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I nuovi temi non cancellano le vecchie ricette dei mercati
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Si chiude oggi a Ginevra il Public Forum dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) a cui hanno partecipato più di 1500 tra delegati ministeriali, imprese e rappresentanti della società civile. Come ogni anno l’appuntamento è una finestra aperta sulle strategie negoziali per la liberalizzazione dei mercati, ormai in stallo da diversi anni per i veti incrociati di Paesi emergenti e Paesi industrializzati sulla questione agricola e sulla liberalizzazione dei servizi dopo la crisi dei mercati finanziari. E per proposte che ancora oggi non prendono in considerazione l’insostenibilità del modello di sviluppo. La ricetta indigesta all’empasse dei negoziati proposta nella tre giorni, e che si ripresenterà alla riunione ministeriale convocata dal 15 al 17 dicembre a Ginevra e che verrà, prevedibilmente, respinta al mittente dalle reti dei movimenti sociali che "assediano" da oltre 10 anni l’operato della Wto, quindi, è sempre la solita: apertura dei mercati, liberalizzazioni, ma soprattutto nuovi lucrosi affari su cui concentrare l’attenzione, magari con un nuovo "approccio spezzatino", in cui vecchi e nuovi temi potrebbero essere affrontati separatamente senza essere considerati come un pacchetto unico, da negoziare e equilibrare insieme. «E’ stato davvero impressionante - secondo Monica Di Sisto, vicepresidente di Fair presente a Ginevra nella delegazione non governativa italiana - ascoltare ministri e negoziatori di Paesi poveri come quelli africani, ma anche in crescita costante come India e Brasile, invocare il diritto a proteggere con tariffe e sussidi dall’invadenza della globalizzazione il proprio mercato interno per combattere la crisi alimentare e promuovere l’accesso a diritti fondamentali come l’acqua, l’istruzione e la salute pubblica in tempi come questi in cui la crisi e la povertà tornano crescere, e sentirsi ripetere da esperti e negoziatori dei Paesi industrializzati e da altri Paesi emergenti le solite vecchie ricette: credere nel potere taumaturgico di un mercato globale dove, però, sempre meno soggetti riescono a comprare, vendere, esistere». Un’impressione che non risparmia il nostro Governo, continua Monica Di Sisto «che vede colpire senza reagire uno dei pochi beni nazionali, il "Made in Italy", il valore delle produzioni locali e da rilocalizzare per una vera sostenibilità, sotto i colpi del nuovo mantra del "Made in the World", dove ne’ i diritti del lavoro, né quelli dell’ambiente, né la qualità intrinseca dei prodotti e l’identità dei territori e delle comunità sono messi in valore e considerati». Tra i vari temi sul tappeto ecco i "new issues", emergenze che si vorrebbero trasformare in settori commerciali da inserire nei negoziati di liberalizzazione, per rivitalizzare il decotto Negoziato sullo sviluppo in corso, come gli investimenti, la green economy, i brevetti sulle tecnologie "verdi" e la questione del cambiamento climatico. «In vista della Conferenza delle Parti di Durban sul cambiamento climatico e, soprattutto, di RIO +20 l’anno prossimo anche la Wto cerca un ruolo nella questione ormai drammatica del mutamento climatico - dichiara Alberto Zoratti responsabile clima ed economie solidali dell’organizzazione Fair, accreditata al Public Forum - ma la questione è un’altra. E’ necessario ora più che mai dare priorità ai trattati ambientali che tutelano il pianeta sugli accordi commerciali; gli impatti ambientali e sociali a cui stiamo assistendo sono conseguenza di un sistema economico di cui la Wto è stata tra le principali sostenitrici, un cambio di paradigma è ormai necessario e parla di regolamentazione dell’economia, focalizzazione su mercati e comunità locali e decarbonificazione della società». Beatrice Macchia |
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