Telefrequenze in regalo? nuove speranze per l’asta
 











-Abbiamo messo un milione di euro da parte, le frequenze tv ce le compriamo noi». Più o meno queste le parole di Michele Santoro giovedì scorso dal palco di "Servizo Pubblico", rivolte al ministro per lo Sviluppo, Corrado Passera. Una provocazione, una boutade, una classica istrionata del giornalista che ora si vuole fare anche tycoon televisivo. Quello che si vuole, fatto sta che Santoro ha colpito nel segno. Da ieri decine di associazioni, organizzazioni e liberi cittadini si stavano mettendo sulla sua stessa lunghezza d’onda. E poi, in serata, la decisione del governo pressato da troppe parti. Accettati alla Camera gli ordini del giorno in materia di Idv e Lega: di asta dunque si discuterà, forse si farà.
Il retroscena, come è noto, è l’asta non indetta dal governo Monti per la cessione delle frequenze digitali rimaste libere dopo il switch off (l’abbandono integrale del paese del sistema analogico). Si tratta di uno "spazio" di circa sei frequenze che l’attuale
governo Monti (non mettendo in discussione le scelte del 2009 dell’allora ministro per lo Sviluppo, Paolo Romani) di fatto regalerebbe al sistema Raiset (Rai-Mediaset). Con la doppia fregatura per i cittadini di non vedere incassare una lira da una parte, e subire tagli - proprio nel mondo delle emittenze e dell’editoria - dall’altra.
Sperando che nel frattempo la "forma" raggiunta in Parlamento, diventi sostanza, chiediamo al deputato Giuseppe Giulietti, del gruppo misto della Camera e portavoce in Parlamento dell’Associazione per la libera informazione, Articolo 21, di spiegarci antefatti e prospettive.
Giulietti, ricordaci come si era arrivati a questo improvvido "regalo". Sembrerebbe una decisione da paese dei campanelli: "televisioni gratis per tutti". Ma l’Italia è un paese liberista, dove si vendono anche i sorrisi un tot a dente...
Sì, ai tempi di Romani - uomo cardine del sistema Berlusconi e del conflitto di interessi - si diceva appunto che anche in altri paesi
d’Europa le frequenze televisive venivano donate, non vendute. Il problema però è che l’Italia non è un paese come gli altri, dal punto di vista dei mezzi di comunicazione. In Italia vige da quasi due decenni un tragico conflitto di interessi che vede il (ex) presidente del consiglio da una parte editore, quindi padrone, e dall’altra autorità competente del proprio competitor. Negli altri paesi, insomma, esistono precise regole antitrust, esistono vere autorità di garanzia, esiste la pluralità di soggetti e quindi una vera competizione. In Italia, no.
Già da un paio di settimane sono state presentate al governo Monti diverse petizioni per chiedere che l’asta si faccia. Risultati?
L’accettazione da parte del governo degli Odg di Idv e Lega è un segnale, ora però bisogna passare ai fatti. Monti stesso del resto dovrebbe essere indignato di fronte alla illiberalità del mercato televisivo italiano. Invece fino ad oggi questo governo sembrava non voler smuovere le acque, congelare la
questione così com’è attualmente, senza toccare il conflitto di interessi e lasciando che Rai e Mediaset, definiti come i competitori con i migliori requisiti (il cosiddetto "beauty contest") si dividessero fraternamente le frequenze in avanzo. Non si trattava quindi di un "regalo" del governo, ma di un vero e proprio prezzo pagato alla politica. Adesso le cose si rimettono almeno in parte in discussione.
Ma Berlusconi ha detto che lui all’asta non parteciperà...
Sì, ha ripetuto non so quante volte che lui non intende partecipare ad alcuna asta, mettendo in serio pericolo la sua riuscita e anche la tenuta del governo. Da qui la giusta provocazione di Santoro...
Esistono casi simili nel mondo, in cui la partita si è giocata a favore dei cittadini e non dei monopolisti tv?
Sì, e si tratta di casi estremamente interessanti. In Argentina, ad esempio, lo Stato ha deciso di mantenere un tot di frequenze pubbliche, da affittare o cedere gratuitamente per canali di particolare
utilità. Pensiamo a canali dedicati al lavoro, o all’istruzione, o all’educazione civica. Un giornalista Rai della scuola di Zavoli, Raffaele Siniscalchi, recentemente ha cominciato a ragionare sulla possibilità di creare gruppi di azionariato popolare per comprare o affittare spazi televisivi.
Al rischio di regalare le televisioni si unisce quello - sempre più concreto - di chiudere i giornali. Tanto per prenderci due fregature in un’unica soluzione...
Sì, è proprio così. Con i tagli ulteriori all’editoria sono ormai a rischio certo di chiusura decine, centinaia di realtà editoriali e di piccole emittenze. In Parlamento però non se ne preoccupano, continuano a parlare di "tagli a una piccola casta di profittatori". Ma non è così. Associazioni come Mediacoop, l’Fnsi, i cdr di tanti giornali, hanno presentato le cosiddette "norme di pulizia", per escludere dai finanziamenti pubblici chi veramente se ne approfitta senza fare alcuna informazione. Bene, perché non le votiamo
immediatamente e poi non cerchiamo di salvare chi ne resta fuori?
Ci sono realtà che realmente rappresentano uno spazio di pluralismo, e non parlo solo dei giornali di partito, che pure sparirebbero...
Certo, pensiamo solo a "Confronti", storica rivista della comunità valdese che rischia di non arrivare a gennaio, o a Telejato, la televisione palermitana antimafia che ha i giorni contati. Ora però si tratta di vigilare affinché l’asta abbia luogo al più presto e che quei fondi vadano a salvare la pluralità dell’informazione.  Roberta Ronconi