Napoli: Bertinotti, Airaudo, De Magistris, La Torre e Grassi a confronto
 











Via Berlusconi, il prima possibile. Ma dopo? Le sinistre di governo, in Italia come in tutta Europa, sono ammutolite di fronte alla crisi e non riescono - o forse, non vogliono? - compiere scelte alternative alle politiche economiche dominanti. Le sinistre che non si candidano al governo, sono fuori dall’orbita neoliberista ma in una posizione di ininfluenza rispetto ai luoghi delle decisioni. Di questi temi si è discusso in due giornate di riflessione, organizzate a Napoli dall’area Essere comunisti del Prc. Sarà per via dei tempi che spremono, ma i cantieri della sinistra cominciano a essere in fibrillazione. Un sasso nello stagno l’ha gettato anche Fausto Bertinotti nell’editoriale dell’ultimo numero della rivista "Alternative per il socialismo". «L’uscita di scena della sinistra - scrive Bertinotti - è riassunta nella sua incapacità di spezzare il recinto, al punto tale di non riuscire neppure a vederlo». Il recinto è il bipolarismo, l’area di governo, il circuito della legittimità, per accedere al quale bisogna omologarsi e dimostrarsi interpreti fedeli delle politiche economiche di stampo Bce.
«La politica è morta - ha detto l’ex presidente della Camera all’iniziativa di Essere comunisti - la sinistra oggi è ininfluente sui luoghi delle decisioni strategiche per l’organizzazione della società. Non esiste come potenza organizzata in grado di incidere sulle scelte». La fine della politica si vede dal collasso della democrazia. «Siamo entrati in una organizzazione oligarchica delle società. Prendiamo il caso della Grecia. E’ un paese democratico, no? Eppure, dopo mesi di proteste non è cambiato nulla. La Grecia è un paese occupato, invece che dalle forze militari, dalle autorità monetarie. Gli altri paesi europei hanno solo una differenza di grado ma stanno nella stessa condizione. Lo dimostra inequivocabilmente la lettera della Bce. La manovra è stata dettata. Sei legittimato a governare solo se accetti di stare
all’interno di questo paradigma». Si fa avanti un nuovo «principio ordinatore» che scardina le costituzioni antifasciste del dopoguerra. «Un nuovo dogma dell’organizzazione dell’economia: il pareggio di bilancio. Se Roosevelt avesse avuto il vincolo della parità di bilancio non avrebbe potuto fare il New Deal». Un recinto domina anche nelle relazioni sindacali, vedi caso Marchionne. «Oggi è il padrone che decide il carattere di ineluttabilità di ciò che è funzionale al suo modo di intendere la competitività, tutto il resto non è ammissibile. Le parti sociali possono solo fare accordi come quello del 28 giugno, oltre non possono andare. È la lotta di classe, solo che è fatta dalle classi dirigenti. Questo recinto va rotto, non puoi far finta di non vederlo. Ma per poterlo fare, devi costruire una forza d’assedio molteplice, plurale, grande. Se la fai da solo non conta niente». Bertinotti guarda fuori, alla «rivolta». «La rivolta è intelligente perché ha preso atto che al tavolo istituzionale non c’è più niente di negoziabile. Non hai niente da darmi? E allora la rivolta butta all’aria il tavolo».
Che si fa, allora, si salta un giro? Giorgio Airaudo (segretario Fiom Piemonte) non ci sta. «La soluzione o è politica o non è. Io non concordo con la conclusione di Bertinotti. Noi dobbiamo cambiare direzione al treno. Non possiamo saltare un giro. Io vorrei una rappresentanza politica che dicesse di voler cancellare l’articolo 8 se andrà al governo o che proverà a fare la legge sulla rappresentanza. Servono gesti di rottura. Se si può dire di no a Marchionne, si può dire di no anche alla Bce». Chi ci ha provato e ha avuto ragione è il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. «Per tutta la campagna elettorale mi hanno chiesto: ma tu come fai a prendere i voti dei moderati? Li ho presi con un messaggio radicale e chiaro. Napoli ha sempre avuto nel sangue la rivolta e la rivoluzione non è solo appartenuta alle masse popolari e alla sinistra, ma anche agli
intellettuali, alla borghesia, ai liberali». Nel paese c’è una cultura alternativa al modello berlusconiano. «Dove invece siamo indietro è nella costruzione di un movimento politico che sappia offrire, in questa fase di capitalismo senile, anche un’alternativa economica. La sfida dei municipi è interessante. Proprio nel momento in cui il governo taglia i trasferimenti, abbiamo l’occasione per sperimentare nuove forme di democrazia partecipativa dal basso e nuove forme di economia. Dobbiamo portare le istanze di movimento nelle istituzioni. Ma sbaglia anche chi nei movimenti non vuole uscire dal proprio orticello». Se si trattasse solo di fare un giro nel sistema, allora meglio saltare un giro, certo. «Ma qui non abbiamo tempo da perdere. Prendiamo esempio dall’America latina e dalla nuove forme di movimenti politici dal basso. Non si può stare ad aspettare che si formino gli equilibri giusti nella classe dirigente del centrosinistra». C’è anche una voce dal "recinto", quella di Nicola Latorre, senatore del Pd. «Oggi assistiamo alla fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta. Ma se questa è la sfida non si tratta di saltare un giro, ma di provare a vincere la battaglia. O dobbiamo subire passivamente una deriva a destra? Dobbiamo però chiarire il profilo riformatore. Sono d’accordo con Airaudo: se andiamo al governo dobbiamo abolire l’articolo 8. La soluzione, dico a Bertinotti, non possono essere i due tempi. Non si può eludere il tema del governo della società, sennò la protesta rischia di disperdersi in mille rivoli».
Sono scomparse le due sinistre? Neanche per idea. «Rifondazione residuale? Questi momenti di incontro e discussione dimostrano il contrario - dice a conclusione Claudio Grassi, della segreteria nazionale del Prc - vogliamo stare nella contesa politica senza rinchiuderci in spazi identitari». Ma sulle responsabilità del Pd non si può sorvolare. «Se nonostante tutto quel che di impopolare il governo Berlusconi ha fatto, è ancora lì al suo
posto, vuol dire che c’è un problema anche nell’altro campo. L’opposizione politica parlamentare non è stata capace di promuovere un’iniziativa adeguata per far cadere il governo. Ce l’ho soprattutto col Pd che ancora oggi non riesce a dire chiaramente che bisogna andare al voto. C’è un sindacato che riesce ad opporsi alle politiche economiche e il Pd non riesce a schierarsi dalla sua parte? Arriva la lettera della Bce e il vicesegretario del Pd dice che va presa in considerazione? Ma anche la sinistra cosiddetta radicale non è stata all’altezza della situazione. Ci siamo frammentati. Alla fine non contiamo più nel paese. È ora di invertire la tendenza». Infine un segnale a Vendola. «A Nichi vorrei dire: davvero in questa fase e in questa crisi pensi che si può ricostruire la sinistra d’alternativa semplicemente perché ci lasciano fare le primarie? Basta il carisma? È un clamoroso errore. Dobbiamo fare altro. Sono d’accordo con De Magistris e Airaudo. Noi dobbiamo ricostruire una proposta alternativa credibile. Nonostante tutto, in questo paese il popolo della sinistra non si è rassegnato. Non è un paese pacificato. Da lì dobbiamo trarre la forza di una sinistra di alternativa».  Tonino Bucci