Emiliano: “Una lista civica nazionale con Vendola, Idv e De Magistris”
 











Sindaco M. Emiliano

Peppino Caldarola ricorda fatti realmente avvenuti che fanno parte dei primi ricordi della mia vita politica. Omette solo di dire dello scontro politico furioso che egli avviò con Massimo D’Alema (e la stessa cosa fece Nicola Rossi) poco prima della composizione delle liste per il parlamento nelle elezioni del 2008. Questo scontro rese difficilissimo il mio compito di segretario regionale del neonato PD, perché D’Alema mi notificò (con lo sguardo) che non intendeva stare nella stessa lista con suoi strettissimi collaboratori che lo avevano (a suo dire) immotivatamente e pubblicamente attaccato nonostante egli ne avesse forgiato e consentito la carriera politica. Peppino se la prese con me, al punto di scendere a qualche pettegolezzo personale nei miei confronti su un suo blog, ma io ho sempre capito il dolore di Peppino nel dover abbandonare suo malgrado la vita politica.
Ma tra D’Alema e suoi boys, non potevo certo intromettermi! Per questo
dovetti inventarmi la formula degli intellettuali “troppo globalizzati” per indurre Veltroni a provare a candidare altrove Peppino e Nicola. Questa mia precisazione non è solo un’autodifesa: serve anche a rispondere alle domande che Caldarola mi pone. Tutta la mia breve storia politica, infatti, si è svolta (con molte semplificazioni ed omissioni) in una dialettica drammatica tra: 1)un partito, allora i DS e adesso il PD, che mi subiva nel giudizio dei suoi dirigenti dalemiani (nella migliore delle ipotesi) come un male necessario, in contrasto con la base che invece mi sosteneva; 2)un leader di questo partito, D’Alema, allora onnipotente ed incontrastato, ma già minacciato dai tempi nuovi; 3)un leader della sinistra radicale, Vendola, già componente della FIGC di D’Alema, che non aveva accettato la svolta della Bolognina pretendendo di definirsi ancora comunista in un partito da lui ri-fondato dichiaratamente comunista, in perenne conflitto con i compagni di un tempo, che comunisti non volevano più essere chiamati.
I conflitti tra comunisti – Peppino li conosce – sono i più drammatici che si possano immaginare. Sono emotivi, quasi erotici. Le amicizie e le solidarietà indistruttibili, forgiate nel sogno del sole dell’avvenire, si frantumano nel declino di quella visione della società, rivelando l’inesistenza del dio al quale si era dato affidamento assoluto. Il sentirsi orfani “del partito” accomuna ancora oggi Vendola e D’Alema, pur politicamente contrapposti nell’egemonia in Puglia e nella sinistra italiana. Entrambi subiscono sconfitte e tentano rivincite. Il PD di Veltroni (che è quello che ho fondato anche io) prova ad interrompere questo circolo vizioso. Ma senza riuscirci perché D’Alema e Co. lo costringono alla resa.
Nel frattempo Vendola fa la stessa cosa e tenta di impadronirsi di Rifondazione Comunista, ma anche lì prevale il consevatorismo di Ferrero. Ed è a quel punto che Vendola – suo malgrado – compie il salto che era inevitabile, dando vita
ad un partito personale e carismatico puntando sulla sua prepotente personalità e su un programma nitido fondato sulla giustizia sociale. E lo fa più o meno nello stesso momento in cui D’Alema immagina, attraverso la segreteria Bersani, il recupero del primato dell’organizzazione sul personalismo, della tattica e delle alleanze sul carisma personale e sulla vincolatività del programma.
Bersani passa tranquillamente dal promuovere l’art.23 bis sulla privatizzazione dell’acqua a sostenere il referendum contro lo stesso art.23 bis senza battere ciglio, come si faceva nel vecchio partito comunista, dove il machiavellismo e l’ideologismo consentiva ogni acrobazia, come accadde nel 1944 con la svolta di Salerno nella quale Togliatti ordina al PCI di sostenere il governo Badoglio ed il Re, e come ancora oggi Bersani fa sostenendo un governo che non ha nulla di sinistra nel suo programma. Ma torniamo un attimo indietro nel tempo.
