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Dieci anni di berlusconate viste da Washington |
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La "rivoluzione" di WikiLeaks, vale a dire la pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti riservati della diplomazia e dell’amministrazione americana, ha già contribuito nel corso del 2010 a proiettare una luce nuova su vicende che caratterizzano lo scenario internazionale, si tratti delle guerre in Iraq o Afghanistan o del conflitto per il controllo dei media o delle risorse energetiche. Ma l’enorme massa di materiali che sono stati messi a disposizione dell’opinione pubblica grazie al sito legato a Julian Assange, ha rivelato però anche altre "realtà", meno sconvolgenti ma non per questo meno significative. E’ il caso dei cablogrammi inviati dall’ambasciata americana in Italia all’amministrazione di George W. Bush prima e di Barack Obama poi, tra il 2001 e il 2010, che costituiscono la base del volume appena pubblicato da Mimmo Franzinelli e Alessandro Giacone: La provincia e l’Impero. Il giudizio americano sull’Italia di Berlusconi, Feltrinelli (pp. 416, euro 22,00), con una prefazione di Giorgio Galli. Studioso attento e rigoroso del lato in ombra della nostra democrazia e del periodo del Fascismo - tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo il Piano Solo (2010), Rock & servizi segreti e I tentacoli dell’Ovra (1999 -, il primo, ricercatore di storia presso l’Università di Grenoble - ha pubblicato tra l’altro Paul Delouvrier e il saggio "L’école italienne" nel volume L’Italie contemporaine de 1945 à nos jours, a cura di Marc Lazar (Fayard 2009) -, il secondo, Franzinelli e Giacone fotografano attraverso questi documenti, in gran parte riprodotti in appendice al volume, il punto di vista degli Stati Uniti sulla politica italiana e le strategie messe in atto dai politici italiani, a partire da Silvio Berlusconi, per ingraziarsi i favori del potente alleato. «I documenti WikiLeaks - spiegano Franzinelli e GIacone - rivelano anzitutto che, nonostante lo spostamento dell’asse globale verso l’Asia e l’area del Pacifico, l’Italia mantiene una rilevante posizione strategica. Mentre nella Guerra fredda la frontiera orientale confinava con il blocco comunista, oggi la sua prossimità al Medio Oriente e all’Africa del Nord ne conferma l’importanza geografica e militare». Perciò se il nostro paese è stato a lungo un "osservato speciale" di Washington, che non ha mancato di far pesare i propri interessi nella vita politica e sociale della Repubblica, i cablogrammi partiti dall’ambasciata americana di via Veneto rivelano che anche dopo l’89 e la fine dell’equilibrio bipolare tra Usa e Urss, all’Italia sono riservati un’attenzione e un interesse particolari. In questo senso, la diplomazia americana sembra non avere particolari preferenze per questo o quel candidato, per il centrosinistra piuttosto che per il centrodestra. Perciò se il Cavaliere appare come il più gradito a Washington, per la sua più volte esibita devozione all’alleato, almeno durante la presidenza Bush, gli americani hanno guardato con molto interesse anche alla corsa di Veltroni. L’elemento forse più rilevante che emerge dai dispacci studiati per noi da Franzinelli e Giacone, riguarda però l’altro polo dello scambio Roma-Washington: l’atteggiamento esibito dall’Italia verso gli americani. Se a Washington sembrano infatti disposti ad accontentarsi di un alleato fidato, quale che sia la sua origine politica, anche il vecchio Pci come nel caso dell’ex sindaco di Roma, è il governo italiano che con il Cavaliere chiede molto agli americani. Spesso per rafforzare la sua debolezza interna. Franzinelli e Giacone sottolineano così come «i dispacci di via Veneto descrivono le strategie della macchina propagandistica del Cavaliere, che nei periodi di difficoltà gioca la carta della politica estera per migliorare la propria immagine e colmare il deficit di popolarità. Gli americani collaborano all’operazione di restyling, inscenando ad esempio cordiali telefonate tra i due presidenti, o invitando Berlusconi al Congresso alla vigilia delle elezioni politiche del 2006». La diplomazia Usa apprezza Berlusconi ma non è cieca di fronte ai suoi molti limiti, al punto di definire come "berlusconate" le sue ripetute gaffe, ad esempio quelle che accompagnano l’elezione dell’"abbronzato" Obama. «Ci si può chiedere quali obiettivi abbia perseguito la diplomazia berlusconiana. - si chiedono in conclusione gli autori di La Provincia e l’Impero - Se ambiva alla palma di migliore alleato degli Usa, lo scopo è stato raggiunto. Si ha comunque l’impressione che molti sforzi siano rimasti senza contropartite. In un cablogramma, l’ambasciatore Spogli ammette che gli Stati Uniti non hanno sempre "riconosciuto al governo italiano lo stesso grado di legittimazione riservato agli altri alleati". L’ultima riprova è fornita dalle memorie dell’ex presidente Bush, in cui Berlusconi è citato una sola volta, in riferimento agli attentati dell’11 settembre: "Il premier italiano mi disse che alla notizia della tragedia aveva pianto come un bambino senza potersi fermare". Su tutto il resto, silenzio-. Guido Caldiron |
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