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Il governo Monti e la svolta "costituente" del Pd |
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Più che all’andamento della borsa e del differenziale fra Btp e Bund - a cui tutta la compagine parlamentare guarda con quotidiana, esasperante trepidazione - converrebbe più seriamente riflettere su ciò che di paradossale sta accadendo nella politica italiana, una volta archiviati i più che giustificati festeggiamenti per l’uscita di scena, ci auguriamo per sempre, del Caimano. La prima osservazione è che nessuno ha in realtà voluto ricorrere alle elezioni. Non il Pdl, che sembrava fortissimamente volerle e che pure avrebbe potuto ottenerle se avesse mantenuto fermo il proprio intendimento. E non il Pd, che aveva dichiarato di esservi pronto, nutrendo ragionevole certezza circa un esito di esse a sé favorevole, anche perché corroborato da sondaggi che certificherebbero la caduta rovinosa del centrodestra. Eppure tutto si sta muovendo - per ora - nella direzione opposta. Come mai? Sotto l’incalzante iniziativa di Giorgio Napolitano i duellanti sono confluiti su un surreale sostegno bipartisan a Mario Monti, cioè ad un governo definito con malcelata ipocrisia "tecnico", di cui nessuno vorrebbe condividere le gesta "impopolari", ma che tutti ritengono necessario per scongiurare il default del Paese. In altri temini, l’amara medicina marchiata Bce è ritenuta una buona ed efficace terapia. E non sarà certo la tiepida patrimoniale che forse si farà e forse no a conferire alla manovra un timbro di equità. La manovra che Monti varerà colpirà infatti con inaudita durezza innanzitutto i ceti popolari, l’impalcatura del welfare, il lavoro. Si capisce dunque perché il Pd, malgrado la cultura del suo gruppo dirigente sia ormai profondamente impregnata dell’ideologia mercatista, non voglia intestarsi da solo le misure che usciranno dal carniere di un prossimo governo Monti. Meglio, anzi necessario, condividerle con la destra, per fare in modo che la prevedibile reazione sociale non si rovesci esclusivamente proprio su chi in questi anni è stato all’opposizione. La seconda osservazione meritevole di qualche riflessione riguarda le ragioni che hanno indotto il Pd a non candidarsi, qui ed ora, via elezioni, come forza trainante di uno schieramento portatore di un progetto radicalmente alternativo, tanto sul piano politico quanto su quello economico-sociale. La risposta che pare più convincente è che quel progetto il Pd non l’ha. O meglio, al suo interno albergano posizioni politiche diverse e spesso diametralmente opposte. Pressoché su tutto. Sul modello contrattuale, sullo Statuto dei lavoratori, sulla legge elettorale e sulle pensioni (a proposito delle quali sarà interessante vedere se Susanna Camusso manterrà anche nei confronti del governo Monti la minaccia di sciopero generale rivolta solo un mese fa contro il governo Berlusconi nel caso questi avesse inteso manomettere l’impatto del regime previdenziale). Per non dire della totale afasia dei Democrat sulle questioni cruciali di come costruire una vera governance europea, di come combattere l’autoreferenzialità del potere bancario, di come contrastare la speculazione finanziaria, di come sottrarre la politica, la sovranità dei parlamenti e la stessa intangibilità delle costituzioni nazionali all’arbitrio incontrastato dei mercati. Se risulta già complicato far convivere queste posizioni quando non si ha l’onere di governare, farlo quando la palla passa nel proprio campo è una missione impossibile. Ma eludere il confronto elettorale e consegnare il potere ad un governo super partes in un momento così grave per la vita del Paese, significa in realtà compiere una scelta, seppur mimetizzata dall’eccezionalità del momento e dalle circostanze emergenziali. Vedrete che il governo Monti, una volta superate le difficoltà inerziali dell’avvio, saprà incassare con relativa disinvoltura i malumori che nel parlamento accompagneranno le misure adottate. Questi non andranno oltre qualche brusìo e, soprattutto, a nessuno verrà in mente di fare saltare il banco. E se anche gliene tornasse la voglia non ne troverebbe più la forza. Alla fine però, quando la parola tornerà ai cittadini, sarà difficile smarcarsi dalla politica che si sarà fino a quel momento sostenuta e al giudizio che di essa darà il corpo elettorale. Ci sono svolte che hanno un carattere costituente, che tracciano un solco dal quale è assai complicato separarsi: questa è senz’altro una di quelle. Dino Greco |
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