In questo dramma storico, che Peppino Cotturri chiamò
“Transizione Lunga”, senza che esistesse alcuna prospettiva di governo reale della Puglia, entra nel 2004, un po’ come Forrest Gump, un barese senza alcuna storia politica, con nonni ferrovieri e militari di carriera, che non aveva mai chiesto una raccomandazione ad un politico per ferreo insegnamento familiare, col mito dello Stato al di sopra di tutto, partiti ed ideologie comprese, che aveva fatto il suo lavoro di magistrato senza esitare a contrapporsi alla “sinistra giudiziaria” che all’interno della magistratura rappresentava, nell’immaginario collettivo del paese, una cinghia di trasmissione verso la sinistra italiana. Un magistrato che scende dunque in politica nella sua città col favore del popolo della destra e della sinistra barese e con la contrapposizione dei dirigenti di tutte le aree dei Democratici di Sinistra che vedevano così realizzato il loro peggior incubo. Il favore di Vendola per questa discesa in campo è in gran parte dovuto alla opposizione dei primi. Ancora oggi se una corrente della sinistra fa una cosa, l’altra la contraddice per definizione.
Per rispondere a Peppino che mi raffigura come uno politicamente ondivago, dico che penso di essere sempre andato sempre dritto per la mia strada, senza alcuna esitazione, senza dubbi amletici sul mio posizionamento ideologico (sono sempre dalla parte di quelli che non contano niente!), ritenendo del tutto tramontata l’epoca dei partiti-organizzazione a struttura verticistica e a sfondo ideologico. Ho puntato tutto sul programma, sulla promessa elettorale che DEVE essere mantenuta attraverso candidati TESTIMONIAL della credibilità dell’impegno programmatico. Si dichiara l’intento, lo si sottopone all’elettorato con le elezioni, si realizza quanto promesso assicurando il controllo popolare sulle azioni di governo attraverso la partecipazione attiva dei cittadini, l’ascolto ed il contatto fisico continuo, anche attraverso il web 2.0, tra amministratore – politico e amministrato –
cittadino.
Oggi i partiti non possono che essere comitati elettorali che devono individuare candidati e programmi da approvare, se possibile, con elezioni primarie, garantendo poi, dopo la vittoria elettorale, la capacità/volontà degli eletti di mantenere gli impegni. Nella mia visione non esiste e non può esistere il professionismo in politica, nessuno deve essere pagato per fare lavoro politico in un partito, si fa volontariato, e la politica si fa permanentemente soprattutto nelle istituzioni facendosi eleggere e non discettando in interminabili ed inutili discussioni di partito dove nessuno è d’accordo su nulla e dove ogni decisione viene ribaltata nella riunione successiva.
Il PD non funziona perchè è stato progettato come un partito di programma con un leader carismatico e viene invece adoperato da Bersani come un partito di massa del Novecento che però, a differenza di quelli, non ha più alcun tessuto culturale, economico e politico comune. E un partito che non è d’accordo
su nulla per definizione, perchè fatto di popoli politicamente diversi, può trovare una unità di intenti solo attorno ad un programma elettorale. Il leader di questo modello di partito che ho in mente DEVE essere il presidente del consiglio o il leader dell’opposizione se si prepara alle elezioni.  Se perde le elezioni va a casa e scrive libri o ricomincia a lavorare, senza un ruolo politico che sopravvive alla sconfitta.
O si vince o si va a casa e si viene sostituiti dalla generazione successiva. Io dico sempre queste cose (sono nel mio programma di segretario regionale del PD sconfitto nel 2009 nel congresso del PD Pugliese.  Le ripeto sempre quando incontro Bersani, Casini, Fini, Rutelli, D’Alema, Vendola e De Magistris ed a tutti dico la stessa cosa e con tutti sono coerente correndo molti rischi.
Appaio a Caldarola sempre diverso forse perchè i miei interlocutori mi avvicinano non per condividere con me un cammino, ma solo per condividere con me un’alleanza, ed a
tutti dico che non ho limiti nel concepire un’alleanza, a patto di condividere un programma, un patto con gli elettori da sugellare in campagna elettorale, attraverso candidature di uomini e donne la cui storia personale sia una garanzia di coerenza e affidabilità ai valori della Costituzione repubblicana.
Ma i miei interlocutori alle volte non sanno ancora bene cosa vogliono da me ed io ogni tanto mi illudo di averli convinti. In questo momento De Magistris e Vendola sembrano più omogenei e coerenti con la mia visione. Bersani è lontanissimo, quasi irraggiungibile. Con Vendola e De Magistris sostengo la necessità che la “transizione lunga” sia aiutata da una LISTA CIVICA NAZIONALE che alleata di IDV, SEL, e forse anche UDC, API e FLI, completi l’evoluzione della politica italiana verso la modernità. Una lista civica nazionale infatti è naturalmente un partito di programma che si scioglie il giorno dopo le elezioni in un gruppo unico parlamentare che sostiene il governo e lo
controlla nell’adempimento preciso e corretto del programma concordato. Tutto questo spazzerebbe via Prima e Seconda Repubblica costruendo finalmente le premesse per il Rinascimento italiano, come è avvenuto in Puglia dove niente, grazie a Dio, oggi è uguale a prima.di Michele Emiliano