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-Ma questo conflitto civile tra libici non c’entra con le primavere arabe- |
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C’è una scena nel film della cattura di Gheddafi che forse non vedremo mai. Si tratta del momento clou, quando un drone statunitense o forse un Mirage francese (le versioni sono contrastanti) hanno attaccato il convoglio che lo stava scortando fuori da Sirte, città ormai accerchiata dalle milizie della coalizione. Il leader libico, forse ferito nel bombardamento, ha trovato momentaneo riparo con alcuni suoi fedeli in un cunicolo per lo scolo delle acque sotto la strada. Quanto è successo dopo l’abbiamo visto tutti: scovato dai miliziani insorti convogliati sul posto è stato trascinato via, malmenato e poi freddato alla testa. La fine di Gheddafi riassume l’intera parabola del conflitto libico: una guerra civile per interposta persona. Alta tecnologia e commando speciali della coalizione Nato contro mercenari Sua africani. «Effetto delega» lo definisce Alessandro Dal Lago. La svolta sul campo nella campagna libica è arrivata con la presa di Misurata realizzata da truppe del Commandement des opérations spéciales francesi. Commando dal Quatar successivamente hanno preso con un blitz il compaund del colonnello a Tripoli. Tuttavia la guerra par immagini dalla Libia ci ha sempre e solo mostrato uomini delle milizie insorgenti in azione quando il terreno era ormai sgombro. Che razza di guerra civile c’è stata in Libia? La Nato ha fatto la guerra "pulita" riversando bombe e distruggendo a terra l’esercito lealista, lasciando però agli insorti il compito di fare il lavoro più sordido come i combattimenti casa per casa, i rastrellamenti. Siamo davanti ad un classico esempio di guerra asimmetrica, dove si buttano bombe e poi si lascia ai "selvaggi" locali fare il resto per dire alla fine, come ha fatto Obama, «abbiamo vinto una guerra senza fare vittime». Siamo di fronte ad una guerra camuffata della Nato per nascondere l’intento neocoloniale dell’intera operazione. Ritieni che ci sia un legame tra le primavere arabe e il crollo del regime di Gheddafi? C’è chi sostiene che la sua morte segna la loro fine. La guerra civile in Libia è qualcosa di molto diverso da quello che è accaduto in Tunisia ed in Egitto. Bisogna distinguere tra i due tipi di conflitto. A me sembra che la fine delle primavere arabe è iscritta nel modo in cui l’Occidente le ha definite. In generale la scommessa della Nato è stata quella di venire a patti con gli islamici moderati per farne il nuovo puntello della loro politica strategica ed energetica in Medioriente. In Egitto l’attuale governo nasce da un patto tra militari e fratelli mussulmani, sostenuto dagli Occidentali perché l’esercito si è portato garante. In Tunisia, per fortuna, la situazione è molto più fluida ma anche lì sembra emergere una dominanza islamica, accettata purché faccia tabula rasa delle tendenze quaediste. Siamo di fronte a scenari complicati: l’Egitto è tornato ad essere una pedina fondamentale nel gioco dei rapporti con Israele. Al contrario la Tunisia, per la sua posizione più periferica, rappresenta un conflitto secondario. Vuoi dire che siamo di fronte a una modernizzazione piuttosto che a una democratizzazione? E’ chiaro che il modello precedente in cui l’Occidente faceva puntellare la sua influenza da regimi dittatoriali è venuto meno una volta che è apparso evidente che questo modello non reggeva più. Ma pensare le che piazze vincessero senza che l’Occidente le controllasse era una pura utopia: ci sono poste in gioco troppo importanti: Israele, il petrolio, l’Iran. Questa lettura non rischia di mettere in ombra la sociologia della rivolta araba: in questo anno hanno preso la parola soggetti nuovi, sono germogliate idee impensate in quelle società. All’inizio rivendicazioni sia democratiche che sociali si sono fuse divenendo visibili grazie ad internet. Ciò è andato incontro agli interessi delle democrazie occidentali favorevoli alla democratizzazione perché questa facilità molto di più alcuni processi di cogestione economica che le dittature parassitarie non permettevano. Ma alla fine resta un interesse strategico che mira ad avere comunque le risorse a poco prezzo e soprattutto a collocare ognuno di questi Stati in uno scenario sotto controllo occidentale. Da questo punto di vista si è trattato del cambiamento di chi fara da puntello agli interessi dell’Occidente in quelle zone. Paolo Persichetti
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