Le coste italiane a rischio: "scarichi fognari,cementificazioni,inquinamento, erosioni...”
 











Come ci ha appena rivelato il censimento, gli italiani sono poco meno di 60 milioni. Sei su 10 vivono vicino al mare (nei 638 Comuni costieri la densità arriva a 380 abitanti per chilometro quadrato, più dell’India). E quindi hanno costruito sulle coste, lavorano sulle coste, guidano sulle coste. Il risultato di questa concentrazione umana e di una notevole distrazione urbanistica è che su circa 8 mila chilometri di litorali, solo il 30% è rimasto allo stato naturale: il 50% risulta compromesso, il 42% di quelli sabbiosi è colpito da erosione, l’80% delle dune scomparso.
E’ il quadro che emerge dal rapporto preparato dal Wwf per lanciare una campagna di salvaguardia di tre aree simbolo delle tipologie di costa più importanti e più fragili: le dune, le zone umide e le foci dei fiumi (i dettagli su www.wwf.it 1).
Il primo intervento è mirato alla nascita di una nuova oasi ad Arbus, in Sardegna, dove la fitta
macchia mediterranea popolata di ginepri secolari è chiamata "parlante" perché il maestrale le dà voce; e dove, se si è abbastanza fortunati, si può evitare di incontrare fuoristrada, se si è molto fortunati può capitare di incontrare un cervo.
Il secondo obiettivo è bonificare la spiaggia che costeggia la riserva naturale Wwf Le Cesine, nel Salento, in Puglia, un paradiso in cui i rifiuti portati dal mare e mai rimossi hanno creato cumuli di plastica che rendono la vita difficile agli animali.
Il terzo luogo da proteggere è la zona umida dell’Oasi Wwf Golena di Panarella, in Veneto, un santuario della natura alle porte del delta del Po che d’inverno ospita fino a 140 mila uccelli e che è oggetto di incursioni dei bracconieri. Si tratta di piantare specie autoctone al posto di quelle aliene che stanno danneggiando l’equilibrio degli habitat, ricreare le zone umide nei punti che si stanno interrando, difendere la sopravvivenza degli anfibi.
Sono interventi che servono a
tutelare singole zone ma anche a far riflettere sull’importanza che il profilo delle coste ha nella storia del paesaggio italiano e nelle cronache economiche che vedono un declino del turismo collegato alle difficoltà di una lettura rigorosa ma propositiva della bellezza. Utilizzate con sapienza, le aree di alta qualità naturalistica si integrano in un circuito in cui il turismo, la ricerca, le imprese d’eccellenza creano un volano di crescita economica che affonda le radici nell’appeal creato dall’abbinamento tra natura, arte e ingegno.
Purtroppo prevalgono quasi ovunque altri usi del territorio. Ad esempio, come ricorda il rapporto del Wwf, tra le cause dell’erosione costiera figurano: il prelievo di ghiaie e materiali inerti dal letto dei fiumi (che così non sono più in grado di far rinascere naturalmente le spiagge);  l’incremento di porti e porticcioli,  aumentati tra il 2007 e il 2011 di oltre il 7,6%; la concentrazione di stabilimenti balneari che con "gli
interventi di pulizia meccanica degli arenili disgregano la compattezza della sabbia, interrompono la progressione delle dune, determinano una variazione delle pendenze e rimuovono le foglie di posidonia che rappresentano una barriera naturale contro l’azione erosiva del mare".
Infine, a completare l’elenco dei danni, ci sono i 28 siti costieri da bonificare; le tracce di un’industrialismo invadente e miope che ha dominato gli anni del dopoguerra; l’effetto del cambiamento climatico prodotto in buona parte dai combustibili fossili che tende a far salire il livello dei mari.
Per di più c’è Il problema del sistema fognario:da conclusioni di periti emerge come  le persone si infettano per aver fatto il bagno dopo gli sversamenti dei liquami in mare, pratica da anni abituale in città ogni volta che a causa delle piogge il sistema fognario va in tilt. Il perito della Procura, il direttore del dipartimento di Salute pubblica dell’Asl riminese Francesco Toni, in mezzo alla
sessantina di cartelle cliniche complessivamente sequestrate dalla Guardia di Finanza (in azione il Roar, il reparto operativo aereonavale) lo scorso marzo, ha individuato 16 fattispecie di infezione da colibatteri per cui esistono forti compatibilità con i bagni in mare fino a 3-4 giorni dalla chiusura delle paratie. Si tratta di casi riferiti 14 adulti e 2 bambini, i cui malesseri e malattie già denunciati all’Ausl sono stati ricondotti ai germi patogeni presenti nell’acqua delle fogne.
Le cartelle erano state prelevate dai finanzieri per lo più al pronto soccorso pediatrico locale; un paio provengono invece dal pronto soccorso oculistico di Riccione, si tratta di due adulti a cui i medici riscontrarono un’infezione atipica agli occhi provocata dai colibatteri. Al momento il Roar ha contattato 8 delle 16 famiglie in questione (tutti casi di bambini), che hanno confermato agli inquirenti come i ricoveri in ospedale, per almeno 24 ore di osservazione, vennero predisposti dopo un
bagno in prossimità degli sforatori. Va ora confermato se i bagni ci furono proprio nei giorni degli sversamenti. Per gli altri 8 casi si tratta invece di turisti stranieri, che con ogni probabilità non sarà facile rintracciare.
In attesa della relazione ufficiale,  la Procura si trova già in mano una consistente mole di materiale che ingrossa ulteriormente il fascicolo su cui lavorano i sostituti Davide Ercolani e Gemma Gualdi. Le ipotesi di reato, tuttora a carico di ignoti, includono l’epidemia colposa (sono sufficienti tre casi accertati), i delitti colposi contro la salute pubblica, le lesioni personali colpose, il getto di cose pericolose. Le ultime segnalazioni di malesseri “sospetti” sono state quelle degli ormai celebri 6 surfisti che nel giorno di Pasqua si erano avventurati in mare, da cui sono tornati accusando febbre e vomito (ad uno di loro che si era fatto visitare è stato trovato uno stafilococco in un orecchio).