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Monti è forte perché i partiti sono deboli |
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Giorno dopo giorno, riprende vigore il mondo politico che aveva dovuto cedere le armi davanti al governo nominato dal Quirinale. Come già abbiamo avuto modo di dire, la paura del fallimento (gli zuccherosi anglofili lo chiamano “default”) non paralizza più i vecchi teatranti che si spartivano/spartiscono i consensi della cosiddetta libera opinione. Ora che Monti ha fatto il lavoro sporco, quello che ha salassato i già salassati, qua e là si levano le teste degli attori decisi a tornare protagonisti. Si drizzano anche parecchi rampanti che sentono l’odore delle guerre di successione in atto. I cantatori, anzi, i cantattori di Monti, quelli che l’incensano per il riconquistato ruolo internazionale dell’Italia, hanno messo la sordina. I due marò sequestrati, tuttora tenuti in una galera indiana, e l’italiano assassinato nel corso di un blitz anglo-nigeriano (del quale la Farnesina non sapeva alcunché) sono due episodi che svelano la vanteria del grande prestigio internazionale eccetera eccetera; i meriti internazionali acquisiti da Monti sono confinati all’interno del sistema bancario-finanziario. Allo stato, comunque, sul palcoscenico c’è parecchia confusione. Il copione fin qui seguito non ha il finale promesso: dopo tasse e rigore, non sono arrivate equità e crescita. Il governo arzigogola a proposito della Rai e di riforme varie, ben sapendo che il suo compito si esaurirà anzitempo se non riuscirà a mettere altra carne al fuoco. Qui ci vuole lavoro, lavoro, lavoro. L’unico modo per rilanciare lo sviluppo è lavorare. Non ce ne sono altri. La disoccupazione costa e non produce ricchezza. Cose ovvie? Certo che sì; per cui la piantassero di fare melina sulla “governance” (altro zuccheroso termine per dire lottizzazione) della Rai e mettessero in cantiere qualcosa di immediatamente produttivo. La campagna elettorale per le amministrative di maggio infila in un solo calderone le pistole caricate a salve e quelle con pallottole dum dum. Vanno distinte, e lorsignori lo sanno, le sortite destinate unicamente a fare rumore dalle altre, micidiali per davvero. Il can can ballato da uno squadrone di pidiellini sulla testa del ministro Riccardi è una cosa, la marcia funebre per i dossier India e Nigeria è ben altra faccenda. La condanna della politica espressa da Riccardi (“mi fanno schifo”) è generalmente condivisa. Se c’è più della metà di potenziali elettori che dichiara di non voler andare a votare, è un segno del fallimento della politica ed i sepolcri imbiancati è inutile che fingono di scandalizzarsi. Un ministro, però, non è un cittadino qualsiasi, non può lasciarsi andare e così Riccardi ha chiesto scusa. Gli “offesi” hanno fatto un po’ di manfrina e poi tutto è rientrato nella norma; nel corso di questi ultimi anni, di dichiarazioni, diciamo così, avventate, se ne sono sentite anche di peggiori. E’ quasi la norma. Le umiliazioni, invece, subite da India e Nigeria, toccano nel profondo la gente e la giusta leva potrebbe sollevare un terremoto di imprevedibili proporzioni. La valenza elettorale di quei due episodi è notevole assai. Allo stato dell’arte, i due partiti più grossi, Pd e Pdl, non sono nelle condizioni di pretendere maggiore considerazione da parte del governo. E neppure possono azzardare l’apertura di una crisi. C’è, inoltre, un elisir di lunga vita che Monti beve quasi quotidianamente, grazie alle inchieste mediatico-giudiziarie che, stavolta, pare colpiscano a più vasto raggio. Accusati di corruzione, di brogli elettorali, di voti di scambio e via delinquendo, sono politici del Pd, del Pdl, della Lega…In questo contesto, i petali strappati alla Margherita cadono, nient’affatto lievi, sull’adamantino partito di Casini. A Orvieto, alla scuola di formazione politica del Pdl, il fedelissimo (del Mostro di Arcore) Paolo Bonaiuti ha rimarcato: “La domanda di fondo rimane: cosa si può fare per lo sviluppo; perché dopo il rigore c’è lo sviluppo”. Caro Bonaiuti, viene prima un domandone: quali e come saranno i partiti che vedremo nel dopo Monti? Il governo in carica, non dimentichiamolo, coincide anche con il dopo Berlusconi. Qualunque sia il giudizio, resta il fatto che c’è un prima e c’è un dopo, rispetto alla caracollata politica del Cavaliere fino a Monti. g.spezzaferro-rinascita |
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