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Paese che vai rivolta che trovi La Siria verso la guerra civile |
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Il Parlamento europeo ha assegnato ieri il premio Sacharov "per la libertà di pensiero" ai protagonisti della primavera araba: Mohamed Bouazizi, il giovane tunisino che auto-immolandosi ha fatto scoccare a gennaio scorso l’ora della rivolta nel mondo arabo, l’egiziana Asmaa Mahfouz, il libico Ahmed al-Zubair Ahmed al-Senussi e due siriani, Razan Zeitouneh e Ali Farzat. La prima è l’attivista per i diritti umani (vincitrice anche del premio Anna Politkovskaya) che ha raccontato la repressione del regime di Bashar al-Assad, nonostante i suoi familiari siano stati torturati per metterla a tacere. Ali Farzat è il vignettista a cui quello stesso regime ha spezzato le mani. Alla Siria è rivolto anche l’appello del Parlamento europeo per la liberazione «immediata e senza condizioni» della la 66enne psicoanalista Rafah Nashed. Se la sete di democrazia è la stessa, le rivoluzioni arabe non sono uguali. E’ anzi il caso di dire, paese che vai, rivoluzione che trovi. La sollevazione in Libia ha ottenuto un appoggio militare internazionale che ha rovesciato il regime di Gheddafi. I manifestanti del Bahrein hanno assistito all’arrivo dell’esercito saudita per dare man forte a quello del loro sultanato nella repressione. Eppure la piazza di Bengasi gridava slogan analoghi a quelli di Manama. In Tunisia la cacciata di Ben Ali è sfociata in libere e credibili elezioni. Una vittoria in sé per il paese. Tra breve si vota anche in Egitto per elezioni che saranno il banco di prova della fase post-Mubarak. Le rivolte in Siria hanno davanti a sé un esito diverso. Rischiano di sfociare in un conflitto settario. Si tratta di una situazione ben più complessa di quanto appaia dagli schermi di al-Jazeera. La rete televisiva del Qatar resta un’ottima fonte di informazione se confrontata con molte altre, per esempio l’americana pro-neocons Fox News, ma ha pur sempre un’agenda, come tutti i media. Al-Jazeera trasmette i sermoni del predicatore egiziano Yusuf Qardawi, che lanciò una fatwa contro Gheddafi quando iniziarono le rivolte a Bengasi. Rashid Ghannouchi, leader di En-Nahda, partito islamista nato dalla Fratellanza Musulmana egiziana (sunniti) è un suo discepolo. Va da se che i baathisti siriani, per giunta alauiti (minoranza sciita) al potere in Siria (paese a maggioranza sunnita retto da una minoranza sciita) abbiano una visione del mondo diversa rispetto all’Emiro del Qatar. La repressione in Siria in zone come Daraa, Homs, Hama, Idlib, dove nelle scorse ore la popolazione è scesa di nuovo in piazza contro Assad, è stata feroce e oscena. E’ anche vero però che in alcune zone del paese vive una popolazione storicamente ostile al regime siriano. Negli anni ’80 Hafez al-Assad padre dell’attuale Presidente siriano represse un’insurrezione organizzata dai Fratelli Musulmani. Fu un massacro in cui rimasero uccise decine di migliaia di persone. Allora non esisteva YouTube. In molte aree in cui l’ostilità verso il regime di Assad è forte e si organizza la rivolta, circolano armi che sono usate contro i militari di Damasco. Secondo le Nazioni Unite i civili uccisi in Siria sono circa 3000. Nei disordini sono morti ammazzati anche 1200 esponenti delle forze dell’ordine siriane Le manifestazioni contro Assad sono imponenti. Ma sono mancate nel paese le marce pro-regime che hanno riempito le piazze. Nei giorni scorsi si sono svolti in Siria almeno quattro grandi raduni popolari pro-Assad a Damasco, Aleppo e Latakia a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. La situazione è grave. Le violenze avvengono a cadenza quotidiana. Il 26 ottobre il bilancio è stato di 19 morti, di cui nove militari, uccisi dal lancio di un razzo da parte di un commando armato (lo dice l’Osservatorio siriano per i diritti umani), e dieci civili, tra cui un neonato e dei ragazzini, morti per mano delle forze di sicurezza di Assad. Lo scenario non è dunque quello di Tahrir, in cui tutti i manifestanti erano disarmati. Robert Fisk, che di Medio Oriente se ne intende, ha pubblicato ieri sul quotidiano britannico The Independent una testimonianza sulla situazione in Siria, in cui racconta che l’uccisione di civili non è un’esclusiva di Assad. Fisk cita a esempio un episodio avvenuto ad Homs. Un 62enne ingegnare in pensione residente in questa città ha dato acqua ad alcuni soldati che gliene avevano chiesta. Il giorno dopo uomini armati hanno bussato alla sua porta e lo hanno freddato. L’uomo assassinato era un cristiano. Gli assalitori musulmani. L’episodio non è richiamato al fine di assolvere la retorica di Assad sul pericolo islamista che trama contro il suo regime. Ma perché evidenzia la deriva verso cui gli eventi in Siria stanno precipitando. Secondo la testimonianza di Fisk alle manifestazioni pro-Assad si vede un po’ di tutto, donne velate, giovani, anziani, proletari, borghesi, cristiani e musulmani. Il comun denominatore per i lealisti del regime, almeno per buona parte, è che sono spaventati della violenza settaria che si propaga nel paese. Domenica prossima si svolgeranno nuovi colloqui tra la leadership di Damasco e una delegazione ministeriale della Lega Araba. Il 16 ottobre l’organizzazione degli Stati arabi ha dato un ultimatum ad Assad, chiedendogli di mettere fine alla fine repressione, la liberazione di tutti i prigionieri politici e l’avvio di un dialogo con tutte le opposizioni in patria e all’estero, da tenersi al Cairo. Damasco ha dapprima fatto orecchie da mercante. Poi ieri Assad ha annunciato di voler organizzare una conferenza per la riconciliazione nazionale a Damasco entro la prima metà di novembre «in linea con quanto richiesto dalla Lega Araba-. Francesca Marretta
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