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Ambiente o "sviluppo"? La miniera di Aratirí mette nei guai il presidente Pepe Mujica |
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Modernità, sviluppo a tutti i costi, con tutto quello che ne consegue in termini di mutamento del territorio e del clima? Oppure una volta tanto fare una scelta in controtendenza privilegiando alle ricchezze che può offrire la natura il rispetto della stessa? Questo grande universale e drammatico interrogativo si ripropone in termini ancora più laceranti quando a prendere una decisione di questo tipo è un governo di sinistra. In America latina sta succedendo questo. Già in Bolivia il presidente Morales, messo sotto pressione dalla popolazione indigena, è stato costretto a rinunciare ad una autostrada che avrebbe tagliato in due la foresta. In Brasile, dove i governi che si sono succeduti sotto la presidenza Lula prima e Rousseff poi hanno fatto e stanno facendo tantissimo in termini di lotta alla povertà, non si può dire altrettanto per quanto riguarda la tutela dell’Amazzonia. Poi c’è l’Uruguay. Quel piccolo paese attaccato all’Argentina, così simile e in realtà tanto diverso dal suo grandissimo vicino, è governato dal 2009 da Alberto "Pepe" Mujica Cordano, classe 1934, ex guerrigliero Tupamaros, esponente del Frente Amplio e appunto da quasi due anni Capo dello Stato. Già dal 2004 la sinistra uruguaiana aveva vinto le elezioni con l’allora candidato presidenziale Tabaré Vázquez. Tre anni dopo, nel 2007, la multinazionale Zamin Ferrous - un’impresa dietro al cui presidente Pramod Agarwal c’è la transnazionale Texuna il cui operato ha già provocato, soprattutto nelle ex repubbliche sovietiche, danni ambientali irreversibili - si è fatta avanti con una impegnativa proposta di creare una miniera in località Aratirí, che in guaranì vuole dire "raggio". Il progetto, che prevede un investimento di 2 miliardi di dollari e l’impiego di 1500 persone, coinvolgerebbe un’area di 15890 ettari sfruttabile fino a circa 200 metri di profondità ma che diventa di ben 120000 ettari se si comprende tutta l’area rurale coinvolta. Pueblo Valentines, Cerro Chato e Paraje Las Palmas sono le località situate nella regione interessata dal progetto all’interno dei dipartimenti di Treinta y Tres, Florida, Durazno e Cerro Largo, a 250 chilometri da Montevideo e altrettanti dal mare. Anche le regioni di Lavalleja e Rocha saranno coinvolte perché sul loro territorio passerà il minerodotto che porterà il ferro fino ad un cosiddetto "porto di acque profonde", che verrà costruito a La Angostura, un centro situato nei pressi della località balneare di La Esmeralda dove ci sono seimila case per trascorrere le vacanze. Immediata era stata la reazione degli operatori turistici e dei cittadini che avevano protestato vivacemente dopo essere venuti a conoscenza del progetto. Inoltre, per poter soddisfare le necessità energetiche dell’impresa, verrà costruita anche una centrale a carbone, il cui impatto ambientale di solito non è tra i più positivi. L’impegno è quello di sfruttare per venti anni la miniera - è questo il tempo necessario per estrarre tutto il ferro lì contenuto - e poi richiuderla. I primi ad essere colpiti da questo progetto sono i proprietari delle terre in questione i quali riceveranno, al momento della prima esplorazione, 40 dollari per ettaro. L’indagine consiste nel realizzare un foro con un diametro lungo dai dieci ai centocinquanta centimetri e con una profondità di almeno 380 metri. Se l’azienda decide di proseguire i lavori il proprietario riceverà il 3% del valore del prodotto lordo estratto. Una volta che arriva l’ok allo sfruttamento minerario ogni altro uso della terra viene però scoraggiato. Le imprese forestali perdono interesse nei confronti di una terra destinata a mutare radicalmente la propria fisionomia, e diventa difficile per i proprietari utilizzare gli ettari in loro possesso come beni eventualmente da