-Ho incatenato mio figlio per salvarlo-
 







di Eleonora Martini




«L'ho fatto e lo rifarò di nuovo. Incatenerò ancora mio figlio in modo che non possa uscire di casa per andarsi a procurare l'eroina. Non ho altra scelta per evitare che il mio ragazzo non vada più a rubare - ha solo 17 anni, capisce, non è capace di distinguere il bene dal male - e non incontri più quell'uomo che abusa del suo corpo in cambio di droga». Si sente sola, Chiara P., ma è mossa dal coraggio della disperazione. E lo dice con fermezza alle forze dell'ordine che domenica sera hanno fatto irruzione nella sua abitazione di Trieste per liberare il figlio Andrea (il nome è di fantasia) dalla catena di due metri con la quale lei stessa lo aveva legato a una sbarra del letto. E' stata denunciata per abuso di mezzi di correzione ma è indagata anche per sequestro di persona.
La droga, l'eroina, però in questa storia, riportata ieri sulle pagine del quotidiano Il Piccolo di Trieste, non ha un ruolo principale. Compare sulla scena solo nel
giugno scorso, dopo anni di sofferenza per Andrea e la sua famiglia lasciati soli (così perlomeno si percepiscono) davanti a un disagio spesso frainteso, a una malattia latente che nessuno sa riconoscere per quello che è. E che attecchisce e si sviluppa proprio negli anni più delicati per lo sviluppo del carattere dell'adolescente. Cinque anni passati a cercare di riprendere Andrea che ruba, che scappa di casa e dalla custodia cautelare, che chiede soldi che nessuno gli può dare. E ancora, Andrea che tenta il suicidio davanti agli occhi dei suoi, che fugge anche dai reparti di psichiatria, che rifiuta lo psicologo. Eppoi l'eroina, lo spaccio, il corpo venduto per la «roba». Infine, solo lo scorso dicembre, per la prima volta una diagnosi: Andrea ha sviluppato una personalità borderline, dicono all'ospedale infantile Burlo.
«Un ragazzo difficile, disorientato, con una doppia personalità», agli occhi di sua madre Chiara di 51 anni, separata in casa da un marito «sempre presente,
però». Andrea è l'ultimo di quattro figli «senza problemi». Novecento euro al mese e una casa in affitto a Valmaura, «il quartiere più malfamato di Trieste», non piegano però questa donna dignitosa e colta che ha venduto persino i mobili di casa (sono rimasti solo un divano, un tavolo e due letti) per poter seguire quel suo figlio disperato e disperante: «Tutto, tranne la droga e la delinquenza», afferma. «Aveva 12 anni quando ci siamo trasferiti in questa zona dove l'alcol, le droghe e i furti sono il passatempo principale e lui ha assorbito questo contesto. Andrea non è marcio fino in fondo ma non sa distinguere il bene dal male». Il ragazzo passa per due misure cautelari, una comunità per minori di Verona, e numerosi assistenti sociali («cambiano in continuazione»). Viene ricoverato più volte nei reparti psichiatrici, ma scappa sempre: «Io e mio marito abbiamo passato intere notti in giro per Trieste a cercarlo». Colleziona una decina di processi per furto; è violento in casa e picchia la sua fidanzata. Litiga con i servizi sociali e il distretto sanitario, ma anche Chiara lo fa e intanto riempie di fax la procura denunciando ogni avvenimento: «Ma in 5 anni ho ricevuto una sola relazione dal dipartimento sanitario». Andrea smette di studiare e il comune gli assegna una borsa lavoro presso un agriturismo. Poi a giugno scorso l'incontro con un giovane di 31 anni che lo ospita in casa per tre mesi. Lì conosce l'eroina e lo sfruttamento sessuale fino a quando l'uomo non viene arrestato su ordine del pm Ferdinando Frezza. Ma il pensiero di Chiara è lucido: «Questo ragazzo è stato abusato e a sua volta abuserà. Chi se ne farà carico?».
«Avevo avvisato il distretto sanitario: se non mi aiutate a mandarlo via da questa città, io lo lego in casa. Mi ridevano davanti». Chiara aveva sentito parlare bene della comunità genovese di Don Andrea Gallo e aveva chiesto al Sert e al Cim di aiutarla a mandare Andrea lì. «Non serve, se non prende questa decisione da solo non
serve a niente», le hanno risposto. E' vero. «Ma come fa a decidere da solo?», si chiede la donna che ricorda quando durante una crisi violenta chiese ai medici intervenuti di fargli un Tso, un ricovero coatto: «Però in quel caso volevano che fossi io a prendermi la responsabilità, con tutte le conseguenze della cosa». L'altra sera infine «è tornato a casa coi buchi sulle braccia. Non era in astinenza perché i buchi erano recenti, al mattino non li aveva e non si faceva più da un mese. Ho aspettato che si addormentasse e gli ho messo la catena. Non sapevo però che avesse un altro telefonino: è sempre pieno di soldi che non so da dove provengono. Con quello ha chiamato la polizia». Chiara però è disposta a farlo di nuovo.da Il Manifesto