Bizzarria, maniera tradizionale ed originalità
 







di Rosario Ruggiero




L’attività dello scienziato e quella dell’artista hanno in comune la ricerca di risultati sempre più fini, il primo nell’ambito del mondo materiale, il secondo nell’ambito del mondo emozionale. Simili anche alcuni strumenti, intelligenza, intuizione, cultura, sensibilità, ma, se ai primordi le modalità si somigliavano maggiormente poggiando sovente entrambe sul principio di autorità, da un certo momento in poi la scienza se ne affrancò per votarsi completamente al metodo sperimentale. Non più, allora, un risultato vero perché sostenuto da un personaggio o uno scritto autorevole, che questo sia stato un grande filosofo dell’antichità o un fondamentale testo religioso, ma vero solo quando positivamente verificato dall’esperimento. Sostenere che il sole abbia forma rettangolare ed argomentare ciò anche nella maniera più convincente è ammirevole esercizio retorico, ma finché questa affermazione non verrà sperimentalmente dimostrata resterà solo speciosa elucubrazione, giammai verità scientifica. In questo ambito particolare della ricerca umana, quindi, un asserto, in un preciso momento può essere solo o vero o falso.
Tale trasformazione metodologica, almeno l’unanime riconoscimento di essa e la sua esclusiva adozione, è però mancata nel mondo dell’arte sì che qui un’opera, perché creata da celebrato autore, avallata da autorevole critica o sostenuta da estesi luoghi comuni, ancor oggi può imporre la sua validità a tanta parte di quello stesso pubblico (il quale insieme alla storia è il principale strumento di verifica dell’arte) che pur ne è restato in cuor proprio sconcertato quando non deluso. Da qui i fenomeni di gloria anche straordinaria di artisti del passato, poi dimenticati, di grandi invece dopo lungo tempo riscoperti ed i tanti discutibili esempi di pittura, scultura, musica, architettura o poesia soprattutto più recente.
A differenza del risultato scientifico, tre, allora, e non due, le possibilità dell’opera
d’arte: bizzarria, maniera tradizionale o originalità. Per maniera tradizionale intenderemo la realizzazione di un prodotto che, anche non aggiungendo molto in termini formali, pur può raggiungere traguardi espressivi persino eccezionali, come ci dimostra tanta produzione di Bach o Mozart. Per bizzarria intenderemo prodotti innovativi ma non funzionali, salvo a muovere il riso o stupire, come una gallina portata in testa a mo’ di cappello o un brano eseguito al pianoforte soltanto con il naso. Per originalità intenderemo, infine, un’innovazione di chiara efficacia funzionale, quanto dire felice esercizio creativo, proficua evoluzione del linguaggio, rivelazione di una coinvolgente verità emozionale, nobilitazione sovrana dell’ingegno umano. Esistono oggi, infatti, macchine capaci di svolgere funzioni mentali più velocemente e meglio del cervello umano, come calcoli aritmetici, correzioni ortografiche, verifiche lessicali o riproduzioni grafiche, ma quante di queste saprebbero creare una poesia o una sinfonia che siano felice fusione di pensiero e sentimento?
Un esempio significativo di ammirevole originalità creativa? Ludwig van Beethoven, inclito compositore tedesco vissuto a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo, ebbe incontenibile istanza di evoluzione del linguaggio. Nei suoi cinque concerti per pianoforte ed orchestra lo strumento solista inizia via via ad abbandonare una funzione sostanzialmente ornamentale per cominciare a contrapporsi in maniera quasi agonistica con la massa orchestrale, e che sia stata intuizione profetica degli sviluppi futuri di questa forma o lezione appresa dai compositori a seguire, certo il merito del maestro non ne viene sminuito. La sinfonia con lui accoglie al suo interno la voce umana ed il testo poetico realizzando un intenso messaggio di fratellanza. Ma in particolare è nelle trentadue sonate per pianoforte che il genio di Bonn esprime generosamente le sue capacità rivoluzionarie. In esse le risorse tecniche ed espressive
dell’ancor giovane pianoforte vengono esplorate con una varietà ed un’efficacia di esiti da occupare un posto fondamentale nella letteratura musicale per questo strumento, dalle prime, non a caso dedicate a Franz Joseph Haydn, dalle sonorità ancora vicine a quelle del clavicembalo, seppur via via più robuste e la stessa forma sonata più dilatata, alle ultime dall’atmosfera così sovente rarefatta e visionaria. Tra questi estremi, tutto un caleidoscopio di vie intermedie. Diciassettesima sonata è l’opera 31 numero 2, detta “La tempesta”. Esemplificazione paradigmatica della ricerca beethoveniana.
Il pianoforte è uno strumento che può suonare anche estremamente forte o piano, da qui banalmente il nome, ma pure con tutte le intensità intermedie, ed è strumento musicale che può interrompere il suono non appena il tasto viene lasciato o protrarlo lungamente nell’aria anche quando le dita abbandonano la tastiera se il pedale destro viene mantenuto abbassato. E può anche produrre circa
novanta suoni diversi in altezza, dal più grave, cupo e minaccioso, al più acuto, limpido e festoso. Ecco quindi Beethoven, nella sonata op. 31 n. 2, esplorare queste risorse e combinarle efficacemente in un discorso espressivo dualistico e coinvolgente.
Tre sono i tempi, ossia i brani separati che compongono questa sonata. Il primo si apre con suoni lenti che, grazie all’uso del pedale destro, vibrano lungamente nell’aria, quindi, senza uso del pedale, improvvisa, asciutta e rapidissima segue una gragnuola di note crepitanti che poi si placa, quasi una aggressione, un energico rimprovero a quei suoni lenti. La ripetizione di queste due contrapposte atmosfere sonore completa la prima idea musicale. Segue subito una seconda che stavolta vede succedersi, su un accompagnamento tremolante svolto nel registro centrale del pianoforte, suoni minacciosi al registro grave a cui rispondono suoni come imploranti al registro acuto. Questo l’impianto espressivo fondamentale di questo primo
tempo.
Il secondo tempo, evocatore di emozioni più intime, vede invece alternare in contrasto tenui suoni acuti, ancora dal tono implorante, a sonori accordi gravi. Non mancano, nel corso del brano, interessanti effetti, grazie anche ad un sapiente uso del pedale destro, di suoni lunghi e legati e contemporanei suoni brevi, talvolta questi ad imitare il rullo del timpano.
Il terzo ed ultimo  tempo, di grande presa, è invece sostanzialmente un incessante fluire di suoni raramente interrotto.
La sonata si presenta quindi come una affascinante esplorazione dell’espressività dei suoni acuti e gravi, ampliati dall’uso del pedale destro o asciutti, eseguiti singolarmente o in gruppi, alcuni suonati forti, altri piano, in un continuo, forte ed espressivo contrasto, di dolente dolcezza e minacciosa severità, delicatezza femminea e virile gravità, dal carattere fortemente narrativo, drammatico nel primo tempo, triste e come implorante nel secondo, per sfociare ed annullarsi
nell’ostinato ed avvolgente fluire di suoni del terzo tempo. Indagine tecnica che si risolve in esemplare novità espressiva, ovvero curiosità guidata da ingegno e sensibilità, da entrare a pieno diritto nella storia della musica che, d’altronde, cosa altro è se non raccolta di chiari esempi di originalità creativa? Tutt’altra cosa, certo, che andare in giro con una gallina per cappello!