Boom dei pesci tarocchi in Italia. Ristoranti, etichettatura contro i falsi
 











Cosa c’è di meglio di mangiare un bel piatto di pesce nostrano sapientemente cucinato quando si va al ristorante? Considerando anche i prezzi che si pagano, verrebbe da dire "Poco o niente". La domanda è una: il pesce che abbiamo nel piatto è veramente nostrano? La risposta è: magari. Almeno due volte su tre - questo il risultato di una ricerca condotta dalle associazioni di settore - il cliente del ristorante si ritrova a mangiare prodotti ittici provenienti dall’altra parte del mondo.
Oppure pesci ’spacciati’ per altri. Non è raro ad esempio che la cernia che ci portano in tavola in realtà sia pangasio del Mekong, o che la sogliola sia halibut atlantico. Oppure che ci dicano che il polpo è stato pescato sulle nostre coste quando invece viene dal Vietnam così come il dentice dalla Mauritania, le vongole dalla Turchia o i gamberetti siano spesso targati Cina, Argentina o  Mozambico. A rivelare la ’bufala’ in salsa italiana sono i pescatori
toscani che hanno chiesto alla Coldiretti di proporre una ’etichetta di origine’ per il pesce che finisce nel ristorante.
Se viene da chiedersi come sia possibile dato che nei supermercati o in pescheria sappiamo con sicurezza la provenienza di ogni prodotto ittico, la risposta è semplice: colpa di un ’difetto’ legale. Se l’etichetta di origine con tanto di zona di pesca è obbligatoria per il pescato acquistato in pescheria o dall’imprenditore, lo stesso principio non vale purtroppo quando il pesce arriva al ristorante. Una volta che finisce nella ghiacciaia del ristorante non è infatti più dato saperne la provenienza.
"Due terzi dei pesci serviti a tavola, circa il 70 per cento - spiega Francesco Ciarrocchi, Direttore della provincia di Lucca di Coldiretti - sono tarocchi. Eppure, nonostante la pescosità dei nostri mari e la presenza di numerose imprese, solo un terzo del pesce proviene dalle nostre coste. La produzione ittica, al pari della produzione agroalimentari, deve
essere tutelata e difesa dagli attacchi della pirateria. Nasce da questo principio, lo stesso che ispira il nostro progetto per una filiera agricola tutta italiana, la proposta di Coldiretti Impresa Pesca". Tra i pesci più "imitati", a completare un panorama che ha dell’incredibile, c’è anche il pesce spada che invece altro non è che trancio di squalo smeriglio; il baccalà, in realtà filetto di brosme oppure il pagro fresco venduto come dentice rosa.
"E non solo, il pesce serra è spesso spacciato per spigola, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto e la verdesca al posto del pescespada. Dovrebbe essere un diritto del consumatore sapere cosa mangia - conclude Ciarrocchi - e non essere ingannato. Noi vogliamo garantirglielo. Per questo avanzeremo questa proposta al ministero. D’altronde, se l’olio ha il suo certificato di provenienza, perché non deve averlo il pesce?".  Francesco Bertolucci-affaritaliani