Pdl e Pd in stato confusionale
 











Frustrazione. Corridoi deserti. Ex ministri che bighellonano con le mani in tasca in Transatlantico come Renato Brunetta, fannullone. Esistono ancora, dal punto di vista formale. Ma sono bastati cento giorni per trasformare i partiti-Gattopardo della Seconda Repubblica in partiti-Jurassici. Dinosauri che si vanno estinguendo dopo l’impatto con il meteorite Monti. Prendiamo il raggruppamento più numeroso del Parlamento, il Pdl del fu premier Silvio Berlusconi.
La settimana scorsa si riunisce lo stato maggiore, i capigruppo di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, l’ex ministro Renato Brunetta, l’ex sottosegretario Guido Crosetto, per scrivere gli emendamenti al decreto liberalizzazioni. Assente la relatrice del provedimento, la senatrice palermitana Simona Vicari. Viene cercata ovunque, non si trova. La riunione va avanti senza di lei, alla fine arrivano le modifiche firmate dal Pdl. E solo a quel punto i
notabili del partito scoprono allibiti che mentre loro si azzuffavano un altro pacchetto di emendamenti è già stato preparato dalla Vicari, in una sede irrituale: lo studio del presidente del Senato. E’ lì, nell’ufficio di Renato Schifani, che si fanno i veri giochi, in un rapporto fiduciario tra cariche istituzionali e governo che bypassa i partiti.
Il 12 febbraio, a tre mesi esatti dall’uscita di scena di Berlusconi da Palazzo Chigi, i partner che sostengono Monti, il Pdl e il Pd, sono andati a sbattere sugli scogli delle rispettive rotte. A sinistra e al centro. Il partito di Pier Luigi Bersani è riuscito nell’impresa di perdere le primarie per il Comune di Genova dove schierava due big, il sindaco in carica Marta Vincenzi e la senatrice Roberta Pinotti, contro il Forrest Gump Marco Doria, il candidato di Nichi Vendola.
E il partito guidato da Angelino Alfano, nelle stesse ore, ha tremato come un castello di carte di fronte all’ipotesi di candidare premier nel 2013 il ministro
dello Sviluppo economico Corrado Passera, avanzata dal governatore Roberto Formigoni. E sul "Corriere" Cicchitto passa già alle prossime puntate: "Fino alle amministrative il nostro impegno deve essere rilanciare il Pdl sotto la guida di Alfano. Dopo certamente bisognerà ragionare su come dar vita a un grande partito moderato e riformista che vada oltre il Pdl. E’ un’esigenza ineludibile". Ineludibile, parola di Cicchitto, superare il Pdl. E non solo.
"Oggi Monti regna a Roma come un novello Cesare", ha scritto Michael Schuman su "Time". "In effetti il processo democratico è stato sospeso per permettere ad un tecnico non eletto di portare a compimento politiche che i politici non riuscivano a fare". E chissà se Schuman conosce la biografia che Luciano Canfora ha dedicato a Cesare, intitolata per l’appunto "Il dittatore democratico". Monti governa, decide, vola da una sponda all’altra dell’Atlantico, omaggiato e incensato. E non si vedono idi di marzo o aspiranti Bruto all’orizzonte,
nonostante alcuni errori che non sarebbero stati perdonati a nessun altro governante: dalla gaffe sul posto fisso "monotono" all’incredibile assenza di ministri e sottosegretari all’isola del Giglio sul luogo del disastro della Concordia.
Procede a colpi di voti di fiducia, formalmente cortese e ossequioso, in realtà sempre più distante dai riti dei partiti verso cui, dai microfoni della Cnbc, ha emesso il giudizio più sprezzante: "La ragione per cui delle riforme si è parlato molto, senza che fossero introdotte, era il costo politico. Quando i partiti torneranno al governo non avranno interesse a tornare indietro". Ma torneranno? Chissà. Come ammette un ministro: "Questo governo potrebbe proseguire anche dopo il 2013".
