Tra Cie, Cara e navi in affitto se ne vanno milioni di euro
 











La chiamano ancora accoglienza e ci vuole giusto la sfacciataggine dei giornalisti di governo per scrivere di soldi regalati alle organizzazioni di sinistra per mantenere i propri funzionari sempre pronti poi ad offendere la disponibilità messa in campo dal centro destra. Da almeno 20 anni attorno a migranti, richiedenti asilo, rifugiati si è sviluppato un sistema affaristico che ha i suoi centri di potere direttamente al Viminale e che distribuisce risorse in maniera equanime ad associazioni laiche e religiose, onlus, consorzi costruiti all’uopo, con rivoli di denaro pubblico che finiscono chissà come nelle capienti braccia di privati con cui i governi che si succedono hanno rapporti privilegiati e spesso affatto trasparenti.
Si parta da un presupposto necessario: per ogni euro che viene utilizzato per l’assistenza altri 4 ne vengono spesi per detenzione, espulsioni, sorveglianza, rimpatri, respingimenti e quant’altro. Ogni anno, puntualmente,
la Corte dei conti, pericoloso covo di comunisti, rinnova la richiesta che per Cie, Cara, centri di accoglienza ecc, vengano specificati in maniera più precisa i budget di spesa, cosa che puntualmente non avviene. Quello che si riesce a sapere nasce da notizie frammentarie e da ricostruzioni più o meno approssimative. Ma, prendendo in esame quanto accaduto nei primi 10 mesi del 2011 - quando, a detta di Maroni sono sbarcati nelle sole Pelagie (Lampedusa e Linosa) circa 58 mila profughi - non è difficile ricostruire i costi a fronte di trattamenti disumani e repressivi oltre che, in termini di bilancio, totalmente antieconomici.
Si è scelto, per esempio, di trasformare per mesi Lampedusa (appena 22 km quadrati) in un carcere a cielo aperto dove, insieme a qualche migliaio di profughi (costo circa 45 euro giornalieri per dormire all’aperto o in sistemazioni di fortuna con cibo scarso e servizi igienici inesistenti) dovevano convivere almeno un migliaio di agenti, ospitati nelle
strutture alberghiere e circa 5.000 lampedusani, presi fra due fuochi. Una situazione umanamente intollerabile. Ci sarebbe voluto poco per attrezzare strutture nel resto del Paese a cominciare dalla Sicilia e distribuire i profughi utilizzando un rapporto diretto con i Comuni mediante lo Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati), fondi che invece sono stati tagliati più volte dalla scure tremontiana. Minori le spese, migliore l’impatto con i territori, migliori le possibilità di inclusione. Minori però i profitti per gli enti di riferimento, minore il giro d’affari e di clientele. Solo dopo lo scoppio degli incidenti tra isolani, migranti e polizia (facilemente prevedibili) si è proceduto ai trasferimenti. Ma, ancora una volta, lo si è fatto mediante convenzioni e accordi con privati che gridano vendetta.
Un esempio per tutti il Cara di Mineo, provincia di Catania. La struttura Residence degli Aranci veniva utilizzata fino allo scorso anno dalle famiglie degli
ufficiali americani presenti a Sigonella che hanno però rescisso il contratto. Grazie a forti pressioni governative, il residence - distante chilometri da qualsiasi centro abitato - è stato preso in affitto dallo Stato alla bella cifra di 8,5 milioni di euro annui per 5 anni. Proprietaria del residence è la ditta Pizzarotti di Parma, già sotto inchiesta insieme alla giunta comunale per numerosi illeciti relativi alla costruzione di un ospedale.
Più in generale, tutte le strutture di accoglienza e di trattenimento hanno costi paurosi legati al fatto che sono di proprietà privata e che la gestione dei servizi è appaltata, con il tramite in questo caso della solita Protezione Civile, ad enti presenti sul territorio. E se il sistema può rivelarsi efficace per piccole strutture aperte, in cui è forte la presenza del volontariato, peggiori sono i risultati in strutture di medio e grande calibro.
E’ il caso delle tendopoli di Kinisia (oggi chiusa), Manduria e Crotone. La cifra pro die
per ogni "ospite" viaggia intorno ai 40-50 euro e si può facilmente immaginare cosa accade quando si toccano le mille presenze giornaliere e la spesa reale non raggiunge un decimo di quanto erogato. Ci sono poi strutture demaniali o del ministero della difesa, vedi la caserma dismessa di Civitavecchia, che non hanno costi di affitto, ma in compenso di ristrutturazione, manutenzione, gestione e vigilanza. Un caso emblematico è quello, fatto emergere dalla Cgil della Valcamonica, della struttura di Montecampione, 1.800 mt di altitudine distante 20 km di tornanti dal paese più vicino. Per curiosa coincidenza la società proprietaria del sito di Montecampione è la stessa che a Lampedusa ha alcuni residence in cui spesso sono ospitati i militari adibiti alla sorveglianza. Evidentemente con il ministero si è instaurato un consolidato rapporto di fiducia.
Per non dire dei cosiddetti Cie galleggianti. L’utilizzo di navi in affitto, sulle quali i profughi vengono sballotati lungo le coste
italiane, va avanti da marzo, ma dopo l’ultima rivolta e le ronde di Lampedusa, si è fatto il salto di qualità. Il ministero ha preso in affitto tre navi della compagnia Grimaldi (Moby Vincent, Moby Fantasy e Audacia) e ci ha rinchiuso per giorni e giorni, alla rada del porto di Palermo, centinaia di persone in attesa di rimpatrio. Le navi sono affittate fino al 31 dicembre, con possibilità di rinnovo, per circa 90mila euro giornalieri cadauna. Ogni pasto costa 20 euro e per ogni miglio marino percorso se ne vanno altri 70 euro, più spese varie. Carceri galleggianti, il cui costo complessivo va calcolato in decine e decine di milioni di euro. Insomma, d’ora in poi, chi tenterà di raggiungere Lampedusa, verrà caricato a bordo di queste navi di concentramento, lontane dagli occhi di possibili osservatori ma ottime per rimpinguare le tasche di armatori e di speculatori dell’immigrazione.
Si potrebbe discettare a lungo del costo inaudito e gonfiato artificialmente di Cie e Cara (si
tratta di centinaia di milioni di euro annui), di servizi che esistono solo sulla carta, dei soldi buttati in agenzie inutili se non dannose come Frontex, dei progetti falliti di "contrasto all’immigrazione irregolare", risorse che avrebbero potuto essere impiegate per includere invece che per rinchiudere. Banalmente, provvedimenti di regolarizzazione per chi è provvisto di contratto di lavoro porterebbero nelle casse dello Stato e dell’Inps ben più risorse di quelle previste con l’ultima manovra. Ma poi come farebbero coloro che lucrano sul lavoro nero?
Ovviamente per il governo il problema sono invece i sovversivi di Amnesty International, di Terre des hommes, dell’Unhcr e di chi prova a garantire, soprattutto con il lavoro volontario, il rispetto di diritti minimi.  Stefano Galieni