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Wall Street giudica Monti poco liberista |
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Quando finisce un amore come il loro si deve temere l’arrivo delle peggiori tempeste. Il Wall Street Journal che pure si era dimostrato molto disponibile di fronte all’opportunità di lodare le misure di politica economica ultra-liberista del governo tecnico guidato dall’amico Monti, “amico” nel senso di ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s (guarda, guarda), ha fatto precipitosamente marcia indietro. La settimana scorsa Monti veniva paragonato a Margaret Thatcher, in quanto su di lui pesava l’opportunità di educare (!) e ammonire gli italiani sulle conseguenze di opporsi, come fecero i brigatisti rossi che avevano ucciso Marco Biagi, a riforme del lavoro che in gran parte del mondo libero sarebbero considerate utili e moderate. Ieri l’organo della speculazione a stelle e strisce ha cambiato totalmente registro e ha messo sotto accusa un governo e il suo capo che non hanno avuto il coraggio di ridurre il lavoro a merce. Il nuovo testo della riforma che ha previsto il ritorno del principio del reìntegro sul posto di lavoro a fronte di un licenziamento giudicato “illegittimo” dal giudice, non è piaciuto per niente all’organo ufficiale della speculazione statunitense. Per il Wsj si tratta di “una resa a coloro che vorrebbero portare l’Italia vicina all’abisso della Grecia”. Monti per gli yankees non è quindi più la Thatcher ma semmai ricorda Edward Heat, il premier conservatore europeista che cedette il potere ai laburisti prima dell’arrivo della Lady di Ferro con il suo decennio all’insegna delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni e delle deregolamentazioni. Il Wsj si rimprovera adesso il proprio accesso di temporanea euro-follia, nel senso di amore, nei riguardi di Monti che dopo la marcia indietro sull’articolo 18, e ai cedimenti fatti ai politici e ai sindacati ha gettato la maschera ed ha dimostrato di non limitarsi ad essere soltanto un tecnico o un tecnocrate che procede senza preoccuparsi delle reazioni di chi dovrà poi votarlo in Parlamento. Per il Wsj una riforma limitata non è meglio di niente. Il quotidiano ricorda polemicamente che Monti è stato “scelto” (sic) per recuperare l’Italia dall’orlo del precipizio in cui stava per sprofondare. Un abisso pari a quello greco. La riforma del lavoro, per il quotidiano Usa, rappresenterebbe una resa a coloro che la stanno affondando. Per il Wsj soltanto la più ampia libertà di licenziamento è in grado di salvare l’Italia da se stessa. Soltanto se le imprese potranno licenziare chi gli pare e se un rompiballe di giudice non potrà giudicare se il licenziamento sia “economicamente” illegittimo, le imprese potranno crescere e l’economia con loro. Soltanto se avranno la possibilità di sostituire lavoratori anziani e più costosi con quelli giovani che si accontenteranno di molto meno, le imprese ricominceranno ad assumere e il futuro sarà più luminoso di oggi. Nessuno ha però spiegato alla gazzetta nuovayorkese che sarà di fatto impossibile per il dipendente riuscire a dimostrare che il suo licenziamento non era per motivi economici, ad esempio il calo della domanda dei beni prodotti dall’impresa, ma è stato invece determinato da motivi discriminatori (tipo l’attività sindacale) che esulano dalle difficoltà contingenti. Il punto centrale è infatti un altro. Sostituire il licenziamento “per giusta causa e per giustificato motivo” con quello per motivi economici sembra poco ma in realtà è moltissimo perché l’onere della prova sull’esistenza di un comportamento discriminatorio dell’impresa spetterà sempre e comunque al dipendente messo in esubero. La realtà è che gli industriali, specie quelli che appaiono sul proscenio, volevano avere le mani completamente libere tanto che il presidente uscente di Confindustria, la siderurgica mantovana Emma Marcegaglia, ha definito “pessimo” il testo del disegno di legge che è nato da un compromesso tra Monti e Fornero da una parte e i partiti che sostengono il governo dall’altro. Monti, insomma, accusa il Wsj, avrebbe dovuto fare come la Thatcher che non si fece problemi di andare allo scontro con i sindacati inglesi, le Trade Unions, in particolare con il leader dei minatori Arthur Scargill che guidò una lunga serie di scioperi nel biennio 1984-1985, riuscendo infine a sconfiggerli e ad avviare la sua politica. Speravamo, scrive il Wsj, che Monti riuscisse a sconfiggere i moderni Scargill. In altre parole quei rompiballe di leader sindacali che ancora si ostinano a difendere i diritti dei lavoratori e cercano di fermare o quantomeno di rallentare la trasformazione del lavoro in merce. La questione centrale è infatti questa. La strategia, che purtroppo sembra inarrestabile, del capitalismo finanziario e industriale di spostare la forza lavoro ovunque, riallocarla dicono gli economisti, come succede per le materie prime, i prodotti finiti, le merci e i capitali. Una deriva inarrestabile che, con il progressivo venire meno del ruolo dello Stato come re-distributore della ricchezza e come correttore degli squilibri sociali, è destinata a subire un’ulteriore involuzione. E Monti che era stato scelto per gestire la nuova fase non si sta muovendo come i suoi referenti avrebbero sperato.Filippo Ghira
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