cd - è che porto il mio rap ai confini del flow/ Stendo le rime col solito fine per dimostrarti lo stile che c’ho/ Spingo quel gusto che chiamano hip hop/ Tu chiamami pro, se dove sto, incastro le parole/ come ci gioca solo un fenomeno/ No io non sto in fissa con il bling bling da MTV/ Il mio mic parla ancora di lotta di classe/ Mentre al massimo qui invece che a Marx e ad Engels /
sta gente pensa a Massimo e Chicco della Terza C». «Sono il dannato figlio dell’immigrazione senza piglio / dell’imprenditore m’appiglio alla mia ragione/ Relegato a condizione di precario perenne uso il rancore/ per sfondare le barre di questa gabbia/ La voce per sfogare la mia rabbia sulla cassa mentre scrivo queste barre in cassa integrazione/ Tu aspetta ancora il babbo con le renne io ho tagliato da/ tempo le antenne e il cavo della mia TV/ La tele resta spenta e non la guardo più e se scrivo di più è solo/ per uscirne indenne» (da "Via d’uscita").
Del rap si è detto che è stato la colonna sonora dei riots inglesi, delle rivolte giovanili delle periferie londinesi. E c’è del vero. Ma bisogna pure fare attenzione a dove corre il filo sottile che separa una cultura musicale dalla sua replica commerciale. Per intenderci, «i rappers vanno in strada con le scarpe di Prada abbinate / a una kefia firmata Dolce & Gabbana», canta Principe nel pezzo "Liriche di resistenza"). «Vengo
fuori dalla scuola classica del rap grezzo/ Dove suonare pesante non è un difetto/ Non c’entro un cazzo col rap che gira adesso/ Troppe pause, poco senso» (da "Rap gioco"). «Trasmetto illegalmente come Rete Quattro e Radio Maria/ E’ violenza verbale non puoi fermarla la mia/ È la frequenza contraria al regime/ Uso l’arma delle rime come fossero pallottole/ Per resistere e sperare che un mondo migliore ci sia/ E che reagire sia possibile/ È l’unico modo e se rispondo al fuoco col fuoco/ È solo per non farmi fottere» ("Non è la mia"). Questo è rap, non quello che sembra i Take That, «sembri Stanis La Rochelle che interpreta il Machbeth/ vuoi fottere con me ma non ce n’è perché trasmetto rime/ hi tech già dal primo check».
"Dalla parte sbagliata" è anche il ritratto di un’Italia ipocrita e benpensante, moralista e spregiudicata, gonfia di retorica e traboccante di individualismo arrogante. «L’Italia ha un Cristo d’oro appeso al collo ma non è cultura/ La nostra sola cultura è quella
dell’odio/ E chi ci guida ha la cura per ogni problema/ È tutta colpa dei Rom, dei comunisti e di al-Quaeda» ("Non è la mia"). «La mia fortuna è soltanto geografica, ho le ali per volare/ sulla luna e scordarmi dell’Africa/ La matematica mi ha detto questo che l’80% del mondo/ è vittima del resto» ("Ad occhi chiusi"). Un racconto dal punto di vista di chi non si sente maggioranza, in "torto" perenne. La canzone "Con chi stai" - una ripresa dello storico pezzo ska dei "Fratelli Soledad" - è un manifesto del pensare controcorrente. «Noi siam con chi lavora non con chi sta al potere/ Ci piaccion Malcom X e le Pantere Nere/ Noi siam con chi lavora e il pizzo non lo paga/ Ci piace il Comandante Ernesto Che Guevara». «Il legame tra lo Stato e la mafia è evidente il tuo stalliere/ c’ha l’ergastolo e si chiama Mangano/ Puoi comprarti la gente e le risposte che mancano, sorridere/ in tele ma le domande non cambiano/ E a me rimangono in testa gli stessi dubbi da sempre/ voglio sapere dov’è che ha preso i soldi il Presidente/ Ma si sa che chi tace acconsente si compra coscienze con/ chili di pubblicità/ Ma io non faccio parte delle tue aziende non mi copri con chili/ di fard rimango sempre cosciente/ so qual è la realtà, conosco la dignità, l’ho messa in rima per sputarti in faccia la verità». «Revolucion alla Marcos come nel Messico gioco col lessico» e «se non ti piace come suono baciami il culo». Tonino Bucci