La doppia vita di Mahmoud Abbas da grigio burocrate a mister Palestine
 











Mahmoud Abbas

L’anatra zoppa della politica palestinese quasi vola. Mahmoud Abbas si è finalmente mostrato capace di tener testa alle pressioni di Barack Obama, a cui non aveva mai detto di no. Nei giorni scorsi la Casa Bianca ha pressato il presidente palestinese come un hamburger per convincerlo a soprassedere dal presentare la richiesta di adesione della Palestina al Consiglio di Sicurezza all’Onu. Abbas ha scelto di riscattarsi dalle delusioni inflitte ai palestinesi negli sei anni in cui è stato presidente. Nessuno si aspettava che il grigio Abu Mazen, kunya (soprannome) che gli ricorda ogni giorno la perdita di un figlio morto quarantenne d’infarto, fosse capace di vivere almeno un giorno da leone. Yasser Arafat gli fa ancora ombra. Quando Abbas lo ha citato durante il discorso pronunciato venerdì all’Assemblea Generale dell’Onu, rivendicando il diritto della Palestina a far parte delle Nazioni del mondo, è scattata l’ovazione. Ma a conclusione del suo intervento i delegati alla 66esima Assemblea Generale si sono alzati in piedi per applaudirlo come rais del popolo palestinese, riconoscendo la portata storica del suo discorso.
Unico Presidente eletto dai palestinesi, Mahmoud Abbas, il leader a cui oggi le piazze della Cisgiordania tributano sostegno e rispetto per la mossa all’Onu, due anni fa veniva contestato duramente in Cisgiordania e Gaza per aver dato l’ok al rinvio del voto per i crimini commessi durante Piombo Fuso, al Consiglio per i diritti umani dell’Onu di Ginevra. Abu Mazen fu costretto poi a fare retromarcia davanti alla rabbia scatenata nei Territori per l’inetta decisione e le accuse di "tradimento" mossegli contro da Hamas. Il danno d’immagine pareva irrecuperabile.
Il destino della presidenza di Abbas sembrava fino alla settimana scorsa, segnato dall’essere ricordato per la separazione di Cisgiordania e Gaza in due entità distinte non solo territorialmente, ma anche politicamente.
Un anno dopo la sua
elezione, avvenuta il 9 gennaio del 2005, Abbas ha ingoiato la vittoria elettorale di Hamas. Due anni dopo avrebbe subito un colpo ben più duro: la disfatta militare dell’ex pupillo Dahlan a Gaza e una traumatica separazione intestina tra palestinesi, bagnata del sangue versato da appartenenti ad Hamas e Fatah.
Oggi la West Bank governata dall’Anp è rappresentata nel mondo dall’Olp. Gaza è retta da un movimento islamista che non fa parte della storica organizzazione fondata da Abu Ammar, che di fronte alla ferita inflitta al popolo palestinese da due forze politiche espressione dello stesso, si starà rivoltando nella tomba.
Il quadro che vedeva Hamas vincitore, prima a livello politico, poi nel confronto armato con Fatah, di cui Abbas dopo la morte di Arafat è la massima espressione essendo uno dei fondatori, è stato definitivamente capovolto dallo storico discorso all’Onu di Abbas di due giorni fa.
Il movimento islamico al potere a Gaza perde oggi consenso non solo nella
Striscia, da cui non ha intenzione di togliere il disturbo, ma anche in West Bank. Mentre l’80 per cento dei palestinesi sostiene il rais Abu Mazen nell’iniziativa all’Onu, pur sapendo che gli Usa porranno il veto al Consiglio di Sicurezza e che nell’immediato non nascerà nessuno Stato, Hamas ha vietato a Gaza qualunque manifestazione per celebrare l’evento. Mentre Abu Mazen parlava all’Onu i palestinesi di Gaza hanno esultato nei caffè, ma non sono potuti uscire in strada a sventolare la bandiera palestinese. Per Abbas il discorso all’Onu, accolto con una standing ovation rappresenta una vittoria sul fronte interno e nel panorama internazionale.
Stavolta l’ennesimo schiaffo in faccia preso dal presidente palestinese da parte di Stati Uniti e Israele si è rivelato un boomerang, tanto per Barack Obama, che per "Bibi" Netanyahu, che con l’annunciato veto Usa porta a casa una vittoria di Pirro.
Oggi Abbas è presidente a mandato scaduto. La legge gli consente di restare in carica
fino a nuove elezioni, alle quali ha annunciato di non volersi candidare. Le condizioni per arrivare al voto, a oggi non sussistono. Se nulla si smuove nelle acque torbide del dialogo inter-palestinese, il suo successore potrebbe arrivare tra diversi anni.
Il presidente palestinese è uno degli architetti degli Accordi di Oslo sepolti dagli sviluppi che ne sono seguiti.
"Dopo decenni di occupazione coloniale è giunta l’ora della fine delle sofferenze per il mio coraggioso ed orgoglioso popolo di vivere come gli atri popoli della terra, liberi in uno Stato sovrano e indipendente", ha detto Abbas all’Assemblea Generale dell’Onu.
Parole che esprimono tutta la frustrazione per un percorso a ostacoli fatto di strette di mano e firme che non hanno portato a nulla.
Classe 1935, Mahmoud Abbas è nato nel villaggio palestinese di Safad, oggi Israele, quando la Palestina era sotto mandato britannico. Abbas si è laureato in legge a Damasco ed ha poi continuato gli studi in quella che fu
l’Unione Sovietica, conseguendo un dottorato a Mosca nel 1982, con una tesi intitolata "La connessione tra nazismo e sionismo, 1933-1945", per la quale è stato infinite volte attaccato, per aver citato alcune teorie in base alle quali l’Olocausto non avrebbe avuto che centinaia di vittime.
Si è sempre difeso affermando di aver semplicemente riportato tesi storiche e di essere profondamente convinto che l’Olocausto è stato un crimine terribile ed imperdonabile contro la nazione ebraica e un crimine contro l’umanità.
Molto più di recente, come ha ricordato Robert Fisk su the Independent, Abbas ha scritto un libro di 600 pagine sul conflitto israelo-palestinese senza mai usare la parola "occupazione". Francesca Marretta