Ambiente, Vendola non molla "Dopo British gas e Ilva tocca all’Enel"
 











Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola a Ginevra è stato nominato, alla unanimità e per l’anno 2012,  vicepresidente e responsabile per le attività in Europa di R20, la rete di Regioni ed enti locali per la lotta contro il cambiamento climatico, un’organizzazione no profit fondata dall’allora governatore della California Arnold Schwarznegger e da altri leader, in cooperazione con le Nazioni Unite.
Presidente Vendola, la Puglia con la lettera d’intenti firmata a Ginevra lavorerà insieme con i partner mediterranei, per la riconversione ecologica del modello economico e produttivo. Come si concilia questa vocazione nella regione che ospita il più grande stabilimento siderurgico d’Europa?
"La Puglia ha maturato in questi anni esperienze significative in materia di promozione delle energie rinnovabili, di efficientamento energetico, di tutela del paesaggio, di bonifiche, di tutela del bene acqua, di legislazione in materia di
inquinamento da diossine e di benzo(a)pirene. La nostra azione è apprezzata a livello europeo. Ma qui non si tratta di un esercizio di vanità. Guardare alla Puglia da una scala più vasta consente anzi di cogliere come il grande tema dell’ambientalizzazione della grande industria pesante non può essere affrontato nel confine di una regione. C’è dunque molta coerenza tra il lavoro in Puglia e la mia attività istituzionale in Europa".
E il passato?
"Anche per questa strada ho maturato la coscienza che per troppo tempo abbiamo limitato la riflessione sull’Ilva e sulla grande industria dentro i confini del dibattito politico regionale. E’ stato un errore. Un eccesso di considerazione delle nostre forze. La Puglia non può, da sola, affrontare e risolvere l’atavico conflitto tra ambiente e lavoro quando si parla del più grande siderurgico d’Europa e della più grande fabbrica del Sud. Deve riguardare l’intero paese. Se l’esercizio del governo non si confronta su questo, la parola
Sviluppo, ripetuta ormai come un mantra, è solo vuota retorica. La condivisione incondizionata di questo salto di scala da parte di tutte le forze politiche regionali di maggioranza e di opposizione è anche un salto nella capacità di essere classe dirigente. Produrre milioni di tonnellate di acciaio per la industria manifatturiera italiana senza distruggere l’ambiente di Taranto non può essere un problema solo dei tarantini, né dei 20.000 che ricevono un reddito dalla fabbrica né di quelli che ne respirano l’inquinamento. Significa condannare quella comunità a scegliere da sola tra due alternative mortali: inquinamento o disastro sociale.
Dal Pdl, l’ex ministro Fitto suggerisce "un percorso costruttivo nel quale nessuno strumentalizzi elettoralmente l’emergenza ambientale e di salute pubblica di Taranto".
"Condivido l’esigenza di evitare facili scorciatoie e strumentalizzazioni su una questione così delicata in questo periodo elettorale. I primi protocolli d’intesa con Ilva
risalgono ai primi anni 2000. Si trattava di accordi notarili, con i quali si "sensibilizzava" la grande industria rispetto all’avvio di alcune attività di ambientalizzazione, dopo decenni di silenzio. Nel 2006 siamo intervenuti pesantemente su quegli accordi, rafforzando lo spirito di partecipazione ed ampliando il novero delle opere da realizzare. Ritengo utile proseguire su questa strada: il tempo delle intese "morali" è scaduto. Anch’io, però, sono molto insoddisfatto della mancata o parziale esecuzione di opere di risanamento come quella del rione Tamburi".
Lei ha invocato una legge speciale con cui lo Stato deve risarcire Taranto per le scelte fatte dal ’61 al 1995. E per quello che è accaduto dopo?
"Nella domanda c’è un equivoco. Noi operiamo in un contesto in cui vale la regola del "chi inquina paga": vale per Riva, ma vale ovviamente anche per lo Stato visto che per oltre trent’anni la vecchia Italsider ha, come ’gioiellò dell’industria pubblica, avvelenato il capoluogo
ionico".
Lo immagina un futuro di Taranto senza l’Ilva?
"Oggi dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Gli eventi degli ultimi giorni mi portano a pensare che non solo è possibile un futuro di Taranto senza l’Ilva, ma che abbiamo il dovere di immaginarlo. Per farlo occorre, ancora una volta, la partecipazione di tutti i livelli istituzionali, a cominciare dallo Stato. Ma dovremo fare i conti con una comunità diventata pienamente consapevole".
Da Taranto a Brindisi: la British Gas va via. Dopo 11 anni  -  si dice  -  di tira e molla. Non è una bella pubblicità per una Regione che punta per la sua economia ad attirare investimenti esteri?
"Ero e resto convinto che non è possibile realizzare un rigassificatore a Capobianco, dentro un porto, a pochi passi dal centro di Brindisi. Poi sul progetto di British LNG, in questi 11 anni, si sono consumate vicende giudiziarie ancora non definitivamente risolte che hanno pesantemente influito sulla
tempistica del procedimento di autorizzazione. Sono molto sensibile alla nostra capacità di attirare gli investimenti stranieri, ma sono finiti i tempi del ’tutto va bene, purché si muova l’economia’".
Ma a Brindisi non è più inquinante la presenza della centrale Enel di Cerano?
"Anche Cerano viene dal passato e rappresenta una ferita aperta nel territorio pugliese. Anche qui, come a Taranto, si muove la magistratura, ed è un bene, perché poco a poco si comincia a comprendere che pregiudicare l’ambiente e la salute è un reato. Noi abbiamo scritto nel Piano energetico regionale che Enel deve abbattere del 25% le emissioni di anidride carbonica. Lo abbiamo ribadito in forma prescrittiva in sede di Aia ministeriale, rifiutando di porre una firma su quelle convenzioni richieste dall’azienda e che rischiavano di snaturare gli obiettivi ambientali. La compagnia elettrica italiana sta ignorando, allo stato dell’arte, quelli che sono vincoli cogenti. Abbattere le emissioni significa
ridurre significativamente l’uso di carbone. Ecco, lo dico con nettezza: anche per Enel il tempo dei rinvii e delle chiacchiere è scaduto".  Piero Ricci-repubblica
-In risposta a una richiesta del ministero dell’Ambiente. "Bocciata" l’Ilva: emissioni diffuse e polverosità legata al PM10  restano i punti critici dello stabilimento siderurgico di Taranto.
Il direttore generale Arpa Giorgio Assennato  conferma al ministro che permangono le criticità del PM10 nell’area urbana di Taranto adiacente allo stabilimento siderurgico "data l’assenza di interventi significativi sul parco minerale". Si sollecita l’adozione di strumenti per arginare o eliminare del tutto lo spolverio derivante dalle enormi piramidi di minerali, a poche centinaia di metri dalla città. Si dovrebbero coprire integralmente i parchi, investendo le risorse necessarie nelle tecnologie esistenti, e non l’adozione di sistemi che risultano solo espedienti capaci di limitare in parte la polverazione. Non
basta la barriera frangivento che Ilva ha presentato un mese fa come sistema antipolvere: elimina solo una quota delle enormi quantità che si innalzano in volo e poi ricadono sulla città.