Schiaffo verde per George W.
 







di Franco Pantarelli




La Corte Suprema americana è intervenuta per la prima volta sul problema della difesa dell'ambiente e lo ha fatto assestando un vero e proprio schiaffo alla politica di George Bush, che come si ricorderà si presentò al mondo, appena entrato alla Casa bianca, con il suo «no» al protocollo di Kyoto. Con una maggioranza di cinque a quattro, i membri del massimo organo della magistratura americana hanno respinto perfino con durezza ciò che l'Epa, l'agenzia federale per la difesa dell'ambiente, è andata dicendo in questi anni per spiegare il suo immobilismo. E cioè: uno, che non aveva la sufficiente autorità legale di intervenire, per esempio fissando dei limite all'emissione di anidride carbonica nell'atmosfera; due, che anche se avesse avuto l'autorità di farlo non sarebbe comunque intervenuta per via di quella che chiamava la «sostanziale incertezza scientifica» sull'esistenza stessa del cambiamento del clima; tre, che se avesse posto dei limiti alle industrie americane con una decisione «unilaterale» avrebbe ridotto le possibilità del presidente George W. Bush di cercare di convincere gli altri paesi a ridurre le loro emissioni di anidride carbonica in base a un accordo internazionale.
Il giudice Paul Stevens, quello che ha materialmente scritto la sentenza, ha detto tutto il contrario. Secondo lui e gli altri quattro giudici che hanno votato a favore, il Clean Air Act, cioè la legge che attualmente regola la difesa dell'ambiante, è più che sufficiente a dare all'Epa l'autorità di cui ha bisogno per intervenire sul problema dell'effetto serra perché le emissioni di ossido di carbonio «rientrano perfettamente» nel concetto di «sostanze inquinanti». Sulla «sostanziale incertezza scientifica», prima la sentenza dice che per regolamentare le emissioni è sufficiente che ci sia «la ragionevole previsione che possano danneggiare la salute pubblica», ma poi il giudice Stevens non resiste alla tentazione di lanciare una sorta di
«sfida» all'Epa: «Se l'incertezza scientifica è così profonda da impedire all'Epa di dare un giudizio ragionato, lo dica chiaramente». (Sottinteso: vediamo come saprà affrontare la comunità scientifica mondiale). Quanto alla più ridicola delle argomentazioni dell'Epa, quella che non voleva interferire negli «sforzi» di Bush di indurre altri paesi a limitare le loro emissioni, Stenvens si astiene dall'osservare che quegli sforzi sono stati del tutto inesistenti, come sanno tutti, ma si limita a osservare che «le considerazioni di politica estera le fa il dipartimento di Stato, non l'Epa».
Il colpo è dunque per l'Epa e per Bush, ma anche per le stesse compagnie che il l'anidride carbonica la emettono tranquillamente. Loro - prima fra tutte la General Motors - hanno infatti sfidato le normative contro il cambiamento del clima che alcuni Stati si sono dati «scavalcando» l'inerte autorità federale (dal Massachusetts alla California di Arnold Schwarzenegger), sostenendo che essi non
hanno il potere di farlo perché si tratta per l'appunto di una materia federale. In questo erano sostenuti dall'Epa e di fatto è stata proprio la disputa fra gli stati e l'ente federale a provocare questa sentenza, rubricata nel lavoro della Corte Suprema come «caso Massachusetts contro Epa». Ebbene, la sentenza di ieri afferma esplicitamente che gli Stati hanno il diritto di contrastare le decisioni dell'Epa e hanno il potere di imporre alle compagnie il rispetto delle norme che essi si danno per proteggere i propri cittadini. E fa l'esplicito esempio proprio del Massachusetts, le cui coste - sostiene il suo governo - sono già state danneggiate dall'aumento del livello del mare.
Da ciò - da questa «vittoria» degli stati - tutti si aspettano cose concrete, nel prossimo futuro, in termini di diminuzione delle emissioni nocive nell'atmosfera. Ma pur nella loro esultanza gli ambientalisti si dicono pessimisti sulla rapidità degli effetti che si riuscirà a ottenere. «Quelli non si
rassegnano, continueranno a combattere con ogni mezzo e a ritardare le cose al massimo», dicono. «Ormai, la cosa più concreta da fare è evitare che il prossimo presidente sia uno come Bush».da Il Manifesto