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Sviluppo, slitta il decreto E l’Europa bacchetta l’Italia
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Il debito pubblico «è al 120% del Pil», la disoccupazione giovanile «al 27%- mentre -zero è la previsione di crescita del Pil il prossimo anno». L’economia italiana è ferma e i numeri forniti ieri a Capri dai giovani di Confindustria sono come i valori del sangue che certificano la malattia. Una malattia nota da tempo ai mercati, che infatti dimostrano di avere sempre meno fiducia nel nostro paese. Invece di mettere in campo interventi di un certo peso per far ripartire la crescita e per provare a risanare il bilancio pubblico attraverso l’aumento delle entrate, il governo che fa? Gira a vuoto. Si divide sulla nomina del nuovo governatore della Banca d’Italia, litiga sulle misure da adottare, cerca di «inventarsi qualcosa-, come ha confessato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, senza approdare a nulla, anche perché il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha già fatto sapere che in cassa non c’è un euro. Di conseguenza, qualsiasi decisione dovrà essere a costo zero. Risultato: il decreto sviluppo - che nelle intenzioni dell’esecutivo sarebbe dovuto approdare in consiglio dei ministri già ai primi di ottobre - ancora non c’è. Forse sarà pronto entro la fine del mese. Forse. E così ieri è arrivato lo scontato richiamo di Bruxelles: «La Commissione Ue prende nota dello slittamento del decreto sviluppo in Italia e chiede al governo di finalizzare con la massima urgenza forti misure per la crescita», comunica Amadeu Altafaj, portavoce del commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn. Se infatti da un lato le misure di risanamento adottate consentiranno al nostro paese di «raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013-, dall’altro l’Italia deve «affrontare le sue debolezze strutturali profondamente radicate» che bloccano il suo potenziale di crescita, per esempio -migliorando la qualità della spesa pubblica- e «facendo un uso più efficace dei fondi strutturali Ue». Il passaggio sulla poca -qualità- della nostra spesa pubblica sarebbe da interpretare, secondo fonti europee, come un invito a fare robusti tagli tanto sui costi dell’amministrazione (dall’eliminazione delle province alla semplificazione delle procedure burocratiche) quanto su quelli della politica. Nessun riferimento quindi alle pensioni. In realtà anche l’Europa ha le sue pesanti responsabilità per come la crisi è stata gestita, a cominciare dall’egoismo dei paesi guida che condiziona gli interventi. -L’Unione Europea sta dando un’immagine disastrosa, non sta dando un esempio di leadership che funziona bene-, ha ammesso ieri il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Junker. Per parte sua, l’Italia paga l’incapacità del proprio governo. Su questo i giovani imprenditori non sembrano avere dubbi: «La crisi continua e si acuisce a causa dell’inerzia-, grida da Capri il loro presidente Jacopo Morelli. Anche Emma Marcegaglia non la manda a dire: «Abbiamo inviato una seconda lettera - fa sapere la presidente di Confindustria - per chiedere al governo di fare in fretta, perchè il tempo è scaduto e la situazione si fa sempre più pesante. Quindi credo che il richiamo del commissario Olli Rhen sia corretto-. Infastidita la risposta del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi: «Il decreto sullo sviluppo arriverà al più presto, ma la crescita non si fa per decreto». Preoccupato invece Berlusconi, che avrebbe voluto presentarsi al vertice straordinario europeo di domani con -qualcosa in mano-. Anche ieri il premier ha avuto contatti e incontri con tecnici e ministri competenti per trovare una soluzione. Il problema è che mancano le risorse. E -un decreto sviluppo senza risorse è una contraddizione- osserva il governatore della Campania, Stefano Caldoro. Di chiedere contributi agli italiani più ricchi, il Cavaliere non vuole neanche sentir parlare. Quanto ai condoni o concordati fiscali, ipotizzati da qualcuno nel Pdl, Berlusconi parlandone con alcuni interlocutori si è limitato a ricordare come in Europa, al di là del giudizio etico, non siano considerate misure strutturali. Eppure i problemi dell’Italia sono chiari. A partire dalla pesante flessione della domanda interna. Da un’inchiesta della Coldiretti emerge che il 49% degli italiani dichiara di riuscire a pagare appena le spese e addirittura un 5-10% non è in grado di garantirsi il minimo indispensabile. Ancora «non siamo in una situazione drammatica tale che si risparmi anche sul cibo e il nostro resta un Paese in cui la ricchezza familiare complessiva è più alta del debito pubblico», commenta il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, ma servono, aggiunge, «politiche serie per una redistribuzione del reddito, perchè solo il 10% della popolazione detiene il 50-55% della ricchezza complessiva-. Roberto Farneti |
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