ipotecare. Con il risultato che saranno alla fine costretti a venderli all’azienda mineraria. Tabaré Vázquez prima e da due anni "Pepe" Mujica si sono dunque trovati a fronteggiare le gravi preoccupazioni di una popolazione che si è giustamente interrogata su quale impatto avrà questo imponente progetto minerario sulle loro vite. Su facebook è nato subito un gruppo "El pueblo frente a la minera Aratirí", che informa e aggiorna continuamente su questa storia e ospita articoli ed interventi. «Come uruguaiani preoccupati perché si lavori per uno sviluppo reale - si legge nel blog - e perché vengano tenuti nella giusta considerazione la salute ambientale ed umana e il diritto della popolazione ad opinare e dire la sua su decisioni che avranno un impatto sulle nostre vite e sui nostri mezzi di sostentamento, ci chiediamo: come si coniuga l’Uruguay Naturale del quale parla il governo con un progetto di tale portata? Quale sarà il beneficio in termini economici per il nostro Paese se si mettono nel conto il danno sociale e ambientale irreversibile? Che cosa succederà con queste terre una volta che l’impresa si sarà ritirata? Tutto questo è stato calcolato?» si chiede la popolazione. E’ utile ricordare a questo proposito che l’articolo 47 della Costituzione recita che «è dovere dello Stato controllare e preservare l’ecosistema e l’ambiente come patrimonio della nazione». Fortunatamente i tempi si stanno allungando. Entro l’anno il governo doveva decidere e dare l’ok alla Zamin Ferrous ma siamo a novembre e ancora non è stata presa una decisione definitiva. Lo scorso 13 ottobre l’azienda ha presentato alla Dinama (Dirección Nacional de Medio Ambiente) il suo secondo studio di impatto ambientale con il fine di ottenere il permesso. Il primo studio, presentato a maggio, era stato respinto dal governo per ragioni di "forma e contenuto". Nel nuovo, proprio per superare l’esame, è stata utilizzata una terminologia che dissimula la pesantezza dell’impatto ambientale e sociale del progetto. "Gestione sostenibile", "proteggere e minimizzare", "direzione appropriata", impatto "non significativo", sono i termini che a più riprese sono presenti nel rapporto della Zamin, con il fine evidente di condizionare il giudizio di un governo incerto, o peggio, disposto ad approvare il progetto. Dal primo rapporto informativo era ben evidente che il territorio avrebbe subìto dei danni irrerversibili tanto da essere rispedito al mittente. «Che cosa è successo - si chiede Victor Bacchetta, giornalista che ha seguito tutta la storia di Aratirì - sono state modificate le attività? No, hanno solo utilizzato un linguaggio meno esplicito». Contro si è espresso fin da subito anche il sindacato dei funzionari statali del Ffsoe che ha puntato l’indice contro un progetto che «distruggerà risorse paesaggistiche considerate patrimonio dell’umanità» e che sono per il Paese una risorsa in tutti i sensi, turismo, agricoltura e posti di lavoro per intenderci. Come dicevamo il presidente Mujica e il suo governo di sinistra si sono trovati contro un’opposizione molto determinata e pronta ad inchiodarlo alle proprie responsabilità. Lo scorso agosto una fonte dell’esecutivo sottolineava che «presto o tardi, con Aratirí o senza, cominceremo a sfruttare i giacimenti di ferro», dando così ad intendere che anche se il progetto della Zamin Ferrous resta tutto da verificare evidentemente si stanno prendendo in considerazione anche altre aree. Insomma la sfida è enorme. Se dovessero prevalere gli interessi di un’impresa peraltro molto discussa - è registrata nel piccolo paradiso fiscale britannico Jersey - l’immagine di "Pepe" Mujica e delle forze politiche che lo sostengono ne uscirebbe a pezzi. E sarebbe lecita a quel punto la domanda che al presidente hanno posto alcuni cittadini: «Le persone cambiano così tanto quando hanno il potere?». Auguriamoci che la risposta sia negativa. Vittorio Bonanni |
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