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L’informazione in Italia non gode di buona salute, e non ci vuole un occhio d’aquila per vederlo. E’ vero, siamo tanto abituati a un’informazione derelitta e camerieresca, al servizio di un maggioritario truffaldino realizzatosi male nella politica e benissimo nella stampa di complemento, che ormai ci pare forse impossibile una informazione altra. Così che anche misure come il progettato ulteriore ridimensionamento (una falce, e quindi anche un martello…) del Fondo per l’editoria sembra fare poco più che un baffo all’opinione pubblica. E alla stampa di maggior peso che ha a che fare con gran parte di essa. Stiamo permettendo alla politica della maggioranza, senza che l’opposizione faccia davvero tutto ciò che è possibile per impedirlo dentro e fuori dal Parlamento, di uccidere il malato. E non è nè una bella metafora nè un bello spettacolo: immaginatevi un malato in un Pronto Soccorso. Se arriva con l’auto blu e conosce il primario, magari gli va di lusso, senza file nè bistrattamenti. Arriva l’uomo qualunque, con la stessa malattia, e rischiano di finirlo là per là… Trasferite il discorso alla stampa oggi in Italia, e a un giornale come questo, o Il Manifesto: secondo voi quale dei due pazienti rappresentano? L’auto blu d’accompagnamento potrebbe essere la pubblicità. I grandi giornali ne imbarcano tanta, e si vedono inserti enciclopedici per la salute (tanto per metaforizzare la metafora) "come se" si preoccupassero della salute del lettore: macché, gli articoli sono pretesti per la pubblicità di qualche prodotto farmaceutico, e di questo non si accorge il lettore distratto ma è e rimane faccenda per gli addetti ai lavori. Giornali come questo ne hanno poca o nessuna, e il motivo è evidente: non sono pensati pubblicitariamente, hanno un mercato ridotto anche e soprattutto perché è "truccato" da noi ogni tipo di mercato, anche quello editoriale, mentre se avessero la pubblicità potrebbero migliorare il prodotto rendendolo più appetibile. Attenzione: un prodotto che però pensano come "servizio" sia pure targato politicamente in modo dichiaratissimo. Potrebbero insomma "curarsi da sé". C’è il caso de "Il Fatto quotidiano" - è vero - che in modo autosufficiente e lodevolissimo ha incrociato il bisogno di molti lettori, intercettandone la protesta nei confronti di una realtà a precipizio. Ma è appunto un caso, sia pur prezioso. Per gli altri, che non rientrino nella logica dei Poteri Forti in cui si impasta la malta di politica & imprenditoria, di economia reale (poca) & economia di carta detta finanza (molta), c’era o ci sarebbe ancora uno spicciolo di finanziamento. Pubblico. Non la clinica privata, ma almeno la sanità pubblica e il Pronto Soccorso ospedaliero. Non sto qui a rifare la storia del finanziamento pubblico della stampa, nato in altri periodi, con altre esigenze, maggiori trasparenze o minori opacità, e una genesi discutibile ma rispettabile. Certo oggi ma da un pezzo è diventato un’altra cosa, e metterci mano significa spesso trovare nel vaso un verminaio. L’operazione andrebbe fatta, andrà fatta.Ma in questo momento, politico, sociale,economico, e diciamolo pure, culturale nel senso di una barbarie culturale, lascerei da parte il pur indispensabile e sacrosanto ragionamento di fondo (per l’editoria…) sui meccanismi di finanziamento e le condizioni di libertà della nostra informazione. Intendo nella metafora il reparto, dove andare poi a curare il malato per tentare di guarirlo. Finché siamo al Pronto Soccorso, cioè a rischio serrata con tutto ciò che comporta sul piano della democrazia informativa e naturalmente anche di posti di lavoro, penserei ad una flebo immediata, a medicine subito, a denari che impediscano l’eutanasia di un malato che non vorrebbe affatto morire. Chi assiste a questo omicidio, specie coloro i quali hanno i megafoni per intervenire e invece se ne fottono, sappia che lo sta facendo a totale sua responsabilità, che non può chiamarsi fuori perché la cosa spicciola non lo riguarda e si va a curare altrove, magari all’estero…Tutti bravi poi a manifestare per la libertà di stampa e contro il bavaglio con alle spalle supereditori, uno dei quali sta facendo ancora il Presidente del Consiglio.Oliviero Beha |
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