Il sondaggio Demopolis-Espresso conferma come negli ultimi mesi la credibilità delle vecchie formazioni sia precipitata nell’opinione pubblica: il 92 per cento degli intervistati afferma di avere poca o nessuna fiducia nei partiti, il 61 per cento dichiara che
nell’ultimo anno la fiducia è ulteriormente diminuita, il 53 per cento fa notare che dopo la nascita del governo Monti i partiti hanno perso peso. Mentre il livello di fiducia del premier resta molto alto: il 58 per cento, in crescita. E se non bastano i sondaggi c’è il voto alle primarie di Genova a ribadire la disaffezione: diecimila votanti in meno rispetto alle precedenti primarie del 2007, sia pure in una giornata di gelo, testimoniano che neppure la partecipazione popolare per la scelta dei candidati può, da sola, riaccendere i motori.
La forza di Monti e la debolezza dei partiti si tengono insieme. E le ipotesi sul futuro mai come ora sono vaghe. Uno scenario prevede il tentativo di passare la nottata, con una legge elettorale che fotografi gli attuali partiti e i loro equilibri. Il macchinoso sistema presentato da Luciano Violante a nome del Pd agli altri partiti premia i primi tre classificati, ovvero il Pd, il Pdl e il Terzo polo di Pier Ferdinando Casini, il cartello che
sostiene la maggioranza Monti. Nel primo giro di tavolo ha raccolto un consenso generale perché, con il ritorno della proporzionale e il diritto di tribuna (qualche seggio in Parlamento) anche per chi non supera il 2 per cento, sembra accontentare perfino Rifondazione e la Destra di Storace. Ma lo schema prevede che Pdl e Pd tengano fino al 2013: il che non è affatto scontato.
Il big bang potrebbe arrivare con le elezioni amministrative, come previsto da Cicchitto: una rovinosa sconfitta del Pdl segnerebbe lo sciogliete le righe del primo partito italiano, come avvenne per la Dc nel 1993, con il suo leader Berlusconi sempre più convinto della necessità di voltare pagina. Nell’ultima settimana due personaggi diversi come il governatore lombardo Formigoni e l’ex dura e pura del berlusconismo Daniela Santanché hanno candidato Passera alla guida nel 2013 di un rassemblement moderato che nasca dalle ceneri del Pdl. E l’antipasto potrebbe essere la richiesta di entrare al governo con
ministri politici già dopo le elezioni amministrative.
Un progetto che potrebbe trovare l’interesse, sul versante opposto, delle correnti moderate del Pd, soprattutto se l’alleanza con Vendola e Di Pietro fosse rafforzata. Non solo il solito Giuseppe Fioroni: anche Walter Veltroni e Enrico Letta non nascondono di considerare Monti il loro premier ideale. E di guardare al ritorno del Pd alla mitica foto di Vasto (Bersani-Vendola-Di Pietro) come una sciagura.
In posizione d’attesa c’è Massimo D’Alema: "Chi scalpita a sinistra deve capire che nessuna credibile prospettiva politica per il dopo-Monti può essere costruita contro l’attuale governo", ha scritto l’ex premier sull’ultimo numero della rivista "Italianieuropei". Conclusione: a difendere l’alleanza a sinistra, alternativa al nuovo polo dei moderati in costruzione, è rimasto il solo Bersani. E se il segretario del Pd entrerà in rotta di collisione con i padri nobili del partito si vedrà nei prossimi giorni a Palermo, dove
Bersani sostiene la candidata sindaco ufficiale del Pd Rita Borsellino, appoggiata dai vendoliani e da Idv, e la corrente dalemiana che guarda in direzione Terzo Polo e Raffaele Lombardo e che ha sfiduciato la segreteria regionale.
La Sicilia, al solito, anticipa le dinamiche nazionali: nell’isola di Pirandello ci sono già due Pd, due Pdl, un terzo polo diviso per tre e un governo tecnico impersonificato da Lombardo, il campione della vecchia politica, un paradosso che forse sarebbe piaciuto a Leonardo Sciascia. Ed è in Sicilia che ha fatto le prove generali il movimento dei forconi: la piazza contro i tecnici, modello Grecia. In mezzo dovrebbero esserci i partiti. E invece c’è il nulla. Marco Damilano-l’espresso